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“STRAPPI. Riflessioni Antipsichiatriche”

  • March 17, 2022 9:19 pm

è stato pubblicato “STRAPPI. Riflessioni Antipsichiatriche”. Un opuscolo collettivo con vari approfondimenti sul ruolo della psichiatria nell’adolescenza, nell’aumento delle diagnosi psichiatriche a scuola, nella digitalizzazione, nel carcere e nelle REMS. Sotto il link per scaricarlo e l’introduzione. 

opuscolo-collettivo definitivo-web

 

INTRODUZIONE

Siamo dei collettivi antipsichiatrici e singole persone da anni impegnate, sul territorio, a contrastare le pratiche della psichiatria. Il nostro impegno consiste nell’osservazione, nell’analisi, nel monitoraggio attivo del ruolo sempre più
ingombrante che la psichiatria si vede riconoscere all’interno della società, ponendo particolare attenzione alle modalità e ai meccanismi attraverso i quali essa si espande sempre più capillarmente e trasversalmente. Tale tendenza si
è ingrandita e rafforzata durante la pandemia. Aver vissuto un periodo senza contatti sociali dovuto alla paura del contagio, lo stress da confinamento e la crisi economica, che sta colpendo ampi strati sociali, ha causato un incremento
dei disagi psichici. L’ epidemia da Covid-19 e la sua gestione politico-mediatica ha messo in difficoltà la maggior parte della popolazione, generando disagi, patologie e fragilità e ha portato ad un rafforzamento dei dispositivi psichiatrici.
Assistiamo infatti ad un frequente ricorso al TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio), ad un aumento del consumo di psicofarmaci e della contenzione fisica all’interno dei reparti psichiatrici di diagnosi e cura e non solo (RSA, ospedali,
centri di detenzione per immigrati). In questo opuscolo collettivo troverete approfondimenti sul ruolo della psichiatria nell’adolescenza, nell’aumento delle diagnosi psichiatriche a scuola, nella digitalizzazione, nel carcere e nelle REMS
(Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza). L’idea nasce dalla volontà di voler contrastare il dilagare della psichiatria, con l’obiettivo di informare e sensibilizzare sugli effetti nefasti di una disciplina che opprime e riduce gli individui a mere categorie diagnostiche e nega loro la possibilità di autodeterminarsi. Ci sembra necessario mettere in discussione le pratiche di esclusione e segregazione indirizzate a coloro che non rientrano negli imposti parametri dei così detti “comportamenti normali”. Negli ultimi decenni la psichiatria ha radicato il suo pensiero e potenziato le sue tecniche nell’intero corpo sociale diventando un vero e proprio strumento di controllo sociale trasversale a varie Istituzioni e fasce d’età. Un concreto percorso di superamento delle pratiche psichiatriche passa necessariamente da uno sviluppo di una cultura non etichettante, senza pregiudizi e non segregazionista, largamente diffusa, capace di praticare principi di libertà, di solidarietà e di valorizzazione delle differenze umane.

Assemblea Antipsichiatrica

ALCUNE CONSIDERAZIONI SU ATTUALITÀ E PANDEMIA

  • August 29, 2021 11:11 pm

Pubblichiamo uno scritto sull’attualità e la pandemia di alcune/i compagne/i di Bologna

ALCUNE CONSIDERAZIONI SU ATTUALITÀ E PANDEMIA
Questo scritto prova a raccogliere alcune riflessioni emerse nel contesto pandemico
attuale. Non ha la pretesa di essere esaustivo ma solo di tracciare qualche
considerazione che tenga conto di alcune complessità.

UNA PREMESSA NECESSARIA
Il consumo di immagini, emozioni forzate, informazioni e disinformazioni alimentato dai
media mainstream è ormai talmente accelerato, quasi parossistico, che ogni notizia che
può fare scalpore diventa pervasiva, spingendo la gente a prendere partito (quale che
sia), ad esprimere opinioni (quali che siano), consensi, applausi o dissensi ed
indignazioni. In un brevissimo lasso di tempo la “notizia” scivola via, slegata dalla vita
reale, facendosi sfondo, rappresentazione, teatro a cui si può assistere, vetrina per l’ego
atomizzato di ognunx, aliena ad elaborazioni complesse, come da social network.
E’ stato relativamente difficile non rincorrere l’instant-book del momento, ma non
abbiamo mai smesso di dire in modo fermo e determinato quanto l’attualità sia solo
quella dei soggetti e non quella del tempo preconfezionato, cello-phanato e distribuito
dallo Stato. Per questo abbiamo rifuggito dal farci anche noi attrici e attorx di un triste
teatrino sulla pelle deglx ultimx, che è la nostra, e piuttosto che alimentare un dibattito
infruttoso, ci siamo preoccupate di non abbandonare le strade e di lottare accanto a chi
scelta e voce non è ha, contro chi sfrutta e opprime, come abbiamo sempre fatto.
Come prima cosa ci siamo postx delle domande su come autogestirci e autotutelarci
dal virus oltre la burocrazia statale, da un punto di vista pratico e antiautoritario,
individuando aspetti da considerare e alcunx possibili criteri basati sul consenso.
Dall’inizio della pandemia in troppx hanno rinunciato ad una riflessione critica che
tenesse conto delle complessità legate al contesto emergenziale che si è venuto a
creare. Questo ha lasciato campo libero a fratture che si sono insidiate nei gruppi,
spianando la strada a sterili dicotomie (salute, cura – sorveglianza, sicurezza / si vax – no
vax…) che ricalcano la propaganda di Stato e fanno solo il gioco delle destre e dei
padroni.
Se da una parte è emersa una tendenza diffusa ad esasperare gli aspetti allarmisitico distopici legati alla pandemia senza il minimo discernimento, dall’altra si è evidenziata
invece una generalizzata minimizzazione degli effetti drammatici dei cambiamenti che
stiamo vivendo che riflette un attendismo che non rassicura.
Questo processo di polarizzazione è legato a doppio filo con la pervasività di una
comunicazione interpersonale sempre più tecnologicamente mediata: le relazioni faccia
a faccia diminuiscono sempre più, la conoscenza e le relazioni diventano sempre più
filtrate da piattaforme digitali commerciali che influenzano la percezione delle
informazioni e dei messaggi, ostacolando rielaborazioni critiche.
In molti contesti ‘compagni’ la componente dei vissuti, delle esperienze, la componente
affettiva ed emotiva della vita e delle relazioni che ci animano è stata trascurata
generando conflitto e ulteriore sofferenza, facendo sentire le persone ancora più isolate.
E’ emersa una certa indifferenza diffusa per quanto riguarda il prendersi cura di sè e
dell’altrx anche nei contesti antiautoritari e di lotta, colonizzati ancora da dinamiche di
esclusione, produttività o consumo, e sono sempre meno gli spazi in cui ricercare
reciproca soggettivazione nella ricerca comune di liberazioni che siano anche ‘pratiche’.

È UNA GUERRA TRA POVERX QUELLA CHE CI ASPETTA?
Stato, destre e padroni stanno cavalcando la pandemia riducendo le complessità e le
relazioni tra le diverse oppressioni per separarle, renderle inoffensive, manipolabili e
sfruttabili ai fini produttivo-capitalistici.
Mentre sinistra e Confindustria speculano sulle nostre vite, da oltre un anno assistiamo
all’estendersi di derive razziste, abiliste, xenofobe e sessiste, che dal regno del
pregiudizio tornano ad affermarsi attraverso un principio di determinazione aspecifico
che strizza l’occhio ad uno spietato darwinismo sociale travestito da libertà, volto a
naturalizzare le ingiustizie sociali.
Intimamente convintx che in un sistema che genera morte, malattia, disuguaglianza e
alienazione come il capitalismo, una malattia non sia solo un’etichetta diagnostica ma
sia frutto di interazioni e connessioni tra cultura, società, umanità e ambiente, crediamo
sia necessario non smettere di interrogarci sulle contraddizioni, sui dubbi, sugli
interessi, sulle oppressioni in campo legate al nuovo contesto che stiamo vivendo.

SU CURA E SALUTE NEL CONTESTO CAPITALISTA
La pandemia ha messo in luce quanto siamo disabituatx a considerare i concetti di
‘salute’, ‘malattia’, ‘cura’, in modo critico, quindi in relazione all’attuale organizzazione
socio-economica.
Mentre gli ambienti di vita e di lavoro diventano sempre più piccoli, ristretti e atomizzati,
aumenta e si amplifica a dismisura la varietà della divisione del lavoro e dello
sfruttamento. La drastica riduzione degli spazi fisici di soggettivazione ha spostato
l’alienazione dei Tempi moderni di Chaplin, dalle fabbriche all’individuo.
Si tratta di nuovi paradigmi produttivi meno fondati sulla fabbrica e più sui servizi: la
merce sei tu.
Anche la salute è sempre più individualizzata. Divenuta di pertinenza esclusiva di una
medicina organizzata definitivamente come corpo separato, la dimensione della ‘cura’
riflette l’organizzazione del corpo sociale a partire dalla divisione del lavoro e dalla
divisione in sfere sempre più isolate e mercificate di tutti i fenomeni umani.
Di quel ‘sistema sanitario’ tanto celebrato eredità delle lotte e delle agitazioni dei
movimenti degli anni ’70, rimane poco e niente, un’azienda tra le aziende annientata
dalle violente privatizzazioni.
Mentre aumenta il potere delle industrie farmaceutiche, la maggior parte dell’insieme di
attenzioni e cure necessarie per il sostentamento della vita è lavoro salariato al ribasso,
ultra-proletarizzato e fortemente connotato in termini di genere e razza.
Quanto non è compreso dai ‘servizi’ rimane tombato nelle case, schiacciato in quel
privato alienato che esprime gli stessi meccanismi patriarcali di Stato.
Da controaltare a questo isolamento dei corpi sempre più stringente, un sistema di
sfruttamento capillarizzato e in costante crescita.
L’assenza di culture dal basso in merito ai temi della ‘salute’, della ‘malattia’ e della ‘cura’
ha determinato la delega ai tecnici, totale e assoluta, e lasciato campo libero agli
interessi del Capitale di espropriare le fasce oppresse della popolazione da scelte e da
possibili processi di autodeterminazione in merito.
L’infantilizzazione che lo Stato sta attuando sul corpo sociale è lo specchio del livello di
delega che il corpo sociale ha concesso allo Stato e al Capitale.
Irrompono nel dibattito collettivo le problematicità legate alle tecnologie della
comunicazione e dell’informazione, al capitalismo della sorveglienza, al mercato delle
tecnologie legate alla salute, al corpo e alle relazioni in mano a grandi multinazionali,
nonchè l’ambiguità di una scienza mercificata e subordinata al profitto. Emerge come la
tecnologia industriale si sia servita del lavoro di milioni di lavoratrici e lavoratorx per
creare la ricchezza della ‘classe dirigente’ che aliena, sfrutta e tortura, mentre i corpi
oppressi sono ridotti ad oggetti e funzioni in relazione a chi detiene i maggiori privilegi
sociali ed economici.
Ma una riflessione critica alla scienza e alla cura nel contesto capitalista che sia
realmente antiautoritaria non può sedersi sul proprio privilegio e ridursi ad
un’amputazione ideologica della realtà, la trama complessa dei contesti di sfruttamento
è infatti composta da molteplici oppressioni che altrimenti rischiano di essere
invisibilizzate.
Si tratta quindi di impegnarsi nello svelare le interellazioni tra le diverse oppressioni che
stanno attraversando la vita di milioni di persone in un contesto di sfruttamento
sistemico, globalizzato e interconnesso.

QUALCHE RIFLESSIONE SU OBBLIGO VACCINALE E TUTELA DAL VIRUS
E’ la prima volta che vaccini basati sulla tecnologia a mRNA vengono sperimentati e non
ci sono garanzie sul comportamento a lungo termine: già solo questo dovrebbe bastare
nel considerare qualsiasi obbligo, ricatto o pressione, moralmente sbagliato.
Per questa campagna vaccinale il dubbio, che pure costituisce il motore dello stesso
metodo scientifico, non è ammesso. La medicina, intesa nella sua applicazione tecnico farmacologica, si erge a scienza esatta rinnegando le stesse basi filosofiche che la
animano.
Lo stesso Stato che ha compiuto impunemente stragi, cerca di costruire un nemico
unico e perfetto, scaricando l’emergenza su chi non risponde prontamente ad una
scelta che ha tutto il diritto di essere ponderata.
Oscillare tra carità e punizione, polarizzare le posizioni, serve a scaricare le
responsabilità, ad individualizzare le colpe, a livellare le contraddizioni e ad abbattere
tutto ciò che non si conforma al ritmo stabilito dal Capitale.
Se da una parte è necessario lottare per l’accesso a possibilità di cura per tutti e tutte,
contro i brevetti e i profitti delle multinazionali sulla pelle di chi soffre, dall’altra
legittimare l’imposizione di una vaccinazione sperimentale con coercizione e ricatto
rappresenta un pericoloso precedente che non riguarda esclusivamente la minoranza
relativa di coloro che non vogliono/non possono vaccinarsi.
E’ importante considerare che il rifiuto dei farmaci o dei vaccini non si configura solo
come privilegio, rimane aperto il tema del rapporto tra medicina e culture, tra medicina
occidentale e colonialismo medico, fermo restando le disparità di accesso alla salute in
un sistema globalizzato di sfruttamento dove le diseguaglianze hanno stretti legami di
interdipendenza.
Quindi se un discorso pro o contro la vaccinazione in astratto è un cortocircuito
costruito e fasullo buono solo a coprire le falle di un sistema che inizia a fare acqua da
tutte le parti e in modo evidente, è chiaro come il nemico rimanga uno Stato
paternalista che ha bisogno di infantilizzare il corpo sociale per tutelare esclusivamente
i propri interessi economici.
Essere contro la coercizione e l’obbligo vaccinale non ci ha impedisce di interrogarci
sulla necessità di tutela di contagio dal virus, soprattutto per quanto riguarda chi è piu
esposto e vulnerabile nei luoghi di reclusione e dello sfruttamento di massa, dove le
relazioni sono imposte e non volute. E’ evidente che dove non c’è spazio per la
soggettivazione e la cura reciproca, per la relazione e il consenso, si fa strada la
burocrazia e la coercizione, e che a pagarne il prezzo, oggi come ieri, saranno sempre e
comunque tutte quelle vite già discriminate, considerate di scarso valore o ritenute
‘improduttive’.
Se è vero che la vaccinazione stia risultando efficace nell’abbassare i ricoveri, le morti e
la pressione sul sistema sanitario, è vero anche che la campagna vaccinale portata
avanti dal governo a reti unificate ha spinto moltx a non tenere nessuna precauzione
circa reazioni avverse anche gravi che potevano essere evitate.
É importante considerare che la ‘protezione’ al momento si riferisce ad un minore
rischio di infettarsi, quindi di contrarre la malattia in modo grave e di trasmettere il virus.
Non tutela davvero dalla possibilità di contagiarsi e contagiare, ma diminuisce la
probabilità che soggetti fragili contraggano la malattia, o la contraggano in modo
grave.
Mentre tuttx fuori, rassicurati dai proclami di Stato, si sono completamente disinibitx
per quanto riguarda qualsiasi misura di prevenzione di base – perchè è arrivato il
vaccino e basta il green pass – è evidente invece che il dispositivo tecnico della
vaccinazione non basterà.
Appellarsi ad un senso di ‘comunità’ nella società neoliberista assume caratteri farseschi
quando tre quarti del mondo non ha accesso a livelli di salute minimi.
Prevenzione, riduzione del danno, redistribuzione delle risorse non se ne vedono,
rapporti di forza per mettere in discussione un sistema al collasso che si ostina a tirare
dritto nonostante tutto e tutti, nemmeno.
Intanto le case farmaceutiche produttrici di vaccini a mRNA – quelli che si stanno
rivelando statisticamente più efficaci – alzano il prezzo dei farmaci.
Si procede per ricatti, e saranno sempre di più.
SU GREEN PASS
Ed è così che si arriva al green pass, un’escamotage che lo Stato sta trovando per
scaricare di nuovo su gli individux le proprie responsabilità: si ricattano le persone con
un documento che le metterà all’angolo per poter accedere a molte attività al chiuso,
esasperando ulteriormente differenze e certificando nuove discriminazioni.
Una misura che non ha niente a che vedere con la tutela della salute e con qualsiasi
concetto di prevenzione. Chi diventerà lo sbirro di chi? Potrebbe diventare obbligatorio
per trasporti a lunga percorrenza, per la scuola e per il lavoro.
Opporsi a questo ricatto non solo è giusto, ma necessario.
Scegliendo deliberatamente di lavarsi la coscienza, lo Stato sta sancendo un’ulteriore
frattura tra un’umanità di serie A e un’umanità di serie B per tutelare gli interessi dei
soliti noti, liberi si, ma di tornare a sfruttare, mentre le disuguaglianze che hanno
segnato la pandemia sin dall’inizio continueranno a farlo.

CHI HA PAGATO FIN’ORA E CHI PAGHERÀ?
A ogni latitudine sono state le fasce della popolazione più svantaggiate – all’interno delle
quali si trovano la maggior parte dei migrantx e dei non bianchx – a essere colpite dalla
pandemia.
Le frontiere hanno mostrato tutta la loro violenza evidenziando come a questo mondo
muri e confini esistano sempre e soltanto contro i poveri, mentre merci ed economie
assassine possono girare indisturbate.
La diffusione globale del virus ha viaggiato infatti in business class alla stessa velocità
dei numeri in borsa, non annegando sui barconi nel mediterraneo. Ma le morti contano
solo se hanno effetto sui mercati, le vite valgono soltanto se è possibile metterle a
profitto.
L’ultimo anno ha messo in luce tutta la ferocia che sottende al mantenimento di questo
sistema di sfruttamento:
La strage nelle carceri ha svelato la violenza strutturale su cui si fondano tutti i luoghi di
reclusione, oltre che l’omertà dell’intervento sanitario nelle galere italiane, dove
l’eccezione non è la ‘malasanità’, ma trovare un medico non connivente con le guardie. Il
silenzio di medici e infermieri è stato assordante rispetto gli abusi compiuti in quei
giorni e rispetto agli abusi che si perpetuano ogni giorno in tutte le carceri: la salute nei
luoghi di reclusione è isolamento, annientamento, deprivazione, contenzione fisica,
farmacologica, psicologica, violenza e repressione sistemica. La reclusione genera
disturbi e menomazione, patologie e fragilità che spesso esordiscono in carcere e si
protraggono anche dopo la scarcerazione. A questo si aggiungono la fatiscenza
strutturale degli ambienti, l’insalubrità del cibo, l’assenza di docce, e il trito e ritrito
affollamento, buono soltanto come scusa per mantenere intatto il meccanismo.
Negli ospedali, nelle residenze per anziani, nelle strutture sociosanitarie si é consumata
una strage silenziosa e taciuta: operatrici e operatori sbattuti in reparti covid senza
formazione e protezioni adeguate, lavoratorx ‘usa e getta’ obbligatx a lavorare pure se
positivx fino alla comparsa dei sintomi, protocolli fatti di tachipirina e vigile attesa e
persone murate in casa senza alcuna cura o visita medica e condannata alla morte.
Mentre il numero dei morti saliva il ricatto salute/lavoro ha visto tutelati i profitti dei
padroni prima ancora della salute delle persone, come osservato drammaticamente in
Lombardia, dove ospedali e luoghi di lavoro hanno continuato ad alimentare inesauribili
il serbatoio dei positivi.
Deroga su deroga si sono continuate a tenere aperte le grandi fabbriche per volere di
Confindustria costringendo le persone ad andare a lavoro sui mezzi pubblici, mentre si
chiedeva in parlamento uno scudo penale bipartisan per proteggere imprenditori e
manager delle aziende pubbliche.
Anche l’istituzione scolastica ha mostrato tutta la sua ipocrisia: milioni di euro per
l’acquisto di banchi a rotelle per la didattica digitale ‘a seduta innovativa’ spacciati come
misura anticovid, mentre la sofferenza di bambini e bambine è scomparsa per decreto.
La morte è stata rimossa, strumentalizzata, spettacolarizzata, per essere piegata ad una
propaganda del terrore che ha impedito qualsiasi processo collettivo di socializzazione
del lutto e di condivisione del dolore.
Lo stesso Stato che ha sempre tutelato solo e soltanto gli interessi dei padroni, tenta
oggi d’un sol colpo di pulirsi la coscienza sbandierando un’ipocrita volontà di
proteggere i più fragili, quando l’eccezionalità della pandemia nel contesto capitalista
ha reso evidente quanto i profitti legati alle merci siano sempre venutx prima delle
persone.
Tutto questo è sempre stato vero, non è arrivato oggi col covid e non andrà via con un
vaccino.

CONCLUSIONI
L’isolamento imposto durante il lockdown si è insediato su una condizione di profonda
miseria umana e materiale che ha sterilizzato rapporti e legami e impedito elaborazioni
critiche dei vissuti e della realtà, mostrando come questo sistema capitalista sia il vero
responsabile dell’alineazione e della povertà che solca a tutti i livelli le nostre relazioni e
le nostre possibilità di autodeterminazione e riappropriazione, oltre che il principale
attore della frammentazione/atomizzazione che ci attraversa.

CHE FARE?
Intanto ricostruire un tessuto umano in grado di rimettere in campo rapporti di forza,
riappropriarsi dei quartieri, di bisogni e desideri, tessere alleanze e intersezioni,
costruire solidarietà, riprendersi zone autonome e indipendenti dal potere statale, farla
pagare a chi sfrutta e opprime.
Non sappiamo bene “che fare”, domanda antica, forse ci sono tante cose da fare,
vediamo bene però, un passo alla volta, dove tutto sta andando.

Agosto 2021, Bologna

LA CONTENZIONE FARMACOLOGICA DELL’INFANZIA

  • January 21, 2020 1:43 pm

LA CONTENZIONE FARMACOLOGICA DELL’INFANZIA

a cura del COLLETTIVO ANTIPSICHIATRICO ANTONIN ARTAUD appendice al libro di Wiliam Frediani “Seduti e zitti! Invettiva sull’istituzione scolastica.” edizioni Sensibili alle foglie gennaio 2020

C’è qualcosa che deve essere ancora scoperto che possa identificare che cosa è l’ADHD e cosa non lo è. (Keith Conners)[1]

Il campo nel quale, negli ultimi anni, si è registrato il maggiore aumento di diagnosi psichiatriche e prescrizioni di psicofarmaci è senz’altro quello dell’infanzia e dell’adolescenza. Oggi a scuola sono sempre di più i bambini che hanno diagnosi psichiatriche, in particolare disturbo dell’adattamento, dell’attenzione, iperattività̀, depressione, disturbo bipolare. L’introduzione di nuove patologie infantili, nell’ultimo Manuale Diagnostico e Statistico (DSM) del 2013, allarga i confini diagnostici tra ciò che è normale e ciò che non lo è, favorendo l’entrata in psichiatria di un numero sempre più alto di bambini, a cui sono prescritti psicofarmaci per periodi più o meno lunghi della loro vita.

Il DSM è oggetto di profonde critiche di metodo e di merito, accusato di aver ampliato a dismisura lo spettro delle patologie psichiatriche. Si tratta di un aumento percentuale, senza precedenti in Italia, e che pone più di un dubbio sull’attuale boom terapeutico a cui sono sottoposte le giovani generazioni nel nostro Paese. Tutti i dati statistici confermano una sensazione diffusa tra chi passa la propria vita, professionale e non, nelle aule della scuola italiana: siamo di fronte a un aumento esponenziale di diagnosi e certificazioni di disabilità, di patologie psichiatriche, disturbi e difficoltà.

L’esplosione delle diagnosi (passate da 1,4% del 1997/98 a 3,1% del 2017/18), mostra come in venti anni esse siano più che raddoppiate: da 123.862 a 268.246. Salta agli occhi il fatto che attualmente la tipologia più diffusa è quella delle disabilità intellettive che da sole rappresentano il 68,4% del totale.[2]

L’attuale tendenza dell’insegnamento e della pedagogia è quella di farsi coadiuvare dalla neuropsichiatria ogni qualvolta un bambino disturba o contrasta i programmi formativi. Il “disagio” comportamentale, invece di essere valutato come un campanello d’allarme nella relazione con l’adulto, viene incasellato come un problema mentale del bambino, dispensando così l’educatore o l’insegnante dal modificare l’approccio educativo e delegando il problema a un neuropsichiatra. “L’educatore così – deresponsabilizzato e dispensato dal dover modificare il proprio approccio educativo – delegherà̀ a un esperto il problema (reale o apparente che sia), il quale lo affronterà̀ dal punto di vista della salute mentale. La pedagogia di stampo più repressivo si rinnova nel tentativo di contenere chimicamente quelle condotte non riconducibili alla norma; così si elimina la soggettività̀, si disciplina quella potenziale libertà presente nell’infanzia che, attraverso desideri e aspirazioni, porterebbe a una personale interpretazione dell’esistenza”.[3]

Vince così il paradigma biologico secondo cui questi bambini hanno qualcosa che non va nel loro cervello e per questo dovranno assumere psicofarmaci. Molti psichiatri trovano più semplice dire ai genitori e agli insegnanti che il bambino ha un disturbo mentale anziché́ suggerire dei cambiamenti rispetto alla genitorialità̀ o all’educazione. Il comportamento considerato deviante e non conforme ai canoni prestabiliti di normalità̀ viene isolato, fotografato, trasformato in diagnosi, strappato al rapporto relazionale insegnante-alunno e, sempre più spesso, curato con i farmaci. La medicalizzazione della scuola è inquadrabile all’interno dell’esigenza di ridurre a una risposta semplice e immediata l’interazione complessa dei diversi fattori che determinano i comportamenti in età̀ evolutiva.[4]

A partire dal 2012 una serie di circolari e direttive ministeriali ha imposto nelle scuole l’individuazione degli alunni con BES (Bisogni Educativi Speciali). I BES sono un immenso calderone che comprende, suddivisi in tre macro categorie, “disabilità”, “disturbi”, “disagi e svantaggi”. Di solito l’acronimo viene usato per indicare solamente i BES di terzo tipo, quelli del “disagio” o dello “svantaggio”.[5] A otto anni dall’avvio della farraginosa macchina dei BES, il MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università̀ e della Ricerca) non ha ancora fornito cifre attendibili sui cosiddetti BES di terzo tipo; ci sono comunque dati che stimano intorno a un milione la cifra totale, fra cui sarebbero compresi 80.000 studenti con ADHD (Disturbo da Deficit dell’Attenzione e Iperattività̀) e circa 400.000 con funzionamento intellettivo ridotto, con un’incidenza pari al 5% sull’intera popolazione studentesca italiana. In mancanza di statistiche più attendibili, sembrerebbe che proprio le difficoltà momentanee, come la timidezza, l’ansia, i dissesti economici, il lutto, i problemi di lingua conseguenti alle migrazioni, e le circostanze avverse della vita siano i principali protagonisti dei pervasivi meccanismi medicalizzanti e psichiatrizzanti che stanno scuotendo dalle fondamenta la scuola italiana.[6] È significativo il fatto che in Italia gli alunni stranieri siano 815.000, il 9,2% dell’intera popolazione scolastica e di questi il 12% sia stato certificato.[7]

Oggi, a scuola, si mira sempre più a un addestramento alla produttività̀, all’efficienza e alla centralità̀ del risultato. Molti insegnanti sono stati convinti dall’autorità̀ dello psichiatra che i bambini che esprimono comportamenti sofferenti abbiano bisogno di farmaci stimolanti per cui i maestri e le maestre hanno rinunciato alla ricerca di soluzioni in classe per risolvere i problemi. In realtà̀ questi docenti dovrebbero essere incoraggiati a cercare e trovare nuovi metodi nell’educazione.

Insegnare dovrebbe dare priorità̀ alla relazione, sapere e poter sperimentare approcci didattici e pedagogici a seconda della persona con la quale ci si rapporta. Esistono approcci didattici e pedagogici che, anziché́ sopprimere la spontaneità̀, aiutano gli studenti che manifestano “disagio” ed evitano di trattare il loro cervello in crescita con sostanze altamente tossiche come gli stimolanti. Insegnare è un’attività̀ fluida, cangiante, sfumata, che cambia da persona a persona, da situazione a situazione, proprio perché́ basata sull’interazione e non sui dogmi. L’attività̀ dell’insegnamento ha tante caratteristiche, ma non dovrebbe avere quella dell’assolutezza, dell’indiscutibilità̀, della categoricità̀. Non esistono metodi validi in assoluto: insegnare è un’attività̀ che fa interagire soggettività̀, singole e di gruppo. Significa condividere pezzi di vita, conoscenze ed esperienze. Non indottrinare, ma interagire; non preparare al lavoro, ma preparare alla vita.[8]

Una delle diagnosi fra le più diffuse a scuola è quella di ADHD, che raggruppa un insieme di comportamenti considerati inadeguati e anormali dello scolaro, che possono essere causati da innumerevoli fattori, come l’ansia per la scuola o per le verifiche, l’impreparazione scolastica, una classe noiosa, un insegnamento inadeguato, problemi e conflitti a casa o a scuola, cattiva alimentazione e insonnia. La diagnosi di ADHD non mette in relazione lo stato mentale, l’umore e i sentimenti del bambino e non dà luogo a una valutazione completa dei suoi bisogni reali per migliorare l’educazione e la genitorialità̀.

Tale diagnosi ha determinato il ricorso sempre più massiccio all’utilizzo di sostanze psicotrope come il Ritalin, uno stimolante a base di metilfenidato prodotto dalla Novartis Farma Spa, che ha effetti simili a quelli delle anfetamine. Il Ritalin agisce principalmente sulla ricaptazione della dopamina, ma non sono chiare né la gamma completa delle sue interazioni biochimiche, né la modalità̀ d’azione.[9]

Un altro farmaco utilizzato è lo Strattera (atomoxetina), un inibitore della ricaptazione della noradrenalina. La casa produttrice Ely Lilly non è riuscita a farlo approvare per la depressione, ma lo vende come trattamento “non stimolante” per l’ADHD. Molti bambini hanno sviluppato impulsi suicidi e omicidi sotto l’effetto dell’atomoxetina, che può̀ inoltre provocare insufficienza epatica.[10] Negli Stati Uniti, negli ultimi anni, ai bambini piccoli con diagnosi di ADHD viene somministrato l’Adderall, un composto di sali di anfetamina precedentemente utilizzato per la riduzione di peso con il nome di Obetrol, screditato e ritirato dal mercato poiché́ creava dipendenza. Questo farmaco è stato ritirato dal mercato canadese nel 2005 dopo che quattordici bambini sono morti improvvisamente e due hanno avuto un ictus.[11]

Di certo gli stimolanti a qualcosa servono: aiutano il contenimento di comportamenti considerati anormali. I farmaci per l’ADHD sono popolari tra gli insegnati perché́ rendono il loro lavoro più facile, ma è giusto dare farmaci ai bambini per renderli meno disturbanti? Gli stimolanti non producono miglioramenti duraturi rispetto all’aggressività̀, al disturbo della condotta, agli atteggiamenti violenti, all’efficacia negli apprendimenti, alle relazioni.[12]

Ebbene, anche nel caso in cui gli psicofarmaci producessero risultati positivi dal punto di vista del comportamento a scuola, sarebbero d’aiuto per il bambino? Oltre ad agire solo sui sintomi e non sulle cause della sofferenza della persona, gli psicofarmaci alterano il metabolismo e le percezioni, rallentano i percorsi cognitivi e ideativi contrastando la possibilità̀ di fare scelte autonome, generando fenomeni di dipendenza e assuefazione del tutto pari – se non superiori – a quelli delle sostanze illegali classificate come droghe pesanti. Presi per lungo tempo, possono portare a danni neurologici gravi che faranno del bambino un disabile.

È compito degli adulti difendere le nuove generazioni tornando a riflettere sull’importanza dell’ambito sociale, comunitario e relazionale per la loro educazione. È necessario che genitori, insegnanti, educatori e tutti coloro che hanno a che fare con i bambini, non cedano al riduzionismo psichiatrico, non psichiatrizzino ogni comportamento disturbante e/o sofferente, affinché́ la fantasia, il senso critico e la libertà di scelta possano continuare a caratterizzare l’infanzia.[13]

 

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud-Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.orgwww.artaudpisa.noblogs.org 335 7002669 via San Lorenzo 38 Pisa 

[1] Keith Conners, psicologo americano, storico pioniere degli studi sull’ADHD e “padre” del test Conners Rating Scale, uno degli strumenti diagnostici più utilizzati nelle scuole per accertare l’ADHD.

[2] http://www.giornale.cobas-scuola.it/ossessione-diagnostica/

[3] Gazzola C., Ortu S., Divieto d’infanzia, BFS Edizioni, Pisa, 2018, p. 11.

[4] http://www.giornale.cobas-scuola.it/richiamo-allordine/

[5] Gazzola C., Ortu S., Divieto d’infanzia, op. cit.

[6] http://www.giornale.cobas-scuola.it/ossessione-diagnostica/

[7] Santerini M., “Diamo a ciascuno il tempo di cui ha bisogno”, in: Conflitti. Rivista italiana di ricerca e formazione psicopedagogica, n. 3, 2017, p. 32.

[8] http://www.giornale.cobas-scuola.it/richiamo-allordine/

[9] Esposito A., Le scarpe dei matti, Ad Est dell’Equatore Editore, Napoli, 2019.

[10] Whitely M., “Strattera a sad story (warning it may make you want to kill your- self)”, 2015, su http://www.speedupsitstill.com/strattera/

[11] Gotzsche P.C., Psichiatria letale e negazione organizzata, Fioriti Editore, Ro- ma, 2017.

[12] Whitaker R., Indagine su un’epidemia, Fioriti Editore, Roma, 2013. 13 Gazzola C., Ortu S., Divieto d’infanzia, op. cit.

[13] Gazzola C., Ortu S., Divieto d’infanzia, op. cit.

OPUSCOLO sul TASER

  • June 2, 2019 9:58 pm

Taser: arma ad impulsi elettrici. Storia, introduzione in italia, autodifesa

link per scaricare opuscolo sul  Taser:

“TASER. Arma a impulsi elettrici Storia, introduzione in Italia, autodifesa.”
Marzo 2019

Per condividere esperienze, riflessioni, critiche:
taser@riseup.net

Le case farmaceutiche israeliane testano farmaci sui prigionieri palestinesi

  • March 25, 2019 9:28 am

Le case farmaceutiche israeliane testano farmaci sui prigionieri palestinesi

pubblicato il 22/02/2019 Da INVICTA PALESTINA

La professoressa israeliana Nadera Shalhoub-Kevorkian ha rivelato ieri che le autorità di occupazione israeliane rilasciano permessi a grandi aziende farmaceutiche per effettuare test su prigionieri palestinesi e arabi, come riportato da Felesteen.ps.

Il Times of Israel ha anche riferito che in una registrazione dell’evento, la professoressa della Hebrew University ha anche rivelato che le ditte militari israeliane stanno testando armi su bambini palestinesi e svolgono questi test nei quartieri palestinesi della Gerusalemme occupata.

Parlando alla Columbia University di New York, Shalhoub-Kevorkian ha dichiarato di aver raccolto i dati mentre stava conducendo un progetto di ricerca per la Hebrew University.

“Gli spazi palestinesi sono laboratori”, ha detto. “L’invenzione di prodotti e i servizi di società di sicurezza sponsorizzate dallo stato sono alimentati dal coprifuoco a lungo termine e dall’oppressione del popolo palestinese da parte dell’esercito israeliano”.

Nel suo discorso, intitolato “Disturbing Spaces – Violent Technologies in Palestinian Jerusalem“, la professoressa ha aggiunto: “Controllano quali bombe usare, bombe a gas o petardi. Se mettere sacchi di plastica o sacchi di stoffa. Se colpirci con i loro fucili o prenderci a calci con gli stivali. “

La scorsa settimana, le autorità israeliane hanno rifiutato di consegnare il corpo di Fares Baroud, che è morto nelle prigioni israeliane dopo aver sofferto di una serie di malattie. La sua famiglia teme che possa essere utilizzato per tali test e Israele teme che questo possa essere rivelato attraverso indagini forensi.

Nel luglio 1997, il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth riferì che Dalia Itzik, presidente di una commissione parlamentare, ammetteva che il Ministero della Sanità israeliano aveva concesso alle case farmaceutiche il permesso di testare i loro nuovi farmaci sui detenuti, affermando che già erano stati effettuati 5.000 test.

Nell’agosto 2018, Robrecht Vanderbeeken, segretario culturale del sindacato ACOD belga, ha segnalato che la popolazione della Striscia di Gaza sta “morendo di fame, avvelenata, e che i bambini vengono rapiti e uccisi per i loro organi”.

Ciò ha seguito i precedenti avvertimenti dell’Ambasciatore Palestinese alle Nazioni Unite Riyad Mansour, il quale ha affermato che i corpi dei palestinesi uccisi dalle forze di sicurezza israeliane “sono stati restituiti con cornee e altri organi mancanti, confermando ulteriormente le notizie passate sul prelievo di organi da parte della potenza occupante”.

Fonti: https://www.middleeastmonitor.com/20190220-israel-pharmaceutical-firms-test-medicines-on-palestinian-prisoners/?fbclid=IwAR3Fo7h3RXjUqiA_OhZ-_pUjjV5yoCWA6hZXiOBQSeAcYNVilEId2uVioZ

https://www.invictapalestina.org/archives/35450

estratto sugli psicofarmaci da “SORVEGLIATO MENTALE”

  • December 16, 2018 1:33 pm

pubblichiamo un piccolo estratto sugli psicofarmaci preso da

“SORVEGLIATO MENTALE. Effetti collaterali degli psicofarmaci”

Manuale d’Uso  a cura di Maria Rosaria D’Oronzo e Paola Minelli edizioni Nautilus

estratto di Sorvegliato Mentale

CORRENTI DI GUERRA. Psichiatria militare e faradizzazione durante le Prima guerra mondiale

  • March 16, 2017 6:17 pm

sotto il link alla versione pdf da scaricare dell’opuscolo di Marco Rossi “Correnti di guerra”. Sulla psichiatria militare e l’uso della corrente elettrica durante la prima guerra mondiale, autoprodotto dal Collettivo Artaud.

correnti di guerra pdf

di Marco Rossi: LA GRANDE GUERRA ELETTRICA

  • December 7, 2015 11:58 am

correnti belliche

link ad un interessante contributo di Marco Rossi sulla psichiatria di guerra e sull’uso della corrente elettrica durante la prima guerra mondiale sulle persone considerate “simulatori” e “nevrotiche”.

collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud -⁠ Pisa

BREVE COMMENTO a “Lettera ai direttori dei manicomi” di Antonin Artaud

  • August 2, 2015 7:21 pm

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Lettera ai direttori dei manicomi

di Antonin Artaud

(1925)

Il TESTO

Signori, le leggi e il costume vi conferiscono il diritto di misurare lo spirito, questa sovrana giurisdizione, di per sé spaventevole, la esercitate a vostro criterio: lasciateci ridere. La credulità dei popoli civilizzati, dei sapienti e dei governanti, adorna la psichiatria con indefinibili aureole sovrannaturali, ed i procedimenti della vostra professione vengono accettati a priori. Inutile discutere in questa sede il valore della vostra scienza e la dubbia esistenza delle malattie mentali, tuttavia chiediamo: su cento pretesi casi patologici che scatenano la confusione della materia e dello spirito, su cento classificazioni di cui le più vaghe restano le uniche utilizzabili, quanti i nobili tentativi di penetrare nel mondo cerebrale dei vostri prigionieri? E chi tra voi, per esempio, considera il sogno del demente precoce, con le relative immagini di cui è preda, qualcosa di diverso da un’insalata di parole? Non siamo stupiti di riscontrare la vostra inferiorità di fronte a un compito esclusivamente riservato a pochissimi predestinati, ma ci schieriamo contro la concessione del diritto di compiere ricerche nel regno dello spirito a uomini che, limitati o no, trovano conferma ai loro risultati per mezzo di condanne al carcere a vita. E che carcere! Si sa: i manicomi, lungi dall’essere “case di cura”, sono orribili galere nelle quali i detenuti forniscono una comoda e gratuita manodopera e i servizi sono una regola, e tutto ciò viene da voi tollerato. A dispetto della scienza e della giustizia, il manicomio è simile alla caserma, alla prigione, all’ergastolo. Per non infliggervi la pena delle facili smentite evitiamo di porvi in questa occasione il problema degli internamenti arbitrari, non esitiamo però ad affermare che la maggior parte dei vostri pensionanti, del tutto pazzi in base alle diagnosi ufficiali, sono anch’essi arbitrariamente internati. Non ci è possibile ammettere che si ostacoli il libero sviluppo di un delirio logico e legittimo al pari di ogni altra successione di idee e di azioni umane. La repressione degli impulsi antisociali è per principio chimerica e inaccettabile: tutti gli atti individuali sono antisociali. I pazzi sono le principali vittime della dittatura sociale; in nome dell’individualità tipica dell’uomo, pretendiamo la liberazione di questi forzati della sensibilità, poiché le leggi non hanno il potere di rinchiudere tutti gli uomini che pensano e agiscono. Sarebbe troppo facile precisare il carattere compiutamente geniale delle manifestazioni di certi pazzi, rivendichiamo semplicemente l’assoluta legittimità della loro concezione della realtà e tutte le conseguenze che ne derivano. Domattina all’ora della visita, quando senza alcun lessico tenterete di comunicare con questi uomini, possiate voi ricordare e riconoscere che nei loro confronti avete una sola superiorità: la forza.

L’AUTORE

Antonin Artaud ((Marsiglia, 4 settembre 1896 – Ivry-sur-Seine, 4 marzo 1948)

è stato uno scrittore, poeta, disegnatore, regista e attore francese. Figlio di un medico, che sperimenta su di lui una macchina che produce elettricità statica per curarlo da una meningite che gli era stata diagnosticata all’età di 5 anni; a 18 anni gli viene diagnosticata la sifilide ereditaria ed è seguito da vari medici che gli prescrivono l’assunzione di sostanze che peggiorano però i dolori e il suo stato di salute. Utilizza arsenico, laudano, cianuro di mercurio, ectina e svariate altre sostanze, ma allo stesso tempo scrive e dipinge, riuscendo a lavorare nel teatro e nel cinema.

Dal 1924 si ritira a vita privata e si dedica alla scrittura. Aderisce e poi rompe con i surrealisti. Artaud è sempre più un rivoluzionario cosmico, immerso nella sua vita di sofferenza da alla luce il “Teatro della Crudeltà” nel quale il pubblico non è più spettatore passivo ma bensì officiante della messa in scena teatrale. Un coinvolgimento catartico che ricompone ed espande il sé dell’ex-spettatore. Artaud riteneva che il testo avesse finito con l’esercitare una tirannia sullo spettacolo, ed in sua vece spingeva per un teatro integrale, che comprendesse e mettesse sullo stesso piano tutte le forme di linguaggio, fondendo gesto, movimento, luce e parola.

Questo nuovo teatro presentato da Artaud non è compreso dai suoi contemporanei e l’impresa teatrale fallisce. Incompreso e con le finanze in rovina decise di investire i suoi ultimi soldi in un viaggio per il Messico – dopo aver scritto “Mexique et la folie”.

In Messico, alla ricerca di una <<cultura organica>> , si spinge fino alla Sierra Tarahumara e con gli Sciamani dei villaggi sperimenta i riti di iniziazione con il Peyote. Ad un certo punto di questo viaggio però, deluso per non aver trovato alcuna cultura non contaminata dall’occidente e sentitosi preso in giro dai locali, decide di rientrare in Irlanda e riportare agli irlandese il bastone di San Patrizio che un amico gli aveva donato dicendogli che era stato in passato posseduto anche da Gesù Cristo.

Questa sua missione viene interrotta bruscamente da una detenzione nella stiva della nave con cui stava tornando in Europa, in seguito ad un litigio con un marinaio che secondò Artaud gli aveva rubato il bastone Sacro. Non appena la nave attracca a Dublino in Irlanda viene deportato in manicomio. E’ l’anno 1936.

L’internamento di Artaud va dal 1936 al 1945, gli anni della guerra durante in i quali patisce la fame e il freddo. Anni di detenzione arbitraria che si concludono con l’internamento nel manicomio di Rodéz in Francia.

E’ qui che gli sono stati fatti 51 elettroshock.

L’arrivo a Rodéz è possibile grazie al dr. Ferdière suo ammiratore dai tempi della sua adesione al surrealismo. Quando le sue condizioni fisiche migliorano, nutrendosi regolarmente, lo psichiatra prende la decisione di applicare su di lui questa nuova terapia inventata da un italiano nel ‘38, una macchina all’avanguardia che cura con l’elettricità.

Antonin Artaud muore nel 1948 seduto sul letto di casa sua proprio come aveva predetto.

Il testo che proponiamo è stato scritto nove anni prima del suo ricovero in manicomio e fa parte di un insieme di lettere redatte assieme a R. Desnos e T. Fraenkel, pubblicate sulla rivista Révolution Surréaliste, indirizzate al Papa, al Dalai Lama e ai Rettori delle Università Europee, in un’ottica di rivolta e di liberazione dai preconcetti della società. La prospettiva surrealista infatti valorizza la follia come forma di creatività rivoluzionaria, in grado di sfidare le convenzioni sociali e di comprendere la realtà esistente al di fuori della logica diffusa.

Il COLLETTIVO

Il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud viene fondato a Pisa nel 2005 in seguito all’incontro della tematica antiproibizionista e quella antipsichiatrica avvenuto nel 2000. Si propone fin dalla sua nascita di contrastare gli abusi della psichiatria (Trattamento sanitario obbligatorio , internamento coatto, ricovero involontario, ecc..), fornire informazioni sugli psicofarmaci al fine di contrastarne il dilagare e praticare una cultura antipsichiatrica.

Spinti dal bisogno di vivere le relazioni umane ed esistenziali senza il pregiudizio psichiatrico, immaginando che la malattia mentale non esiste, si costituisce il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud.

Sarà un caso che un collettivo antipsichiatrico, dal nome Antonin Artaud sia nato proprio a Pisa?

Pisa è meta dei viaggi della speranza per fruire delle cure psicofarmacologiche messe a disposizione dalla scuola di psichiatria di matrice nord-americana, organicista e riduzionista, nonché capitale italiana dell’elettroshock, oggi ridefinito terapia elettroconvulsiva (TEC).

Il COMMENTO

La Lettera ai direttori dei manicomi è un formidabile atto di accusa nei confronti della psichiatria. Un’accusa lucida, precisa, potente e che trova il suo ambito di applicabilità immutato anche a distanza di un secolo.

Uno sguardo puntuale sull’illegittimità del dispiegamento del potere conferito alla psichiatria, che si limita ad essere un gioco di forze a carte scoperte (il vincitore lo conosciamo fin dall’inizio), a scapito di una reale comprensione del mondo interiore dell’altro.

La società, attraverso il suo apparato normativo e ideologico, da una parte attribuisce allo psichiatra il diritto di “misurare lo spirito” e, dall’altra, poiché delega questo compito ad un tecnico della scienza, se ne deresponsabilizza e accetta aprioristicamente che questo trasformi la sua presunta scienza in prassi. Ma la comprensione dell’altro è, per certi versi, una scienza riservata solo a pochi e che nulla ha a che fare con il ridurre il pensiero ad un’ “insalata di parole”.

Il ricoverato, il cui racconto viene privato della sua forza dialogica, è allora internato e anche la sua libertà di movimento è annientata.

Ecco la seconda accusa sollevata da Artaud: il reale obiettivo dell’istituzione manicomiale non è la cura ma la custodia, non è il ricovero ma l’internamento. I manicomi, “lungi dall’essere case di cura, sono orribili galere“. Per questo, un’indagine sullo spirito umano è falsata quando viene condotta su di una persona che vive nella limitazione della propria libertà. Un uomo sedato e contenuto non può essere l’oggetto di studio di una ricerca che si propone di comprendere l’uomo nella sua totalità; al massimo potrà farsi testimonianza dell’uomo che vive nelle atrocità di un’istituzione totale/totalizzante. Per di più, il risultato di queste indagini entra poi a far parte di tutti quei fondamenti del paradigma della scienza psichiatrica, ai quali per epistemologia si appellano gli psichiatri per legittimare le loro prossime diagnosi, i loro futuri ricoveri, le loro nuove terapie. Gli scienziati stabiliscono una norma e, di conseguenza, deliberano su tutti coloro che si collocano al di fuori di essa. In questo senso Artaud parla di arbitrarietà.

La prassi del giudizio psichiatrico non prevede alcuna consultazione del paziente in merito alla sua presa in carico ed è peraltro l’unica branca della medicina in cui questo avviene (sembra paradossale se si pensa che stiamo parlando proprio di quella disciplina che si propone di occuparsi dell’anima dell’individuo). Se da una parte ci sono persone che non richiedono di essere prese in carico medicalmente e per le quali oggi si procede con l’orrore dei Trattamenti Sanitari Obbligatori, dall’altra c’è anche chi sceglie consapevolmente di domandare aiuto alla psichiatria per vivere meglio il proprio intimo disagio, e che si trova nella condizione radicalmente più subdola di doversi rimettere in toto al potere discrezionale del medico, senza che gli venga riconosciuta alcuna possibilità di deliberare sulla propria vita.


Quello di Artaud allora è un grido, ma un grido fatto con voce calma e tagliente. Un urlo contro il concetto che la psichiatria ha della cura e della diagnosi, un grido di libertà a favore degli ultimi, dei sensibili, di chi vive in difficoltà all’interno della “dittatura sociale”. Il disagio non è una malattia congenita ed ereditaria, ma è spesso il prodotto delle dinamiche sociali sui percorsi di vita individuali. La diagnosi stessa di antisocialità (ancora oggi si parla di Disturbo Antisociale di Personalità) è una diagnosi insensata e illusoria: nessuna azione antisociale deve condurre a diagnosi, ma, se la si vuole di interpretare, lo si può fare solo tenendo conto del fatto che “il libero sviluppo” dell’individuo è qualcosa che cerca di compiersi allo stesso modo di ogni altra azione umana e, cioè, in una certa soggettività.

La lettera di Artaud si chiude con un colpo di sciabola contro gli psichiatri, irridendo la loro ideologia mistificatoria in merito alla relazione medico-paziente. La cosiddetta compliance terapeutica è una condiscendenza remissiva, quando il rapporto tra le due parti non è paritario, quando ciò che distingue i medici da coloro che si trovano dall’altra parte del lettino è solamente la loro possibilità di espletamento della forza. La forza di contenere, sedare, rinchiudere, di decidere la data di dimissione. Cosa sarebbe la psichiatria senza l’obbligo della cura?

C’E’ UNA PILLOLA PER TUTTI!

  • May 24, 2015 9:38 am

C’E’ UNA PILLOLA PER TUTTI

C’è una pillola per tutti nell’attuale società sintetica.

Per dormire, per mangiare, per andare a lavorare, per studiare, per fare sesso, per stare più concentrati a scuola. Non si può fare a meno delle droghe, che siano legali o illegali.

“L’adattamento alla crescente velocità di produzione e alle tecnologie informatiche richiede una mente sostenuta da sostanze psicoattive e un corpo alimentato da ricostituenti chimici. Flessibilità e mobilità, le due parole più importanti nel vocabolario della modernizzazione, sono molto più che semplici categorie economiche: esse hanno una corrispondenza psichica. Stupefacenti e psicofarmaci, dunque, rivestono un doppio ruolo. In quanto sostanze psicotrope e generi voluttuari aiutano a sopportare la vita quotidiana; come sostanze per migliorare prestazioni fisiche e psichiche garantiscono il perdurare di condizioni sociali di sfruttamento.” (No drugs no future, G.Amnedt, edizioni Feltrinelli, 2004)

L’istituzione psichiatrica è uno dei principali strumenti che il sistema usa per ostacolare l’autodeterminazione degli individui, per arginare qualsiasi critica sociale e normalizzare quei comportamenti ritenuti “pericolosi” poiché non conformi al mantenimento dello status quo, intervenendo nel complesso ambito del “disagio”.

Assistiamo oggi ad una sistematica diffusione della crisi, sia sociale, economica e personale; le cui cause vanno 
ricercate nella società in cui viviamo e nello stile di vita che ci viene imposto e non nei disturbi biochimici della mente. 
La logica psichiatrica sminuisce invece le nostre sofferenze, riducendo le reazioni dell’individuo al carico di stress cui si trova sottoposto 
a sintomi di malattia e medicalizzando gli eventi naturali della vita. 
Poiché la risposta psichiatrica è sempre la stessa per tutte le situazioni - diagnosi-etichetta e cura farmacologica - 
crediamo che rivendicare il diritto all'autodeterminazione in ambito psichiatrico significhi “riappropriarsi” della follia 
e della molteplicità di maniere per affrontarla, elaborandola in maniera autonoma. 

L’istituzione psichiatrica continua a compiere la sua funzione di esclusione e controllo sociale, ed ha enormemente ampliato 
il suo bacino d’utenza aumentando di anno in anno il numero delle “malattie mentali” da curare, ossia dei comportamenti “devianti”
 da uniformare. Tra questi rientra il consumo di sostanze psicoattive, che oggi diviene sintomo di un disagio da trattare con cure 
psichiatriche, trasformando un fenomeno culturale e sociale in una questione sanitaria. Negli ultimi anni a causa del decreto Fini-Giovanardi 
ed alle nuove proposte di legge in materia psichiatrica, si è rafforzato il legame proibizionismo-psichiatria ed i consumatori 
di sostanze illegali sono diventati merce per le multinazionali farmaceutiche e per l'industria del recupero e della riabilitazione 
sulla base di una doppia diagnosi che li vede “malati mentali” in quanto drogati e “drogati” a causa della loro "malattia mentale". 
Nonostante si dimostri proibizionista nei confronti di chi consuma volontariamente sostanze, la psichiatria diffonde sul mercato
 molecole psicoattive e somministra trattamenti farmacologici che sono spesso introdotti coercitivamente nel corpo delle persone.

Gli psicofarmaci, oltre ad agire solo sui sintomi e non sulle cause della sofferenza della persona, alterano il metabolismo e le percezioni, 
rallentano i percorsi cognitivi ed ideativi contrastando la possibilità di fare scelte autonome, generano fenomeni di dipendenza ed
 assuefazione del tutto pari, se non superiori, a quelli delle sostanze illegali classificate come droghe pesanti, dalle quali si distinguono 
non per le loro proprietà chimiche o effetti ma per il fatto di essere prescritti da un medico e commercializzate in farmacia.
Siamo contro l'obbligo di cura, infatti non siamo a priori contro l'utilizzo di psicofarmaci ma pensiamo che spetti all'individuo deciderne
 in libertà e consapevolezza l'assunzione. Sentiamo pertanto l'esigenza di contrastare ancora una volta il perpetuarsi di tutte le
 pratiche psichiatriche e di smascherare l’interesse economico che si cela dietro l’invenzione di nuove malattie per promuovere 
la vendita di nuovi farmaci. 

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud

via San Lorenzo 38 56100 Pisa

antipsichiatriapisa@inventati.org

www.artaudpisa.noblogs.org / 335 7002669