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comunicato del telviola sulla morte di tullio ceccato avvenuta in psichiatria a milano

  • November 3, 2010 7:01 pm

è morto Tullio Ceccato il 27-10-2010 NEL REPARTO di PSICHIATRIA (SPDC) -GROSSONI 3 DELL’ OSPEDALE DI NIGUARDA CA GRANDE A MILANO.

TULLIO CECCATO è MORTO tra la notte di martedi e mercoledi, IN STATO DI CONTENZIONE FISICA nel reparto di psichiatria dell’ SPDC GROSSONI 3 dell’Azienda Ospedaliera DI NIGUARDA CA GRANDE a Milano.

Era in stato di contenzione da lungo periodo con apposito”SPALLACCIO” metodo o corsetto di contenzione che non permette movimenti.

La morte è sopraggiunta PER EMBOLIA POLMONARE. NEL PROTOCOLLO DELLE CONTENZIONI, in uso nei reparti di psichiatria, si legge che il paziente contenuto con lo spallaccio o corsetto ,deve ricevere terapia di anticoagulanti (calcieparina) e deve essere monitorato ogni 15 minuti. A lui sembra che non gliela hanno data!!!!

al di la delle “belle e argute nonche’ scientifiche affermazioni di questi assassini legali” che si rilanciano anche e ancora nei “metodi” già noti ,come nel passato i loro predecessori della SANTA INQUISIZIONE , i nuovi argomentano, ma purtroppo sperimentano, le torture sugli inermi. A differenza dei loro “maestri dell’ 1500 , che non si preoccupavano di lasciare tracce,i nuovi invece demandano attraverso protocolli,informative documenti, le LORO TECNICHE DI ABBATTIMENTO,DI COME NON LACERARE LE CARNI E DI NON FAR COMPARIRE LE ULCERE DA DECUPITO O DA LACERAZIONE,UTILIZZO DELLE CINGHIE DI VARI MATERIALI.

Noi che siamo spesso andati a “visitare” questi lager “nei cosidetti ospedali civili “sappiamo che già al trattamento sanitario obbligatorio o falso volontario,le persone SUBISCONO OGNI ONTA E PREGIUDIZIO, dal cosidetto personale medico-infermieristico…sappiamo che comunque quei pochi operatori e qualche psichiatra che si OPPONGONO , vengono a loro volta , isolati o mobbizzati come sta succedendo alla dott.ssa N.C.Novati.

( La psichiatra ha ripetutamente segnalato la mancata applicazione della Legge Basaglia 180/78 presso il reparto di psichiatria e per tale motivo è stata dichiarata incompatibile con il suo gruppo di lavoro. )

Tullio con noi e con il collettivo del telefono viola, aveva la sua storia, e fino a un mese fa spesso passava in via dei transiti come molti e frequentava centri sociali,nel 1997 eravamo riusciti con un blitz a portarlo via dal reparto di psichiatria di Ville Turro (psichiatria dell’ ospedale S.Raffaele una struttura privata convenzionata dove praticano la TEC ( terapia elettro convulsiva ) questo, cosi per fare un po’ il quadro,della situazione , che poi lui in fin dei conti aveva in parte accettato una sorta di compromessi con la famiglia e la psichiatria.

In questo momento possiamo solo dare alcune notizie che ci sono giunte dalla N.C.Novati (che attualmente è stata sospesa con un prcedimento disciplinare, intentato dal suo primario del rep. Grossoni 2 dell’ ospedale di Niguarda e dal Direttore del DSM)


c’ n’ est un debut ,continuons les combats.. in memoria del Compagno Tullio Ceccato..
P$IKIATRI ASSASSINI ABBATTERE I MURI LIBERARCI TUTTI
COLLETTIVO DEL TELEFONO VIOLA DI MILANOT28  telviola@ecn.org

IL CASO DI GIUSEPPE D.

  • September 9, 2010 1:04 pm

Un uomo ultrasettantenne è stato internato nel manicomio criminale di
Reggio Emilia al culmine di 14 anni di persecuzione psichiatrica e
processuale.
Motivo principale della persecuzione è che la figlia del vicino del piano
di sotto è una psichiatra.
Il Telefono Viola è intervenuto a fianco del suo avvocato (Carmen
Pisanello di Reggio Emilia), ma al momento la situazione non si è ancora
risolta. Il Sig. Giuseppe D., coadiuvato dall’Avv. Pisanello,
ha fatto ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in seguito
alla negazione da parte del Tribunale di Sorveglianza di Bologna del
diritto all’appello contro la proroga dell’internamento(decisione
successivamente confermata dalla Cassazione).
La Corte Europea tarda a prendere una decisione, pertanto in accordo con
il Sig. Giuseppe,il suo avvocato e i familiari, abbiamo scelto di
diffondere in internet la documentazione raccolta e prodotta dal
Telefono Viola su questo caso.

La speranza è che prima o poi finisca sotto l’attenzione dei giudici
europei, accelerandone le decisioni.
DIFFONDETE il documento, datene visibilità sul vostro blog, social
network (facebook, twitter, ecc.).
Aiutiamo Giuseppe D. a uscire dall’incubo!

La documentazione è possibile scaricarla e leggerla andando sul sito del telviola www.ecn.org/telviola

collettivo antipsichiatrico a.artaud-pisa


per maggiroi info:
COLLETTIVO DEL TELEFONO VIOLA DI MILANO
via dei transiti 28
www.ecn.org/telviola
02.2846009
tutti i mercoledi dalle 17.00 alle 20.00
segreteria attiva 24 su 24
)

CANAPISA 2010: LA DIVERSITÀ FA PAURA, LA NORMALITÀ UCCIDE!

  • May 29, 2010 11:46 am

 

LA
DIVERSITÀ FA PAURA, LA NORMALITÀ U
CCIDE!


In
questi mesi abbiamo assistito ad una vera e propria negazione da
parte del comune di Pisa dei diritti fondamentali quali il diritto a
manifestare, il diritto alla casa e il diritto di godere di spazi
sociali liberi. Il servilismo mediatico nei confronti di una politica
arrogante e priva di contenuti non ha tardato a manifestarsi;
campagne che attaccano e screditano chi lotta per soddisfare bisogni
concreti e reali: chi occupa le case sfitte perché non riesce a
pagare affitti troppo alti,strappandole alla speculazione edilizia
oltre che all’abbandono e al degrado;chi apre alla città spazi
portatori di istanze di socialità altra, avviando importanti
progetti socioculturali, o come le occupazioni portate avanti dagli
studenti universitari che, pur pagando le tasse, non possono
usufruire degli spazi universitari per fare iniziative culturali,
finalizzate alla creazione di saperi critici e alla loro
socializzazione. Per le istituzioni tutto si risolve in un problema
di ordine pubblico, in una questione di legalità e illegalità, per
cui si buttano per strada otto famiglie, si sgomberano gli spazi
sociali, si tenta di vietare manifestazioni. Non si trova da parte
delle istituzioni uno spazio di discussione verso un tessuto sociale,
culturale e politico vivo e partecipato.

Nessun
impegno ad affrontare la crisi economica e la precarietà dei
cittadini, nessun intervento per fermare i fenomeni speculativi in
città, nessuno per permettere a collettivi e associazioni di
proseguire il loro fondamentale lavoro. Le risposte si limitano alla
violenza delle forze dell’ordine, all’acquisto di telecamere per la
videosorveglianza. Il dibattito di quest’anno in merito al canapisa
ne è un esempio lampante, poiché il comune voleva arrogarsi il
potere di vietare la manifestazione, di negare il diritto a
manifestare e ad esprimere le proprie idee.

Siamo
qui oggi per ribadire l’importanza politica del canapisa e della
lotta antiproibizionista, che invece di penalizzare a priori l’uso di
sostanze, si occupa di fare informazione e riduzione del danno, di
mettere in evidenza le contraddizioni del sistema normativo italiano
che punisce di più un tossicodipendente che un evasore fiscale( la
legge Fini-Giovanardi insieme alla Bossi-Fini è la causa principale
del sovraffollamento delle nostre carceri)di difendere i tanti
lavoratori che perdono il posto a causa dei nuovi controlli
antidroga,che ben poco hanno di scientifico e molto di persecutorio.

In
quanto collettivo antipsichiatrico sottolineiamo come proibizionismo
e psichiatria rappresentino due facce della stessa medaglia, e come
di conseguenza le lotte dei movimenti antipsichiatrico e
antiproibizionista siano affini su vari punti: la rivendicazione
della libertà di scegliere per se stessi ed il rifiuto di
patologizzazione dei comportamenti all’interno di categorie stabilite
da chi ha interesse a farlo. Nella nostra società,infatti, ogni
pensiero critico e ogni comportamento differente e non conforme alle
convenzioni sociali viene considerato elemento di disturbo e di
pericolo, e trasformato in mostro immaginario: terrorista, drogato,
violento, matto come un tempo vi erano la strega, l’eretico,il
vagabondo,l’omosessuale. La stigmatizzazione e la medicalizzazione
dei comportamenti “devianti” son funzionali alla volontà di
controllo da parte del potere, poiché permettono di velocizzare il
processo di osservazione, isolamento e normalizzazione dei nostri
comportamenti. Sempre più si accentua la pericolosa tendenza a una
vera e propria medicalizzazione di massa, che va a toccare fasi
naturali della vita – dall’infanzia – con programmi di screening
nelle scuole – alla vecchiaia, con particolare accanimento verso le
donne(disturbo disforico premestruale, depressione post partum
ecc..).

Al
disagio che quotidianamente viviamo per motivi reali e concreti –
la crisi economica, la precarietà, la mancanza di soddisfazione
personale e di prospettive future, le condizioni e i ritmi di vita e
di lavoro spesso disumani, -la psichiatria risponde sempre allo
stesso modo, con diagnosi-etichette e cure farmacologiche che tendono
a isolare l’individuo da una dimensione di socialità.

Esempio
lampante di questo discorso è la doppia diagnosi inserita con la
legge Fini-Giovanardi, che inquadra il consumatore di sostanze
psicoattive come malato mentale da trattare con cure psichiatriche.
In tal modo si è rinforzato il legame tra proibizionismo e
psichiatria e si è trasformata la questione del consumo di sostanze
da sociale a penale nonché sanitaria, per cui la gestione delle
tossicodipendenze viene delegata all’ istituzione psichiatrica, con
grandi profitti per l’industria del farmaco e di quella del recupero
e della riabilitazione. É un paradosso difficilmente spiegabile
vietare da un lato l’uso di sostanze psicoattive classificate come
illegali e dall’altro prescrivere sostanze psicoattive legali per
curare le tossicodipendenze!La psichiatria, obbliga inoltre all’uso
di psicofarmaci persone che non erano solite far uso di sostanze
psicotrope, allargando il numero di consumatori e di dipendenti da
tali sostanze.

Non è
chiaro cosa oggi differenzi le sostanze legali da quelle illegali,
dal momento che la stessa sostanza psicoattiva diviene un farmaco se
prescritta da un medico e commercializzata in farmacia, così come il
Ritalin (metanfetamina) un tempo assolutamente illecito e oggi usato
come cura per bambini “affetti da ADHD” ( sindrome da deficit di
attenzione e iperattività).

Nonostante
lo stato proibizionista evidenzi continuamente i danni delle droghe,
lo stesso non avviene con i “legali” psicofarmaci, che dovrebbero
essere prescritti dietro consenso informato, ma di cui invece vengono
sempre taciuti i gravi effetti collaterali, i fenomeni di dipendenza
e di assuefazione ad essi correlati(del tutto simili a quelli causati
dalle sostanze illegali classificate come droghe pesanti) ed i danni
permanenti e gravissimi procurati da un uso prolungato.

La
diffusione e l’abuso di queste “droghe legali”, è incentivato
dalla macchina statale a scopo contenitivo, e spinta da forti
interessi di mercato. Gli psicofarmaci rappresentano le “nuove
camicie di forza”, ciò che ha insinuato la “manicomialità”
nelle nostre case. A questo fine “gli invisibili strumenti di
contenzione” (soprattutto benzodiazepine) sono giornalmente
dispensati all’interno delle carceri e dei CIE: il loro uso diffuso,
abituale e indiscriminato, è favorito dalla direzione per tenere a
bada i detenuti attraverso il controllo chimico del loro umore, per
lenire loro l’ansia da carcerazione e per fargli sopportare le gravi
situazioni di degrado e sovraffollamento che sono costretti a subire.
Così come il proibizionismo serve a mantenere e alimentare gli
interessi del mercato nero, la psicofarmacologia serve a riempire le
casse delle multinazionali farmaceutiche, le stesse che finanziano
“ricerche” per definire sempre nuovi pseudo-disturbi
psichiatrici, le stesse che costruiscono campagne pubblicitarie a
sostegno della naturale diffusione delle affezioni nell’ottica di
legittimare la conseguente panacea farmacologica.

Il
business del farmaco induce così bisogni e consumi standardizzati,
ricavando strepitosi guadagni e trasformando il concetto di salute in
un bene di consumo ed il ministero della sanità in agenzia
promozionale fautrice di propagande disinformative.

Siamo
qui per contestare ancora una volta il perpetuarsi di tutte le
pratiche psichiatriche, che operano una guerra quotidiana contro la
libertà individuale.

Siamo
qui per ribadire il nostro rifiuto all’idea di “normalità” come
vincolo del “socialmente accettabile” e la catalogazione di chi
fa spontaneamente uso di sostanze come “deviato”.

Siamo
qui per smascherare l’interesse economico che si cela dietro
l’invenzione di malattie per promuovere la vendita di nuovi farmaci.

Siamo
qui per chiedere quale sia la reale differenza tra droghe e
psicofarmaci, tra sostanze psicotrope legali e quelle illegali:
legalità e illegalità, sono parole che abbiamo sentito nominare
troppo spesso in questi giorni a Pisa, e che in questo caso, così
come nelle questioni cittadine a cui abbiamo accennato hanno dei
confini al quanto incerti e contraddittori.




Collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud

antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org
– 3357002669

LIBERI/E SUBITO, LIBERI/E TUTTI/E!

  • November 26, 2009 10:32 am

L’iniziativa di oggi serve per finanziare le spese legali
dei compagni che sono stati arrestati
in seguito ai fatti avvenuti l’11 ottobre a Pistoia, quando, con la
scusa di un’irruzione nella sede di Casa Pound, avvenuta circa tre ore
prima, la polizia ha fatto un blitz al circolo Primo Maggio,
vicino alla sede dei nazi-fascisti, e ha portato in caserma
tutti i compagni che si trovavano dentro, nonostante fossero del tutto
estranei ai fatti, e “rei” solo di partecipare ad un’assemblea pubblica per
lanciare un coordinamento regionale contro le ronde.
La dinamica degli arresti è stata del tutto ingiustificata: i
compagni sono stati tenuti in fermo per 12 ore, senza essere informati sui
motivi, senza poter avvisare nessuno, senza che chi ne avesse bisogno
ricevesse cure indispensabili per la propria salute, nonché interrogati senza la
presenza di avvocati. In seguito sono scattati gli arresti per tre compagni/e, uno
di Massa e due di Livorno, che sono attualmente uno in carcere e due
agli arresti domiciliari, nonostante l’assoluta mancanza di prove.
A conferma dell’assurdità e dell’arbitarietà nella quale si muove la giustizia italiana, ecco che il 9 novembre vengono fatte nuove perquisizioni e, sebbene anche stavolta non abbiano portato a nulla, viene disposta la custodia cautelare per altri quattro compagni (due di Livorno e due di Pistoia) che erano stati denunciati circa un mese prima!

Vogliamo ribadire l’irregolarità di
tali manovre legali, mandate avanti nei confronti di persone estranee ai
fatti, e atte palesemente a colpire i movimenti che lavorano sul territorio
contro il razzismo ed il fascismo.

Vogliamo denunciare come il reato di
devastazione e saccheggio sia oggi usato per colpire più duramente chi
lavora e lotta sul proprio territorio.

Chiediamo l’immediata libertà per i compagni e le compagne.

Rilanciamo le lotte antirazziste e antifasciste sul territorio.

tutti soldi della serata andranno a coprire le spese legali per
i/le compagni/e arrestati/e

per contribuire a sostenere le spese legali
conto corrente intestato a: senza soste
causale:sottoscrizione spese processuali
codice IBAN it67 v076 0113 9000 000 6830 122

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
Spazio antagonista newroz
Precari Autorganizzati
Progetto Prendocasa

attiva nuovamente la linea fissa del telviola di milano

  • October 15, 2009 11:33 am
E’ STATA RIATTIVATA LA LINEA FISSA DEL
TELEFONO VIOLA DI MILANO
C/O AMBULATORIO MED. POPOLARE
VIA DEI TRANSITI 28 milano
02-2846009
TUTTI I MERCOLEDI 17.00-20.00
segreteria attiva 24 su 24

www.ecn.org/telviola -telviola@ecn.org telviola_t28@inventati.org

la morte di roberto melino. giugno 07

  • July 22, 2009 9:41 am
a distanza di 2 anni dalla morte di Roberto Melino
avvenuta, nel giugno del 2007,nel reparto di psichiatria
dell’ospedale S.Giuseppe di Empoli
pubblichiamo una toccante testimonianza
di chi ha vissuto con lui il dramma
dell’internamento.

collettivo antipsichiatrico antonin artaud-pisa
www.artaudpisa.noblogs.org

                                      La morte di Roberto Melino.

13 giugno 2007. Reparto psichiatrico dell’ospedale di Empoli.

Si chiamava Roberto Melino. Ricordo che era giovane, simpatico e incazzato. Di una gentilezza squisita. Occhiali da vista, sovrappeso, più che parlare sussurrava, a volte era difficile capirlo, soprattutto quando il trattamento riservatogli era particolarmente pesante. Difficilmente terminava una frase senza interrompersi per ansimare. Nelle sue parole c’era lucidità assoluta, aveva lavorato per una cooperativa di servizi e sosteneva di avere subito ingiustizie dal direttore. Quantunque potesse avere avuto ragione, e questo non lo so, chi mai avrebbe ascoltato le sue parole? Quale forma di rivendicazione può  risultare credibile quando viene da un internato nel reparto psichiatrico di un ospedale?
Siamo diventati amici, anch’io gli parlavo delle ingiustizie subite. Due matti che solidarizzano su tematiche politiche e sociali. Naturalmente innocui, resi ancora più informi dai farmaci che ci somministravano. La sua inquietudine ammansita dalla gentilezza degli infermieri, ma soprattutto dalle bombe bioniche che lo demolivano. Non so quale sostanza periodicamente gli somministrassero, so che quando rientrava nella stanza in cui si fumava non era più lui. La sua vivacità era scomparsa e con lei la rabbia che lo contraddistingueva. Abulico, apatico, non parlava, non rispondeva.
Rimaneva greve nell’aria il suo respiro sempre più affannoso.
Ma non si rendevano conto di sparare ad un uccellino con un bazzoka?
Mi regalò un orologio, non li ho mai portati, per compiacerlo lo misi al polso.
Una sera, in un impeto di rabbia lo gettai. Fu un gesto di cui mi sarei pentito: quell’oggetto mi sarebbe stato un suo caro ricordo.
La sera quando si coricava, a quanto capii, doveva assumere una posizione particolare che ne facilitasse il respiro. Quando ci salutammo l’ultima volta fu come sempre in maniera cordiale.
– A domani -. Ma per lui non ci sarebbe stato un domani.
La mattina dopo morì.
Ci fecero stare seduti mentre davanti a noi l’agitazione saliva.
I volti degli infermieri non riuscivano a non tradire la tensione, il via vai nella sua stanza diveniva sempre più frenetico, passò un’ora, forse due, non riesco a determinare il tempo.
Inutili tentativi di rianimazione, noi seduti ed attoniti, noi innocenti spettatori di uno spettacolo che non doveva accadere. Con la certezza della morte lo spettacolo finì.
Il suo respiro, quel respiro che anche nelle ore di veglia a volte assomigliava ad un rantolo, si era fermato.

Il pianto della madre lacera l’aria del reparto, è struggente, verrebbe voglia di buttarla fuori.
Sono sconvolto: l’avevo salutato la sera precedente, avevamo parlato, lo consideravo un amico.
Non voglio più stare lì dentro, voglio uscire, mi concedono di farlo con un amico con cui pranzo.
Non è una concessione che viene fatta facilmente, ma nell’eccezionalità del momento uno zuccherino al matto si può dare.
 
Ai miei occhi era un ragazzo sensibile. Forse agli occhi di qualcun altro non era che un ammasso di cellule mal distribuite, con dei neuroni che scorazzavano in territori non ortodossi.
Le domande rimangono sospese.
Perché, viste le sue difficoltà di respirazione non è stato trasferito in un altro reparto?
Sarà stata compatibile la terapia farmacologica con le sue difficoltà respiratorie?
Saranno stati eseguiti preventivamente degli esami per verificarne la compatibilità?
Saranno reperibili questi esami?
Dai referti dell’autopsia potranno venire alla luce delle certezze?
Come è possibile che io, che ero fuori di testa, riesca a fare una ricostruzione così lucida dei fatti e gli operatori a suo tempo non si siano accorti di ciò che stava accadendo?
La mia è una testimonianza opinabile, mi sono limitato ad esporre ciò che ho visto e che ho sentito, non ho prove che suffraghino ciò che poi, in realtà, mi viene da pensare.
Volendo si possono ascoltare le testimonianze degli altri pazienti rinchiusi in quei giorni che non potranno che confermare le sue gravi difficoltà respiratorie.
Certo, anche loro sono matti come me, ma perché la loro parola dovrebbe valere meno di quella di uno psichiatra?
Anche gli psichiatri sono esseri umani, tutti sbagliano, magari con Roberto hanno commesso qualche errore. Non si può affermare né negare.
Certo, non è piacevole il brivido di inquietudine che avverto quando ripenso a questa maledetta storia. Chiedo solo verità, verità oggettiva per un ragazzo di 24 anni che ho visto morire sotto ai miei occhi. Ma vivendo in questo paese una domanda sorge spontanea:
prevarrà la volontà politica di non approfondire?
Per me c’è solo una verità, mia, personale, che può essere non condivisibile.
Roberto non doveva morire.

Mardollo Gianluca
vivodamorire

Psichiatri giù le mani dalle nostre esistenze !!!

  • March 27, 2009 7:32 pm

a firenze il 4 aprile iniziative antipsichiatriche contro il WPA :

Come collettivi antipsichiatrici saremo presenti

con un banchino di controinformazione e distribuzione materiale la mattina del 4 aprile in
piazza S. Maria Novella a partire dalle ore 10 .

Nel pomeriggio saremo presenti al corteo contro la cementificazione selvaggia e
contro lo sgombero del csa nEXt-emerson

                                                           (partenza alle 15 da piazza S.Marco)

                                                              con uno spezzone antipsichiatrico 

Dall’1 al 4 aprile si terrà a Firenze un convegno internazionale di psichiatria organizzato dal WPA (World Psychiatric Association), durante il quale psichiatri, esponenti delle multinazionali del farmaco e associazioni di familiari faranno il punto della situazione sui trattamenti attualmente in uso per i cosiddetti “disturbi mentali” e pianificheranno nuovi sistemi di intervento a livello mondiale.Leggendo il programma di questo mega-congresso ci si rende subito conto di come oggi la falsa scienza psichiatrica abbia notevolmente ampliato il proprio campo d’intervento.Invadendo le nostre esistenze, sminuisce le sofferenze umane riducendole a disturbi biochimici della mente, sempre più interpretati come patologie genetiche del soggetto.Se è vero che assistiamo ad una sistematica diffusione delle disagio, è vero anche che le cause vanno ricercate nella società in cui viviamo e nello stile di vita che ci viene imposto che esige sempre più efficienza e concorrenzialità. In cambio ci viene offerta una precarietà sempre più diffusa che genera senso di inadeguatezza e ostacola prospettive di emancipazione.Come risposta a ciò abbiamo la medicalizzazione di quelli che sono gli eventi naturali della vita e di quei comportamenti non conformi agli standard sociali. Le reazioni dell’individuo al carico di stress cui si trova sottoposto vengono interpretate quali sintomi di malattia e le risposte che riceviamo sono sempre dello stesso tipo: diagnosi-etichetta e cura farmacologica.Noi tutti scontiamo il peso di questa odierna esondazione psichiatrica, che ha portato alla medicalizzazione delle nostre vite dalla crescita – attraverso malattie create ad hoc per bambini vivaci – fino alla vecchiaia, intromettendosi fin nella nostra sfera più privata laddove pretende di “curare” il nostro approccio al cibo, alla sessualità e alla sofferenza.Alcuni ambiti di ingerenza della salute mentale derivano dal passato: pensiamo alle nuove forme di “isteria femminile”, legate al ciclo mestruale, alla gravidanza, al parto e alla menopausa, come se i problemi dell’essere donna oggi fossero legati alla biologia. Altri settori di intervento sono invece più nuovi come l’inquietante psichiatrizzazione dell’infanzia e il ritorno in auge dell’etnopsichiatria.In un sistema economico e sociale basato sulla disuguaglianza e sulla discriminazione, espliciti bisogni, come quello dell’autodeterminazione, dell’integrazione, del lavoro e della casa, vengono considerati e trattati come disturbi della mente.In Italia, nonostante la tanto decantata chiusura dei manicomi, questi continuano ad esistere nei servizi psichiatrici territoriali in cui si riscontrano gli stessi meccanismi lesivi delle libertà individuali (etichettamento, esclusione, ecc) e le medesime pratiche coercitive (TSO, costrizione ai letti, farmaci come nuove camicie di forza, pratiche aberranti come l’elettroshock). Sempre pronta a pubblicizzare nuove ed inesistenti malattie allo scopo di allargare il proprio bacino d’utenza per arricchire le tasche delle multinazionali farmaceutiche, la psichiatria serve ad arginare qualsiasi critica sociale e a normalizzare quei comportamenti ritenuti “pericolosi” poiché non conformi al mantenimento dello status quo, al fine di estendere il controllo sociale e la possibilità di intervento normalizzante da parte delle istituzioni. 

Siamo qui per contestare ancora una volta il perpetuarsi di tutte le pratiche psichiatriche e per smascherare l’interesse economico che si cela dietro l’invenzione di nuove malattie per promuovere la vendita di nuovi farmaci.

Non lasciamo in pace chi porta avanti da più di un secolo una guerra quotidiana contro la libertà individuale!

collettivo antipsichiatrico Violetta Van Gogh – Firenze    [www.violetta.noblogs.org]
collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud – Pisa             [www.artaudpisa.noblogs.org]

ABOLIAMO L’ELETTROSHOCK !!

  • March 19, 2009 10:26 pm

  • È del 17 marzo 2009 un articolo uscito su La Repubblica in cui si mette in risalto come in merito all’applicazione della terapia elettroconvulsivante la Regione Toscana applichi «regole più severe» a tutela del paziente.

Effettivamente la Regione Toscana si è distinta, insieme ad altre, nella volontà di porre un limite all’uso della TEC. Con la legge regionale n.39 del 18 ottobre 2002 «in materia di applicazione della terapia elettroconvulsivante, la transorbitale e altri simili interventi di psicochirurgia» venivano, infatti, poste alcune restrizioni all’uso dell’elettroshock. Nell’articolo 3 commi 2 e 3 si stabiliva che la TEC può essere  praticata solo con il «consenso libero,  consapevole,  attuale  e manifesto» del paziente e che a  tale fine lo  psichiatria  deve fornire esaurienti informazioni sugli effetti  collaterali e sui  possibili metodi alternativi. Se ne sconsigliava inoltre l’utilizzo su minori, anziani oltre i sessantacinque anni  e  donne  in  stato  di gravidanza e si vietava l’uso di lobotomia prefrontale e transorbitale e di altri simili interventi di psicochirurgia. Al comma 4 si stabilivano inoltre apposite linee guida sull`utilizzo dell’elettroshock e le procedure relative al  consenso e  all`autorizzazione  adottate  dalla Giunta  regionale.La Corte Costituzionale ha abolito nel dicembre 2002 questi passaggi (commi 2 e 3 perché la Giunta Regionale non ha il diritto di dare indicazioni su singole terapie, comma 4 per illegittimità costituzionale). Rimanevano gli articoli 1 e 2 e l’articolo 4 in cui, «considerata  la non  univocità dei  dati di  letteratura e le discordanze che  caratterizzano  il  dibattito  sulla  TEC  nella comunità scientifica», si avviava una Commissione Consiliare competente a svolgere un’azione di monitoraggio, sorveglianza e valutazione.Il fatto che la Regione operi un monitoraggio sulla terapia elettroconvulsivante e sottolinei l’esigenza di un maggiore consenso informato è sicuramente apprezzabile, ma la spinosa questione dell’elettroshock rimane tutt’altro che risolta.Da anni lottiamo affinché il consenso informato, previsto legalmente in materia psichiatrica, venga effettivamente garantito al paziente – che ha il diritto di sapere gli effetti collaterali ed i rischi in cui incorre sottoponendosi a tale trattamento. Problema che si ripropone in tutti gli ambiti dell’istituzione psichiatrica, primo fra tutti quello delle terapie farmacologiche nel quale vige la più totale disinformazione. Ma soprattutto, al di là del consenso informato, rimangono la brutalità di questa tecnica, la sua totale mancanza di validità scientifica e l’assenza di un valore terapeutico comprovato. I meccanismi di azione della TEC non sono noti. Per la psichiatria «rimane irrisolto il problema di come la convulsione cerebrale provochi le modificazioni psichiche» e «non è chiaro quali e in che modo queste modificazioni (dei neurotrasmettitori e dei meccanismi recettoriali) siano correlate all’effetto terapeutico» (G. B. Cassano, Manuale di Psichiatria). Ma per chi subisce tale trattamento i danni cerebrali sono ben evidenti e possono essere rilevati attraverso autopsie e variazioni elettroencefalografiche anche dopo dieci o venti anni dallo shock.Migliorandone le garanzie burocratiche, così come introducendo alcune modifiche nel trattamento (anestesia totale e farmaci miorilassanti che impediscono le contrazioni muscolari in precedenza diffuse a tutto il corpo con la conseguente rottura di denti ed ossa) non si cambia la sostanza della TEC. L’elettroshock deve essere abolito!Ricordiamo inoltre che, al di là dei buoni propositi di alcune singole regioni, la situazione a livello nazionale verte su tutt’altre posizioni. Se nel 1996 una circolare dell’allora Ministro della Sanità R. Bindi definiva l’elettroshock «presidio terapeutico di provata efficacia», nel mese di marzo dello scorso anno usciva una petizione del Congresso Nazionale della Società Italiana di Psicopatologia, appoggiata dall’AITEC (Associazione Italiana Terapia Elettroconvulsivante) per aumentare i centri clinici autorizzati a praticare la TEC con l’obbiettivo di arrivare ad almeno un servizio per ogni milione di abitante in tutte le regioni d’Italia. È inoltre di ieri un allucinante articolo, pubblicato al corriere della sera, che pubblicizza uno studio del Policlinico di Milano in cui si paragona il cervello ad una pila: «se il cervello fosse come una pila, la depressione potrebbe essere vista come se il livello della batteria fosse basso. Perché allora non ricaricare un cervello gravemente depresso con la corrente?»Ci teniamo a ribadire che l’elettroshock è una disumana violenza e un attacco all’integrità psicologica e culturale dell’individuo che lo subisce. Insieme ad altre comuni pratiche della psichiatria come il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio), la terapia elettroconvulsivante è un esempio se non l’icona della coercizione e dell’arbitrio esercitato dalla psichiatria e dalla società nei confronti di chi non vuole normalizzarsi alle sue regole.

Il collettivo antipsichiatrico Antonino Artaud-pisa

Medicalizzazione della società e controllo sociale: resoconto dell’iniziativa del 4 marzo

  • March 10, 2009 1:47 pm

Mercoledì 4 marzo è stato presentato a Pisa, nell’aula magna di Scienze Politiche, il libro “Divieto d’infanzia. Psichiatria, controllo, profitto”. L’incontro è stato organizzato dal Collettivo Antonin Artaud, dall’Associzione Aut Aut e dalla Biblioteca Franco Serantini, editrice del libro, ed ha visto la partecipazione dell’autrice Chiara Gazzola, oltre che di studenti, genitori, insegnanti, operatori e medici. Nonostante in Italia non si osservino gli eccessi e gli abusi che la psichiatria commette sui bambini in paesi come gli Stati Uniti, l’Inghilterra e l’Australia, il fenomeno della psichiatrizzazione dell’infanzia è comunque allarmante poiché in continua e ponderosa crescita: dei disagi infantili si preoccupa infatti sempre meno la pedagogia e sempre di più la psichiatria e la genetica. La medicalizzazione delle nostre vite e la psichiatrizzazione dilagante vede oggi non solo l’aumento del numero delle cosiddette “malattie” mentali, ma anche l’allargamento delle fasce d’età in cui queste si manifesterebbero. La diagnosi dell’ADHD (disturbo da decifit dell’attenzione e iperattività) ed il conseguente utilizzo del Ritalin (metilfenidato) – ossia di un’anfetamina – come  cura, rappresentano l’esempio più eclatante nonché a noi più vicino, visto che Pisa è stata una delle sei città italiane in cui nel 2002 è stato lanciato il “Progetto Prisma”, una ricerca di tipo “epidemiologica” finalizzata all’individuazione di problemi comportamentali e di un non specificato “disagio psicologico” degli studenti delle scuole elementari, medie inferiori e materne, attraverso la somministrazione di un questionario a genitori ed insegnanti. Il progetto, portato avanti dagli stessi enti che gestiscono centri specializzati in neuropsichiatria infantile, come la Stella Maris, non presentava nulla di medico-scientifico e oggettivo, come si evince dalla superficialità e disumanità del questionario – nel quale si pone l’accento sui sintomi comportamentali del “disturbo” e si ignora invece del tutto l’azione del contesto, la storia personale del bambino e la rete di relazione in cui è inserito – , ma piuttosto un approccio metodologico tipico delle strategie di marketing, come la creazione della “proiezione della necessità” e la definizione di una nicchia di mercato a cui indirizzare i trattamenti farmacologici, in previsione della reintroduzione nel nostro paese del Ritalin, che era stato ritirato dal commercio nel 1989 perché nocivo alla salute.Ma il fenomeno della psichiatrizzazione dell’infanzia, oltre ad essere palesemente legato agli interessi delle multinazionali farmaceutiche, che non badano a spese per comprare medici, istituzioni e mezzi d’informazione pur di aumentare i propri guadagni, e che dalla produzione e pubblicizzazione di psicofarmaci inducono bisogni e consumi standardizzati, ricavando strepitosi guadagni e trasformando il concetto di salute in un bene di consumo – ed il ministero della sanità in agenzia promozionale fautrice di propagande disinformative – , è dovuto alla volontà di controllo da parte del potere, poiché permette di velocizzare il processo di osservazione e normalizzazione dei nostri comportamenti e di reprimere sin dall’infanzia l’elemento di disturbo dell’ordine sociale costituito.

IMPORTANTE NUMERO PROVVISORIO TELEFONO VIOLA DI MILANO

  • November 16, 2008 4:31 pm


IL TELEFONO VIOLA DI MILANO
una linea contro gli abusi della psichiatria
causa problemi con la telecom
HA ATTIVATO UN CELLULARE DI EMERGENZA
334.3968947
attivo da lunedì 17 novembre 2008
con una presenza tutti i mercoledi
dalle 17.00 ALLE 20.00
e con una segreteria telefonica 24h su 24h