storie

raccolta di testimonianze e racconti sugli abusi della psichiatria

LA STORIA DI MATTIA

  • September 30, 2023 9:26 pm

LA STORIA DI MATTIA

Mattia Giordani muore il 27 marzo 2018 mentre sta cenando con la famiglia – padre, madre e due fratelli – soffocato da un boccone di cibo. La manovra di Heimlich e qualsiasi tentativo messo in atto da medici e infermieri, arrivati in ambulanza in pochi minuti, risulta inutile. Aveva ventisei anni.

All’età di tre anni a Mattia è diagnosticata una disarmonia evolutiva. Da quel momento l’Istituto di ricovero e cura “Stella Maris” di Pisa lo prende in carico e il bambino comincia a trascorrere regolarmente periodi più o meno brevi presso una delle sue strutture: a sette anni, quando la diagnosi rileva tracce di autismo, a dieci, quando il disturbo dello spettro autistico è definitivamente certificato, e poi ancora nelle fasi successive dell’adolescenza e dell’adultità.

Mattia cresce in un ambiente accogliente sia in famiglia che a scuola e, nonostante alcuni sintomi evidenti, nei primi anni di vita è un bambino tranquillo, non aggressivo e appassionato di musica e canto.
Dopo l’esame di terza media le sue condizioni subiscono un improvviso, imprevisto e grave peggioramento: si accrescono le stereotipie, scompare il sonno notturno e un grave stato di sovraeccitazione comincia a manifestarsi attraverso frequenti attacchi di aggressività verso gli oggetti di casa. Nel settembre del 2005 la famiglia decide allora di affidare Mattia per un lungo periodo alla Stella Maris. Qui, in seguito a una nuova diagnosi di autismo psicotico, per la prima volta gli vengono somministrate robuste dosi di psicofarmaci che da subito hanno conseguenze visibili sul suo stato psicofisico generale. Il corpo si trasforma, cosce e pancia lievitano e in cinque mesi il peso aumenta di 18 chili. Mattia passa continuamente da una condizione di sedazione farmacologica di breve durata a improvvise esplosioni di rabbia, con episodi di forte aggressività, stavolta anche contro familiari e persone. In poco tempo la situazione diventa ingestibile, tanto che a quattordici anni è costretto a lasciare la scuola. Le crisi sono improvvise, e a nulla serve il mix di psicofarmaci a cui Mattia è sottoposto, in maniera sempre più invasiva e a dosi sempre più massicce. I genitori sono costretti a lasciare Mattia per tutta la giornata presso uno dei centri diurni della Stella Maris a Montalto di Fauglia (provincia di Pisa) e, al compimento dei venti anni, anche durante le ore notturne per alcuni giorni alla settimana.

Nel 2016 Mattia trascorre molte giornate nell’istituto di Montalto di Fauglia quando la struttura finisce nel mirino dei carabinieri, allertati dalla denuncia di un genitore che aveva notato la presenza di strani lividi sul corpo del figlio. Le microcamere nascoste rivelano una realtà inaspettata. Gli operatori fuori da ogni controllo e senza motivo picchiano, strattonano, trascinano per le orecchie, offendono con epiteti irripetibili i giovani ospiti. Tre mesi di registrazioni nascoste documentano più di 200 episodi di maltrattamenti. Il vero e proprio maxi processo che segue (17 indagati, 23 ospiti – fra cui Mattia – vittime dei soprusi) ha come primo effetto una condanna a due anni e otto mesi di reclusione con rito abbreviato per il direttore generale della Stella Maris Roberto Cutajar, riconosciuto colpevole di omessa vigilanza e assunzione di personale non adeguatamente formato. Cutajar sarà poi assolto in sede di processo d’appello nel giugno 2023. Un altro operatore ha patteggiato in seguito davanti al GIP ammettendo le sue colpe. A tutt’oggi va avanti il processo nonostante una serie di lungaggini burocratiche che rischiano fortemente di compromettere il giudizio degli altri imputati – i restanti 15 operatori, fra cui il direttore sanitario e le due dottoresse che operavano a Montalto.

In seguito al clamore suscitato dal processo e dallo scandalo che ne consegue, gran parte dei sanitari coinvolti vengono allontanati dalla struttura e lasciano il posto a nuovi operatori che iniziano a sperimentare nuove cure e nuove combinazioni di farmaci. A Mattia vengono modificati e aumentati i dosaggi. Nel febbraio 2018, un mese prima di morire, il corpo di Mattia subisce l’ultimo affronto nel corso di un ricovero presso il Servizio psichiatrico di diagnosi e cura dell’ospedale di Pisa. La mamma, che lo aveva salutato la sera prima lasciandolo in reparto per il riposo notturno, lo ritrova la mattina seguente legato al letto di contenzione. Riuscirà a farlo slegare solamente garantendo la sua presenza e il suo controllo continuo.

Un mese dopo Mattia muore.

Il direttore dell’Unità operativa di Psichiatria forense e Criminologia clinica dell’ospedale Careggi di Firenze Rolando Paterniti, al quale i genitori di Mattia chiederanno una consulenza tecnica in vista del processo, scriverà nella sua relazione: «La sintomatologia presentata da Mattia è inquadrabile tra i sintomi extrapiramidali da antipsicotici […].In quasi tutti gli episodi le contrazioni distoniche hanno interessato […] anche i muscoli laringei e quelli della deglutizione, causando gravi episodi di dispnea e disfagia con serio rischio di morte per soffocamento. Le crisi distoniche acute […] nel caso di Mattia sono comparse 6 giorni dopo l’introduzione della clotiapina. Questa correlazione temporale permette di affermare, con buona certezza, che sia stato proprio questo farmaco a causare la grave sintomatologia extrapiramidale […]. La condotta medica non è stata sollecita ed accorta ad impedire il verificarsi di un evento dannoso o pericoloso, ma al contrario si è caratterizzata per trascuratezza, avventatezza, e insufficiente ponderazione dei rischi, esponendo Mattia a gravi conseguenze».

Dalle cartelle cliniche i genitori vengono a sapere che negli ultimi tre mesi di vita nell’istituto Mattia aveva già avuto notevoli problemi di deglutizione durante i pasti, rischiando più volte il soffocamento con, in qualche occasione, crisi cardiache piuttosto importanti. Apprendono anche che nell’ultimo periodo le crisi si erano susseguite quasi tutte le sere, tanto che era stata necessaria la manovra di Heimlich per ben due volte durante uno stesso pasto serale. Malgrado l’invio di lunghe mail ai medici con richieste di spiegazione sugli effetti del trattamento farmacologico, e nonostante la loro presenza continua ai colloqui e agli incontri collegiali con il personale sanitario i genitori affermano ancora oggi di non essere mai stati adeguatamente avvertiti del rischio di soffocamento a cui Mattia era esposto. «Ormai ogni sera nostro figlio rischiava di morire e noi non lo sapevamo», scriverà Sondra Cerrai, madre di Mattia, nel suo libro Siamo tutti legati1, pubblicato dopo il triste epilogo.
Al processo di primo grado le due dottoresse responsabili della struttura della Stella Maris sono state assolte.

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38, 56100 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org 3357002669

 

1 Firenze, Porto Seguro, 2021. Gran parte delle fonti di questo articolo sono tratte dal testo di Sondra Cerrai e da colloqui personali con l’autrice del libro.

MOUSTAFÀ FANNANE: ENNESIMA VITTIMA DEL SISTEMA CPR

  • July 30, 2023 9:12 pm

MOUSTAFÀ FANNANE: ENNESIMA VITTIMA DEL SISTEMA CPR
ovvero una morte sospetta per abuso di psicofarmaci dopo la detenzione in un Centro Per il Rimpatrio

Il 19 Dicembre 2022 a Roma è venuto a mancare Moustafà Fannane, classe 84, originario della città marocchina di Fqih Ben Salah. Ennesima morte sospetta per abuso di psicofarmaci.

Moustafà era giunto in Italia nel 2007, come molti suoi conterranei alla ricerca di un futuro migliore, e per un periodo di tempo aveva svolto una vita regolare fatta di lavoro al fine di aiutare la famiglia in Marocco in grave difficoltà economica. Descritto dai suoi conoscenti come persona gentile e educata, nel 2014 comincia ad avere delle difficoltà, perde il lavoro e l’alloggio. Come se non bastasse in questa situazione drammatica e precaria nel 2015 viene raggiunto da un decreto di espulsione, circostanza che non sarebbe mai stato in grado di affrontare dal punto di vista legale viste le condizioni in cui versava.

Nel 2019 viene trattenuto per sei mesi presso i Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) di Roma e Torino. Nell’estate 2020 nonostante la sua condizione di disagio psicologico e socio-economico verrà nuovamente condotto nel CPR. Molti residenti, nel quartiere Torpignattara a Roma dove viveva, hanno giudicato tale misura del tutto ingiusta e inappropriata nei confronti di una persona che aveva bisogno di cure e sostegno. Nell’agosto 2022 viene nuovamente arrestato e condotto nuovamente nel CPR. Verrà ritenuto idoneo a rimanere recluso. Durante questo ultimo trattenimento, in contatto con una sua conoscenza lamenterà di essere affetto da un gonfiore a carico del volto di cui non sa spiegare il motivo, circostanza notata poi da molte altre persone una volta uscito le quali sono rimaste molto sorprese dalle sue condizioni definite come qualcosa di simile a un abuso di psicofarmaci, apatia, pallore. Nella documentazione rilasciata dal centro ai legali dei familiari non risultano fogli di dimissioni, pertanto dopo 3 mesi di terapia basata sulle 25 – 50 gocce giornaliere di Diazepam, Moustafà viene rilasciato senza nessuna indicazione terapeutica o prescrizione di visita specialistica. Verrà rinvenuto in strada privo di sensi e troverà la morte nell’ospedale Vannini a sole tre settimane dal rilascio dal CPR.

Sappiamo bene che sono gli psicofarmaci lo strumento principale di gestione delle persone recluse nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio dei migranti. Antiepilettici, antipsicotici, antidepressivi e metadone: “servono per stordire donne e uomini in modo che mangino di meno, restino più tranquilli e resistano di più al sovraffollamento, nelle gabbie in cui vengono stipati. All’ente gestore gli psicofarmaci costano meno del cibo e permettono di riempire maggiormente i CPR e allungare il tempo di permanenza di ciascun migrante nella struttura, in modo da aumentare i guadagni”. Presso i CPR “non sono previste attività, le giornate sono tutte uguali; un operatore ci ha raccontato che gli psicofarmaci sono usati per stordire le persone così “mangiano di meno, fanno meno casino, rivendicano di meno i loro diritti”. La spesa per gli psicofarmaci è altissima mentre la tutela della salute all’interno dei CPR non è affidata a figure specialistiche che lavorano per il Ssn bensì da assunti da enti gestori che mirano a risparmiare”. Sui numeri: rispetto all’esterno, su una popolazione di riferimento simile, la spesa in antidepressivi, antipsicotici e antiepilettici nella struttura di via Corelli a Milano è di 160 volte più alta, al CPR di via Brunelleschi a Torino 110, a Roma 127,5, a Caltanissetta 30 e a Macomer 25. Addirittura a Roma, in cinque anni, sono state acquistate 154.500 compresse di Buscopan su un totale di 4.200 persone transitate. In media, 36 pastiglie a testa quando un ciclo ‘normale’ ne prevede al massimo 15. A Torino la spesa in Clonazepam (Rivotril) dal 2017 al 2019 è di 3.348 euro, quasi il 15% del totale (22.128 euro) mentre a Caltanissetta tra il 2021 e il 2022 sappiamo che sono state acquistate 57.040 compresse: 21.300 solo nel 2021, a fronte di 574 persone trattenute. Significa mediamente 37 a testa. Anche a Milano il Rivotril rappresenta la metà del totale della spesa in psicofarmaci con 196 scatole acquistate in soli cinque mesi.1

Questa triste vicenda dai molti punti ancora oscuri ci invita a interrogarci come sia stato possibile che una persona in difficoltà come Moustafà sia potuto essere stato soggetto a numerosi arresti e trattenimenti presso dei CPR; se le Istituzioni abbiano mai realmente provato a fare qualcosa per questa persona. Ci domandiamo anche se il rispetto e la tutela della salute dei reclusi dentro i CPR siano garantiti a partire dalle visite mediche.

Per il momento per la morte di Moustafà è stato aperto un procedimento presso la Procura di Roma. Ci auguriamo che venga fatta chiarezza sulle reali cause del decesso di Moustafà che cercava solo una vita migliore.

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38, 56100 Pisa
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www.artaudpisa.noblogs.org 3357002669

1https://altreconomia.it/rinchiusi-e-sedati-labuso-quotidiano-di-psicofarmaci-nei-cpr-italiani/

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO

  • May 14, 2023 2:50 pm

Riceviamo e pubblichiamo la lettera anonima che trovate sotto.

Ciao. Ho tra i 20 e i 30 anni e vi scrivo da una cittadina dell’Emilia-Romagna. Mi sono imbattuta nella vostra esistenza
navigando nel web alla ricerca di tematiche relative alla violenza psichiatrica. Ciò che mi ha spinta é stato il fatto di averla subita sulla mia pelle, alcuni anni fa, anche se a me sembra passato un mese. Perché la mia vita si é fermata a quel momento, da allora non é più stata la stessa, io non sono più stata la stessa, e il mondo come lo conoscevo non é più stato lo stesso. Ho toccato gli abissi più profondi della sofferenza, conosciuto la cattiveria umana e di Stato, il sadismo e il delirio di onnipotenza di certi detentori del potere, il potere psichiatrico, e ancora mi chiedo come sia possibile che tutto questo sia di questo mondo. Mi posso ritenere fortunata, rispetto ad altri, perché la stessa persona che mi ha “consegnata” agli aguzzini col camice ha poi fatto uno straordinario dietrofront, risvegliandosi dal sonno dell’animo e realizzando cosa aveva fino ad ora consentito senza protestare. Mia madre infatti, che ha preso la decisione di sottopormi alle cure di quelli che lei aveva sempre considerato specialisti che aiutano le persone, alleviano le loro sofferenze, ha sollecitato il loro intervento, che si é tradotto in un ricovero “volontario” in cui volontario sta per “se non vieni tu ti facciamo un TSO con l’ambulanza e i carabinieri”. Nessuna esperienza che abbia mai vissuto é stata cosí terribile. La sensazione di essere una preda braccata da tutti i lati, senza possibilità di scampo, senza potersi difendere (chiamando chi, i carabinieri, quelli che sarebbero venuti insieme all’ambulanza? Bella battuta!), il terrore di quello che mi avrebbero fatto ingoiare, la sensazione stuprante di non avere più la facoltà di decidere del proprio corpo, della propria esistenza, la degradazione di essere trattata come un subumano mentre piangevo e supplicavo di poter stare a casa mia, di non essere rinchiusa in un carcere ospedaliero, per un disturbo che, sapevo e ne ero lucidamente convinta, non avevo, perché era stato tutto un grande gigantesco equivoco, un granchio enorme che avrei voluto spiegare, se solo me ne avessero dato la possibilità. Ma ovviamente il matto, quando prova a spiegare che non é matto, non fa altro che provare ancora di più la sua pazzia. Così mi sono avviata “volontariamente” al macello come farebbe un bue spinto a suon di percosse verso la morte. Tante persone, la maggior parte, una volta entrate in questo girone dell’inferno sulla Terra, non ne escono più. Sarà stato per la mia ferma determinazione, la fortissima convinzione del supremo diritto alla libertà e all’inviolabilità sacra del corpo, il mio carattere battagliero e la mia eloquenza, sarà stato per lo spirito reconditamente ribelle e sensibile di mia madre, sono riuscita a farle capire quello che dovevo. Abbiamo tagliato i rapporti con il CSM, Centro Sevizie Medicali, della mia città. Insieme ad un avvocato molto sensibile e “non inquadrato” ho sporto denuncia. Uno psichiatra fuori regione ha redatto una perizia dopo avermi convocata nel suo studio varie volte e avermi somministrato diversi test. Risultato: nessun problema psichiatrico. Come avevo sempre sostenuto, semplicemente aspetti del carattere che, sollecitati dalla situazione familiare per me difficoltosa, si traducevano in un disagio psicologico adolescenziale. Sono stata convocata al Palazzo di Giustizia per esporre i fatti a un’ispettrice di Polizia. Il fascicolo é stato rubricato come notizia di reato, nello specifico sequestro di persona. Sto aspettando avanzamenti nell’indagine. Non ho fiducia alcuna nella giustizia, nella magistratura, che altre non sono che i compagni di merende di pubblici ufficiali e della casta dei medici criminali, ma sforzarmi di sperare nella giustizia é l’unico modo che ho per andare avanti. Vorrei fare qualcosa di utile e concreto per aiutare i malcapitati ingabbiati in questa tortura di Stato, ma non riesco a fare i conti con la mia sconfinata sofferenza e il coinvolgimento emotivo: dopo aver spulciato le storie degli sfortunati riportati dal vostro sito non ho fatto che piangere e maledire questo mondo. Non ho nemmeno le forze per pensarci eppure non riesco a fare a meno di farlo. Ammiro tantissimo il vostro operato, il vostro pensiero, la vostra tenacia, il vostro coraggio.

MEMORIE DAL TSO di Sarah Postit Destefanis

  • November 1, 2022 10:49 pm

Riceviamo e pubblichiamo  MEMORIE DAL TSO Dalla ferita al cerotto o dal cerotto alla ferita?

di Sarah Postit Destefanis

 

MEMORIE DAL TSO

Dalla ferita al cerotto o dal cerotto alla ferita?

ESTRATTO N.1

La vita.

Sono nata il 26 Ottobre del 1994, in un ospedale alle porte di Torino, Chieri, una città che da piccola mi pareva sempre simile alle fortezze medievali anche se non è che ne sapessimo molto della sua storia all’interno della nostra famiglia… eravamo solo io e mia mamma.

Vivevamo in una casetta al limite del bosco, proprio come si leggeva nelle storie di Cappuccetto Rosso, delle sue angherie con i lupo cattivo, ma sempre sotto la protezione della nonna…mi sentivo un po’ così, contando però che il mio cappuccio è sempre stato tendente al nero. Si perché devi sapere che la mia storia in realtà arriva da molto più lontano, io arrivo anche dall’Africa… lo stato, anche se a me piacerebbe avere la possibilità di non chiamarlo tale, è il Sudan, una terra gremita da problemi sociali da che si ha memoria…lotte, conflitti per i diritti civili, morte, profughi…e mio padre era uno di questi.

Lui però era stato fortunato perché la sua famiglia essendo ricca gli aveva potuto permettere di scappare in uno dei paesi più sicuri ( o securitari?) del mondo degli anni ‘80: la Cina. Ed è lì che si sono incontrati e separati…ed è da lì che inizia la storia vera…

Mia madre è una donna che fino ai miei dieci anni amavo alla follia.

Bella, o almeno per me lo era…sarà che era la mia e quindi era per forza bella, bionda, occhi azzurri intensi, una bella voce che ti svegliava al mattino con dolcezza e calma perché era in grado di vedere le angherie del mondo ma abile nel trasformarle in bellezza quotidiana….dai piccoli gesti, alle carezze, al bacio prima di lasciarti a scuola perché ‘’no li, io non ci voglio stare perché voglio stare a casa con te’’ …’’io devo lavorare Sarah, non posso stare con te, quindi vai adesso e alle quattro e mezza viene il nonno…’’. Tutti i giorni era così e io tutti i giorni pensavo a quanto fosse ingiusto che noi tuttu subissimo questo. Ma non ‘era altro da fare che rassegnarsi alla condizione e cercare delle vie alternative almeno per renderlo bello.

Un giorno tornai a casa, era già il tempo delle ultime volte alle elementari, quando sta per iniziare il tempo delle medie, e notai il lei una sorta di cambiamento…come se una maledizione fosse scesa sulla nostra casa e avesse distrutto tutto quello che avevamo creato: fiori, piante, bellezza, musica, amore. La casa era distrutta, i miei ricordi non sono più nitidi da quella volta, e lei era come se si si fosse trasformata…

Lei fumava, beveva, fumava, beveva e lavorava e avanti così per anni, anni e anni con tanto di violenza data e ricevuta..ed è quel giorno che ho scoperto cosa volesse dire davvero dipendere da un qualcosa, di come le cosiddette sostanze possono cambiarti la vita, di come se non lotti tutto può andare perso. Le fumava, beveva, straparlava e poi se provavo a dire anche solo mezza cosa, ‘’occhio, giù botte’’…perchè la causa vera del suo malessere, o meglio, così lei diceva, ero io…io che la allontanavo da quella vita sociale che lei tanto amava, dagli affetti perché era obbligata a lavorare fuori dall’Italia e da quella tranquillità che forse a fatica lei si era costruita… ho indagato fino ad un certo punto sul perché di questo, ma poi, ho capito di non essere la persona giusta per comprenderlo…

Più si andava avanti con la sua ,e la mia di conseguenza, di età, più la sua consapevolezza diminuiva e la mia aumentava in quel range o mondo proibito delle sostanze, non solo come espedienti ma anche come pratica quotidiana del qualunque essere umano sulla terra… il mio interesse per quel mondo nasce quindi non solo da questo, ma anche e soprattutto dal ragionare sui tabù che la nostra epoca ha creato non solo a riguardo di questo, ma anche e soprattutto a riguardo di quelle che sono le pratiche per ovviare a certe problematiche mentali o non.

ESTRATTO N.2

La fuga.

Ad un certo punto a qualcuno di voi verrà in mente la domanda: perché non se n’è andata?

…l’ho fatto.

‘’quando avrai 18 anni potrai decidere per te stessa’’ era la frase altisonante…presa alla lettera. Andare via, cambiare casa, la solitudine, ciò che portava benefici da quel mondo, me stessa e basta. Ma questo non riusciva a tenermi lontana da quel pensiero di tornare a casa e trovarmela lì, anche se appunto, ero sola. Non è bastato e sarebbe stato così ancora per un po’… Perchè la questione è andata fuori da quei cosiddetti confini ‘’self-space’’ , è arrivata perfino in Cina perchè l’altra se ne stava laggiù a lavorare sempre, tra un viaggio e l’altro…facendomi catapultare in un dirupo di dubbi, sia nei confronti altrui,e quindi anche, nei miei stessi.

E come gestisci questo problema da una parte all’altra del mondo quando già l’hai fatto di persona, non è servito a nulla e non si è arrivati ad una conclusione?

Come reagisci al ricatto di quell’essere umano che mina ormai da sempre alla tua salute psico-fisica?

Come fai quando ti rendi conto che è tua madre a causare tutto? SCAPPI. Con il panico.

Ed è quello che è successo a me nel 2016 a seguito di uno dei numerosi episodi violenti all’interno della cosiddetta ‘’famiglia’’…chi mi conosce sa cosa intendo…

Sono seguiti altri due TSO, uno nel 2018 dopo mesi di soprusi sul lavoro con episodi chiarissimi di mobbing e non solo; e poi l’ultimo nel 2019…pochi e chiarissimi mesi fa a seguito di un’episodio chiave che per i curiosi sarò lieta di raccontare credendo che questo non sia il luogo per andare a fondo delle mie questioni personali perché tanto ho capito che ai piani alti non interessa…

Ai piani bassi però?

La questione ragazzi è molto semplice a parer mio: chiunque viva una situazione di ri-strettezza fisica, psicologia, logica e quindi pratica nella quotidianità cercherà sempre una via di fuga. Goffman, Focault e altr* consideravano le istituzioni totali, ovvero tutte le strutture ‘’sopra’’ il cittadino, come lo stato, il sistema carcerario o quello psichiatrico per esempio de-leggitimanti sia nei sistemi sia nelle pratiche, e questo è considerevole se si fa riferimento a casistiche come la mia, o come quella di molt* altr* che hanno subito in silenzio alcune decisioni prese a priori senza appunto, andare a fondo nella storia personale di ognuno di noi.

Perchè l’individuo nel mondo contemporaneo ha necessità di evasione?

Perchè il nichilismo abbattuto su di noi sta provocando questo?

Chi o cosa è causa e quindi provoca conseguenze?

Perchè succede proprio a lui/lei/loro?

Come possiamo ovviare a questi problemi senza crearne altri più gravi?

Ecco…queste sono le domande che in tre anni di abusi ho potuto constatare in me stessa, nei numerosi ‘’trip’’ che questo sistema mi ha gentilmente concesso, in un modo o nell’altro e considerate che la mia definizione di base senza variazione di linguaggio è immigrata di seconda generazione, malata mentale, perché bipolare.

O meglio… così loro credono…

perchè alla fine Goffman e la truppa (vorrei sottolineare che la politica è importante qui, ma non è una e una sola soltanto in questa lotta) hanno proprio ragione…e lo dicevano negli anni ‘70 all’avvenire di tutte quelle pratiche mediate e mediatiche che è stata l’inizio del neo-liberismo e degli ipotetici problemi con uno sguardo sul futuro sì ipotetico ma possibilmente reale.

E’ palese quanto sia importante per comprendere unire storie, cause e quindi conseguenze per rendere il fenomeno sensato. Questa ricerca si pone come obiettivo il voler mettere luce su questi aspetti.

ESTRATTO N.3

La critica.

Da piccola mi dicevano sempre che avrei potuto fare l’avvocato, a me è sempre piaciuto pensare di fare quello che avrei voluto fare quando sarebbe stato il momento di decidere.

Quindi, ipoteticamente, anche mai.

C’era la pubblicità (credo che il canale del digitale anche se non ho la televisione da almeno cinque anni sia tipo il 27) dove la signora e il signorotto locale d’alta borghesia provavano i materassi…ecco…quella era la cosa che mi ispirava.

Non fare nulla forse, o forse, decidere per me stessa senza vincoli su chi essere. Tolto che le aveva i tacchi e io non li porto mai, lui era pelato e abbastanza falso e boh, erano proprio persone che non consideravo degne di ascolto, televisivo tanto meno… sarà che le percepivo ‘’lontane’’ da me in tutti gli aspetti, ma anche perché forse mi rendevo conto di quanto il mondo circostante non fosse quello. Era la televisione, era uno schermo, ma in quello schermo io ci vedevo la metafora del mondo intero. Un mondo vuoto, dove per vendere una pentola ti agghindi a festa manco fosse capodanno per creare soldi nelle tasche delle persone che poi però, non rimangono mica alle persone!

E bene…il comunismo è sempre stato di casa, ma davvero mi volete dire che questa cosa è sensata?

Davvero siamo così scemi, falsi, ipocriti e a volte…ingenui?

Il Je Accuse di questo estratto è la semplice prova del fatto che sicuramente anche a te che stai leggendo sarà capitato ogni tanto (spero) di farti queste domande…spero perché capito, da lì a dare del pazzo a qualcun* è un attimo!! E quell’attimo può essere fatale per alcun* e indifferenza totale per altr*.

Al momento non c’è ben chiarezza nonostante la legge Basaglia e le numerose lotte di quali siano effettivamente le pratiche migliori per portare avanti questa questione…perchè attenzione, non dimentichiamoci che il focus di questo discorso è il REPARTINO, da cui però si possono imparare molte cose…

da lì a dare del malato mentale ad una persona per dei comportamenti ‘’stravanganti’’, ‘’fuori dalla NORMA’’, ‘’speciali’’, ‘’esuberanti’’ nei limiti che essi non siano nocivi per se stessi o per gli altri, non è un’argomentazione per fare di tutta l’erba un fascio e trascinare tutt* coloro i quali sono ‘’anormali’’ (che poi, di quale normalità si parla?) in un carcere normalizzato.

Questo non basta per abusare di questo potere per controllare chiunque abbia da dire o da fare qualcosa di diverso.

Questa è violenza e non si stanno trovando delle alternative nonostante ne abbiamo tutte le capacità…ma le volontà?

Appena ne avrò l’occasione mi piacerebbe raccogliere delle storie viste nei tre reparti di Roma, Rivoli e Torino per farne testimonianza di quanto in realtà questi problemi siano piuttosto comuni, anche magari per te che stai leggendo…

Voglio farlo perché credo sia di fondamentale importanza creare coesione nella critica costruttiva e de-costruente di un sistema impostato sul decoro, il benessere effimero e la spesa.

Che sia in termini di denaro che di vite umane.

O di CAPITALE SOCIALE così come ci chiamano da lassù oh popolo!

Ma sempre di capitale si parla…echecccavoli non se ne può più…ma possibile che abbiamo solo il profitto, la crescita, la curva che tende ad un infinito in un grafico dove la x e la y sono si assi, ma anche variabili insieme alla z?

E noi, ovviamente, non le consideriamo e manco per sogno consideriamo questo aspetto?

Credo sia di fondamentale importanza far luce su questo aspetto in merito alla constatazione del fatto che in TUTTE le tre realtà ci sia la mancata e constatata collaborazione di un’equipe non solo di medici psichiatri, ma anche di professionisti nella cura della persona come educatori, psicologi e psicoterapeuti.

ESTRATTO N.4

La pazzia.

eHHHHH (coro altisonante) e tu vorresti mettere in dubbio la medicina occidentale e tutti i lavori che sono stati fatti per arrivare a PROGRESSI del genere?’’

Io non metto in dubbio, io boicotto con tutta me stessa le pratiche violente come il TSO, come gli abusi in divisa, come il ‘’eh ma dovevamo contenerlo/a!’’ utilizzate per curare o meglio ridimensionare le persone.

Io sono contraria all’uso degli psicofarmaci senza la considerazione del trascorso personale ed individuale di ognun* di noi e sono fermamente convinta che alcune di queste pratiche vadano in qualche modo ricalcolate e rimesse in discussione.

La volontà dei piani alti ovviamente è sempre quella di ‘’preservare’’ il futuro partendo dal presente senza però considerare il passato… ‘’tieniti alle spalle quello che ti è successo…’’ ‘’ noi la tua storia non la sappiamo ‘’ (e forse neanche ci interessa?) ‘’ormai sei grande, buttati il passato alle spalle’’…

Crescere nel dolore o nella sofferenza, lor signori, crescere negli abusi e nei soprusi non significa non avere gli strumenti per andare avanti ma piuttosto avere difficoltà nel farlo e questo non può e non deve essere sanzionato o sanzionabile… le persone che ogni giorno vivono questo tipo di problematiche vanno sì aiutate, ma non con la moneta della violenza ma semmai con quella della gentilezza, mancanza riscontrata in tutti gli ambienti frequentati in questi tre anni che coinvolgono atteggiamenti sbagliati non solo di medici, ma anche degli stessi infermieri che dovrebbero essere i primi volontari nella cura dell’altro.

La violenza psicologica è a volte accompagnata da quella fisica in un contesto dove il tutto viene ribaltato secondo la logica del ‘’sano-malato’’ in cui questi termini vengono posizionati sul palco come attori principali con una dialettica narrativa nella quale non si è più sicuri di nulla se non della perdita di personificazione della persona stessa con conseguente perdita di identità progressiva…ricordo ancora i sei mesi di degenza dopo il primo incidente durante i quali per lo shock iniziale ho impiegato tutto quel tempo per ricominciare a sorridere, parlare, muovermi leggere, scrivere e fare di conto in una maniera normale…

ESTRATTO N.5

L’idea.

Questo paper si pone come obiettivo primario il voler analizzare la casistica per poi proporre una soluzione e nell’arco di questi tre anni in cui ho ricercato a lungo una risposta ai miei quesiti, posso ritenermi soddisfatta non solo di aver trovato delle idee, ma di non pensare mai che queste idee fossero bizzarre.

Se si desse la possibilità a psicologi, educatori, riabilitatori psichiatrici di permeare all’interno di queste strutture in modo tale da poter coadiuvare attività di ascolto umano ad attività ludiche come la pittura, la scrittura, la lettura, la musica, l’arte e il giardinaggio ci sarebbero degli ottimi risultati. Questo non solo perchè è bello e divertente, ma perchè tutti gli elementi elencati in precedenza sono degli ottimi catalizzatori di endorfine e serotonina che nella maggior parte dei casi sono molecole mancanti a livello biologico in tutti quei pazienti bombardati dai farmaci.

Ricordo tutti i giorni le facce sconvolte dentro il repartino, ricordo ogni giorno le lacrime delle donne che si vedevano brutte, la cattiveria degli uomini che non avevano neanche la possibilità di farsi una scappatella in pace e la vergogna sul volto dei giovani come me che sanno di non aver fatto nulla di sbagliato ma allo stesso tempo sanno di essere vittime dello stesso sistema. 

Come fare per tirarsi su?

Come fare per reagire?

Io credo che il senso di comunità sia stato fondamentale in questo percorso che mi ha portata a conoscere meglio me stessa e gli altri attorno a me anche se non mi riferisco ‘’alla comunità normale’’ che starete pensando…perchè io in comunità non ci sono andata e non ci andrò dal momento che baso la mia esistenza su questo…ma ecco che invece penso a Marco (nome di fantasia) e Alessia (altrettanto nome di fantasia) che alla mia età hanno già tentato il suicidio un paio di volte e penso che tutto questo sia estremamente ingiusto. Ingiusto perchè si pensa che così facendo, ovvero portando queste persone in luoghi pseudo mistici dopo che hanno subito chissà quali ingiustizie altre, la via di salvezza sia vicina…ma come si fa a pensare a questo percorso quando ci sono già dei buchi nel mezzo della strada?

Come facciamo a passare dalla ferita al cerotto senza assicurarci che essa prima venga lavata, pulita, disinfettata e poi coperta?

Sarah Postit Destefanis

 

 

“TANTO E’ UN MALATO MENTALE”…una TESTIMONIANZA CONTRO LA CONTENZIONE

  • July 20, 2021 8:05 am

Riceviamo e pubblichiamo una testimonianza contro la contenzione meccanica:

“Tanto è un malato mentale”
Due anni fa, nell’estate 2019, ero ricoverato a seguito di una mia richiesta (TSV) in un reparto psichiatrico fiorentino. Un pomeriggio, durante il ricovero, ho trovato una porta finestra del reparto che doveva essere chiusa (secondo la politica della struttura), completamente spalancata. Mi sono avventurato sul balcone per curiosità. In seguito ho riferito il fatto ad un operatore.
Lui si è consultato con lo psichiatra in turno, che ha preso una decisione risolutiva: ha stabilito che sarei stato trasportato d’urgenza in un altro reparto psichiatrico, legato a letto per tutta la notte. Una specie di punizione esemplare… Tanto è un malato mentale!
Così è avvenuto. Quando sono stato informato dallo psichiatra della sua decisione, ha sostenuto fermamente la tesi, davanti all’ operatore, che io avessi rotto con le mani i due lucchetti che chiudevano la porta.
Sarebbe interessante entrare in possesso del “verbale” con cui questi signori si sono liberati della loro responsabilità. Ma questo non può avvenire perché nessun tribunale autorizzerebbe una richiesta del genere senza valide prove… Tanto è un malato mentale!
Ho subito varie ingiustizie nella mia vita, e questo capita a molte persone. Ogni tanto, ma solo per fatti gravissimi, nel mondo psichiatrico avvengono delle inchieste. Nel mio caso il problema è soltanto una ferita difficile da rimarginare, una delle tante, che mi ritorna indietro come uno sputo in faccia. Non posso fare altro se non testimoniarlo. Rigorosamente senza fare nomi, per evitare ritorsioni.
Tanto è un malato mentale.
Anonimo

Storie di ordinaria quotidianità…

  • January 17, 2019 5:01 pm

RICEVIAMO e PUBBLICHIAMO il RACCONTRO CHE TROVATE al LINK SOTTO

“Al Giudice del Tribunale di StranaLanda”

storie di ordinaria quotidianitá

RACCONTO DI UNA ESPERIENZA CON LA PSICHIATRIA

  • May 5, 2016 6:16 pm

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo racconto di una reale esperienza con la  psichiatria.

 

È difficile rendersi conto che stai subendo un t.s.o.? di solito la pratica inizia con un punturone di sedativo, le parole stentano e ti accorgi di essere stato ricoverato e catturato al reparto, dove è quasi inevitabile la contenzione fisica. Arrivano guardie, 118, vigili e esercito. Al di là dell’atto infamante del TRATTAMENTO SANITARIO OBBLIGATORIO vorrei sottolineare che un ricovero psichiatrico anche in T.S.V. (Trattamento Sanitario Volontario n.d.r.) è in ogni caso una lunga agonia e la complicità dell’infermiere arriva addirittura alle contenzioni anche senza t.s.o. ; cioè sarai per quei giorni in balia delle decisioni di 4 loschi individui, che sfogano le loro tensioni aggressive sul paziente.

Io ne ho subiti una quarantina e fino all’arrivo in SPDC ricordo lucidamente cosa stava accadendo, dopo il trattamento un buio assoluto che si trascina per alcuni giorni. Ho imparato dopo queste lunghe esperienze che ribellarsi è inutile, aggrava soltanto la tua condizione. Informarsi della terapia, chiedere delle proprie condizioni, significa essere “fastidiosi” ed aumenta il pericolo della gravità della malattia.

Mi dispiace affermarlo, ma prima sei sottomesso e prima finirà il calvario.

Mi hanno fatto t.s.o. per motivi più variegati, ma se devo essere obiettivo, non ci sono mai state le condizioni di legge per essere in t.s.o. 

È stata sempre una prevaricazione del mio essere individuo, un atto prepotente e violento, dove l’unica finalità è essere cavia dell’istituzione psichiatrica e dei suoi metodi. Nei primi ricoveri ero realmente aggressivo, contro ogni persona che si avvicinasse a letto, ma lentamente ho lasciato la mia rivolta per seguire una strada di mediazione: le contenzioni segnano. Più sei contrario alle cure e rifiuti il reparto, più la violenza di quegli esseri dal camice bianco si sfoga su te stesso, arrivando a pratiche fuori dal comune, dalla camicia di forza ad una serie di shock punitivi.

Ricordo una sera per condizioni di abuso di LSD ho iniziato a pescare dal sesto piano; in 20 minuti sono arrivate tutte le divise che si possano immaginare.

Preso, ricoverato e legato con flebo in endovena per 20 giorni. Con il sadico che si accaniva sul mio corpo, arrivando addirittura ad un catetere di fil di ferro. Ogni pisciata era un urlo munchiano. Un’altra volta ho chiuso mia madre fuori casa, è arrivata il 118 e i pompieri hanno aperto casa. Il medico senza accertare le mie condizioni psicofisiche, è arrivato ad affermare che io volevo uccidere mia madre e con una facilità estrema mi considerò socialmente pericoloso; acchiappato, imbavagliato e dopo… un ricovero in lunga degenza che durò 5 mesi sempre conteso, dove le mie condizioni fisiche si aggravarono a tal punto di chiedere in extremis un ricovero allo Spallanzani (Ospedale di Roma n.d.r.), con transaminasi che arrivarono a livelli impressionanti. Non esiste più la tua possibilità di scegliere e alcune volte ti trovi in una clinica senza che nessuna legge sia rispettata. Ed è facile, quasi automatico, che dopo un t.s.o. devi inevitabilmente prendere la terapia al DSM, ASO (Accertamento Sanitario Obbligatorio n.d.r.) per alcuni mesi. Fino a quando una psichiatra non deciderà di lasciarti più o meno libertà sugli psicofarmaci, e se sei scaltro, fortunato e consapevole dei danni che le medicine provocano, desidererai scalare quella terapia da cavallo.

 

Non riesco a capire l’associazione di farmaci che hanno come unica finalità di sedarti, più dormi e più sarai giudicato prossimo alle dimissioni. È da considerare fondamentale il ruolo di familiari che spesso diventano il tramite delle tue decisioni: dall’approvazione dell’elettroshock al trasferimento in uno di questi manicomi mascherati. È tutto contro legge. Ricordo che una sera, nel mio covo, la lavanderia delle case popolari, ho cucinato alla brace il pesce spada, gli inquilini chiamarono il 113 dicendo che stavo incendiando il palazzo e senza verificare che in realtà stavo cucinando, venni scortato al Sandro Pertini, dove le condizioni di vivibilità sono deprimenti. Di questo ricovero non ricordo altro. Un altro t.s.o. è stato al San Filippo Neri, motivando il trattamento per abbigliamento bizzarro, sono stato sveglio per due notti perché appena prendevi sonno arrivava un punturone. In T.s.o. a Rieti cambiava terapia giornalmente senza alcun tipo di coerenza, dal clopixol al nepolex, ma se senza coerenza medica. Allora mi domando. Domare la tua ribellione significa essere malati di mente? Arriveranno ad affermare che i tuoi geni sono malati? Mi diedero 7 abilify, sono fortunato di essere ancora vivo, ho amici che durante un t.s.o. hanno perso la vita.

Ricorderei Luigi Marinelli che messe le manette gli è stato spappolato il fegato e morì di colpo.

Effetti collaterali annessi, perdita di istinto alla sopravvivenza, annientamento dei propri impulsi sessuali, tremori infiniti, ecco cos’è la loro scienza; un mare di paroloni presuntuosi e sentenziosi.

 

Contro la pratica del t.s.o. organizzare resistenze, ipotizzare sempre il peggio per essere pronti ad avere un minimo di attendibilità nella pianificazione di qualunque risposta. Essere in tanti per difendere ciò che è rimasto di te e della tua sensibilità, del tuo mondo affettivo, distrutto quasi annientato. Sembrerà fantascientifico, ma più persone sono al corrente del t.s.o. più le possibilità di essere liberato aumentano, è come se i visitatori prendessero il ruolo di testimoni scomodi; in questo denso mare inquinato di petrolio apriamo uno spiraglio di luce.

In t.s.o. mi piace scappare, lunghe derive mentali per approdare in altre regioni dove non sei più perseguibile – mi legarono più per le fughe che per la violenza – ero evasione – prendo un caffè chiedo 10 euro a una paziente e sono fuori da questo inceppo. Innocuo, addomesticato, docile, ecco come vorrebbero. Mi sgarbo la barba con il sangue per non farmi toccare e poi mi do via sull’autostrada. Com’è bello fuggire davanti a un ricovero, ti senti soddisfatto, quasi vincitore, non c’è più il carrello dei medicinali. Ecco fatto, sono di nuovo libero, ma in balia della strada non dell’infermiere. E poi se esci positivo alle droghe sono cazzi tuoi. La clinica non te la leva nessuno. Un periodo di risanamento. Dopo comunità di doppia diagnosi, lager mascherati. Che bella soddisfazione slegarsele, levarsele, strapparsele.

Il delirio destabilizza, vince l’organizzazione statale, va annientato non promulgato, se poi è strutturato sei schizofrenico, allora sta 180 ma che è? Me lo sono chiesto molte volte. Ogni t.s.o. mi sono chiesto che è sta legge, la legge è legge mi sono risposto, e per ciò definiamo concetti per superare anche sto Basaglia. I “basagliani” sono i peggio, è meglio uno psichiatra fascio, almeno sai cosa hai davanti. La psichiatria democratica è qualcosa per ripulirsi le coscienze di tutti gli A.S.O. perpetuati al DSM, luogo di soppressione. Il dialogo? Devi essere incisivo, forte e determinato, altrimenti le tue ragioni cadono nella terapia intramuscolo. Quali risposte dare alla loro aggressività? Giulia, Marco, Luigi, vivete di nuovo vi prego, voglio stare con voi fino all’ultima iniezione di haldol. Una volta una responsabile del DSM, un pezzo grosso, affermò: ziprex, aldol, risperdal, è tutto uguale. Pensiamo a questa scienza di speculazione, rispondiamo con la prassi, che è azione rivoluzionaria. I t.s.o. più deleteri non ve li racconto, fanno parte del mio intimo segreto. Mi vergogno.

Scusate ma io devo dire pure questo, una volta durante un T.S.O. ho telefonato al telefono viola di Roma. Mi hanno risposto “prenda un appuntamento”. Io ce l’ho con tutti in questo argomento. Ce l’ho con P. Perché la pensione di irreversibilità me la vuole levare, ce l’ho con tutti questi comitati che mi levano la casa popolare e poi c’è la casa famiglia, se c’hai le spinte giuste.

LA VILLA DEI SORRISI

  • September 17, 2015 9:16 pm

riceviamo e , su richiesta dell’autore, volentieri pubblichiamo un racconto autobiografico sulla sua esperienza con l’elettroshock.

La villa dei sorrisi
Via delle Immacolatine 28, questo indirizzo non l’ho più dimenticato. Nel 1983 conseguii la maturità classica. Quasi tutti i compagni di classe ottennero il massimo, i più avevano il merito di essere figli di professionisti molto influenti e di essere bene raccomandati. I miei mi vollero raccomandare con l’insegnante di matematica e io accettai anche se ero poco convinto del suo intervento a mio favore. Era molto brutta e un po’ nevrotica, la imitavo per fare ridere i compagni e per sfogare la mia insofferenza per la scuola. Da come mi guardava ero sicuro che lei sapeva della presa in giro. Accettai la spintarella malgrado lo scetticismo e nonostante fossi molto idealista. Avevo fatto un mare di assenze e a casa avevo studiato poco, anzi per niente, temevo di non superare l’esame. Leggevo di tutto tranne i libri di scuola. Conoscevo Claude Levi Strauss, Freud, Lacan, De Saussure, Roman Jakobson e tanti altri studiosi. Mi piaceva molto lo strutturalismo anche se mi fu a lungo d’ostacolo sul piano dell’azione in quanto nega la libertà dell’individuo. All’università diedi per prima una materia complementare, sociologia delle comunicazioni. Quando sostenni l’esame portai dei libri di etnologia che non erano richiesti, il professore mi chiese perché lo avessi fatto e io mi trovai in difficoltà, una studentessa rise ma presto mutò espressione. Fui congedato con il massimo e ricevetti i complimenti dell’esaminatore. Il professore Carzo mi fece domande che non erano comprese nel piano di studio e io risposi a tutte in maniera soddisfacente. La prova si trasformò in una piacevole conversazione. Alla fine, considerato che avevo con me “Il totemismo oggi”, mi chiese dove si collocano le strutture secondo Levi Strauss e io indicai con il dito il cervello. Scrisse su un foglio che avevo sostenuto l’esame con 30 e lo firmò, mi spiegò che non poteva scriverlo sul libretto se prima non avessi superato la materia fondamentale che era sociologia generale. Superai anche quest’ultima con un ottimo voto ma non andai a convalidare la precedente materia. Decisi di non proseguire dopo che fui bocciato in filosofia della politica. Avrei dovuto parlare di un libro che non mi piaceva e di un secondo che avevo solo sfogliato. Il primo trattava del potere in una forma troppo astratta sulla falsariga della moda strutturalista. Ad esempio: “il potere tende al suo mantenimento e alla sua riproduzione”. Scrissi una critica ma non potei parlarne con l’autore del libro, titolare della cattedra, che era una persona molto cordiale e comprensiva. Egli portò con se in un’altra stanza i primi tre studenti per interrogarli e lasciò il quarto che ero io nelle mani degli assistenti che mi respinsero. Fu la prima bocciatura e mi pesò molto, a scuola non ero mai stato bocciato, né rimandato. Un’altra ragione che mi fece rinunciare agli studi universitari fu l’incontro con la madre di un mio ex compagno di scuola che non riusciva a dare nessuna materia all’università. Seppe che io in poco tempo ne avevo date due e si complimentò falsamente con me. Il marito era medico, aveva inculcato ai figli fin da bambini quello che avrebbero dovuto fare da grandi. Il più grande avrebbe dovuto proseguire la sua professione, l’altro, il mio compagno, sarebbe dovuto diventare giudice come lo zio. Il pensiero dell’ambizione, il rigetto dei valori borghesi, il rifiuto della burocrazia universitaria che si sostanziava nella mia difficoltà di aggettivare il rettore come magnifico quando dovevo compilare i moduli, mi indussero ad abbandonare la facoltà di scienze politiche di Messina. Ero innamorato di una ragazza che abitava al piano di sopra. Era molto bella e veniva spesso con la madre a casa mia. Passavamo molto tempo insieme, parlavamo, guardavamo la televisione abbracciati o giravamo in moto. Non le avevo mai confessato il mio amore perché ero convinto di non piacerle. Ero molto geloso, ogni tanto aveva dei fidanzati e questo mi indispettiva, al punto che una volta la trattai male e la offesi senza che avesse alcuna colpa. Lei pianse a dirotto, mi porto ancora dentro il rimorso. A distanza di molti anni ci rivedemmo e le confessai che ero stato innamorato di lei, mi rivelò che anche lei mi aveva amato. Un altro episodio di cui porto ancora il peso è quando mi vergognai per un istante di mio padre che zoppicava a causa di un ictus. Mentre camminavo con lui affrettai il passo, mio padre se ne accorse e sorrise dolcemente. Essendo un po’ robusto, decisi di dimagrire e lo feci di testa mia, diminuii il cibo fino a eliminarlo del tutto, mi disgustava. Dormivo pochissimo ed ero euforico. Trascorsi diversi giorni di insonnia, mi accorsi che stavo per crollare e che quella notte avrei dovuto riposare. Rinunciai stupidamente per aiutare un caro amico a incollare i manifesti elettorali del padre, una persona molto mediocre come la quasi totalità dei politici italiani dal 1861 a oggi. Persi la ragione e qualche giorno dopo mi ritrovarono sdraiato su una panchina nei pressi della stazione, ero quasi uno scheletro, molto agitato e logorroico. All’ospedale di Reggio Calabria mi dimisero senza curarmi. Mia madre, su consiglio del medico di famiglia, mi fece ricoverare a Roma nella clinica Villa dei sorrisi in via delle Immacolatine 28. Lì mi legarono al letto di contenzione per due o tre giorni e mi fecero delle flebo mettendomi un po’ in sesto. Mi trovavo al piano basso della clinica dove erano i malati più gravi. Insieme a me si ricoverò mio padre per curare l’ictus e dei disturbi di cui aveva sempre sofferto senza rendersi conto. Non l’avevo mai visto così sereno, la sua vicinanza mi confortò molto. Il giorno uscivamo insieme nel cortile alberato e sedevamo su una panchina. C’erano pazienti che gridavano e si lamentavano, altri erano silenziosi, avevano gli occhi persi nel vuoto e i movimenti rallentati, ma io ero felice di essere accanto a mio padre e conservo preziosamente il ricordo di quei momenti che precedettero di pochi mesi la sua scomparsa. Il primario proprietario della clinica mi visitò e diagnosticò che l’anoressia era stata causata da una depressione atipica. Dopo qualche giorno fu ricoverata al mio posto una bella ragazza, gridava come un’ossessa, chiedeva di essere liberata dalle cinghie, voleva andarsene. Chiesi a un infermiere cosa avesse, mi rispose che era drogata. Restammo soli per qualche minuto prima di darci il cambio e mi disse di baciarla. Le chiesi ingenuamente dove. “Dove vuoi”, mi rispose. Mi chinai sul letto e la baciai sulle labbra. Mi trasferirono ai piani superiori, intanto mio padre venne dimesso. Il pomeriggio, fino a sera, ci si riuniva in un salone al piano terra dove c’era un juke box. La canzone che preferivo era “Smoke gets in your eyes” di Celentano, esprimeva bene la tristezza che mi pervadeva. Rividi la ragazza che avevo baciata, ma non sembrava affatto interessata a me. La sera dopo si avvicinarono lei e una sua amica che era più socievole. L’amica mi chiese se mi piaceva il caffè, e se, considerato il buon trattamento che mi riservava il primario, avessi potuto chiedere in direzione l’autorizzazione per fare portare dei caffè dal bar vicino. Io intuì dal suo imbarazzo che più che al caffè era interessata alle bustine di zucchero quindi rifiutai. Dopo qualche insistenza desistette e si rivolse a un anziano parente di un ricoverato che la accontentò con gentilezza. Arrivò nel salone il cameriere, le due presero i caffè con le bustine e corsero in bagno. Rientrarono nel salone ridendo senza riuscire a smettere. L’anziano signore si arrabbiò molto, gridò loro che lo avrebbe riferito al professore, che lo avevano ingannato e messo a rischio, capì anche che si erano rivolte prima a me e che non avevo dato loro retta. Assistetti in silenzio alla scena soddisfatto per il mio intuito. Al mattino mi annunciarono che mi avrebbero sottoposto alla “cura”. Sentii dal corridoio il rumore di un carrello. Poco dopo entrò l’anestesista in compagnia di due infermieri. Mi legò al braccio il laccio emostatico, riempì la siringa e mi iniettò l’anestetico. Mi svegliai un po’ confuso, mi accorsi che sulla fronte avevo una piccola ferita e alcuni capelli bruciacchiati. Pensai subito all’elettroshock, quel trattamento che la mia enciclopedia definiva crudele e inumano, ma per paura non chiesi di cosa si trattava. Ebbi la conferma da un paziente, a mia volta rivelai ad altri pazienti in che cosa consisteva la cura. Un giovane si agitò molto quando apprese la notizia e protestò ad alta voce nel corridoio. Fui rimproverato e invitato a non pronunciare la parola elettroshock. Malgrado odiassi sottopormi a questa pratica, ogni quindici giorni prendevo il treno per Roma. Avevo paura che se mi fossi rifiutato mia madre sarebbe ricorsa al ricovero coatto in quanto nutriva molta fiducia in quella clinica. Viaggiavo di notte e al mattino mi affrettavo a prendere il taxi alla stazione per arrivare puntuale. Una volta un tassista, per speculare, finse di non trovare la strada, si lagnava per un mutuo che doveva pagare. Arrivai tardissimo e mi dissero che non potevano sottopormi al trattamento, poi riuscirono ad eseguirlo. Quando sentivo il rumore del carrello che si avvicinava avevo paura, pensavo al mio corpo esanime che sarebbe stato prelevato dal letto come un sacco di patate e trasportato in una stanza che non conoscevo. Mi chiedevo se mi fossi svegliato in quella stanza mentre avevo gli elettrodi sulle tempie o se non mi fossi più svegliato come era successo un mattino molto concitato a un paziente. Un giorno decisi di disobbedire e di interrompere la cura. Mia madre, con l’aiuto di mio fratello, mi costrinse a partire. A Roma mi rifiutai di scendere dal treno e mio fratello chiamò la polizia ferroviaria. Io lo seppi dopo, non ricordo quasi nulla di quell’episodio. L’elettroshock ti fa scordare tutto, dimentichi le cose brutte, ma anche quelle belle. Ho fatto fatica a riprendere i miei studi e a lavorare. Il pensiero che ogni quindici giorni avrei dovuto affrontare quella Via Crucis era molto deprimente. Dopo tre anni anni di calvario trovai il coraggio di dire al primario che mi ero stancato e lui mi rispose che sicuramente ero guarito, perché mi considerava molto intelligente e capace di stabilire se avevo bisogno o meno del trattamento, supponeva che non mi ero lamentato prima perché mi rendevo conto di averne necessità. Avevo voglia di dirgli che era un idiota. Quando seppe che ero stato assunto in ferrovia, durante le visite mattutine, entrava in stanza e mi chiedeva: “Come sta il nostro ferroviere?” e imitava il fischio del treno. Quella scena mi dava molto fastidio, la sentivo poco rispettosa. Ho capito così che bisogna entrare in punta di piedi nella stanza di una persona che soffre. Le ultime volte che mi trovai in clinica, accanto al primario c’era il figlio, che era circa della mia stessa età, e una dottoressa. Diedi al giovane luminare del tu, un po’ per il gusto della provocazione, un po’ per saggiare come erano fatti, anche se non mi facevo illusioni. Si guardarono imbarazzati e scandalizzati, borbottarono qualcosa. La volta successiva lo chiamai professore e lui disse: “Così va meglio”.
Giuseppe Gangemi

da Marcelllo Riva: “SE NON CONOSCI LA MIA STORIA NON GIUDICARE LA MIA VITA”

  • April 15, 2015 11:32 am

RICEVIAMO E VOLENTIERI PUBBLICHIAMO LA STORIA di MARCELLO.

sotto trovate una breve premessa e l’allegato con la sua storia.

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud-Pisa

 

da e di MARCELLO RIVA

” SE NON CONOSCI LA MIA STORIA NON GIUDICARE LA MIA VITA “

Questa è la mia storia o parte dì essa: certamente quella che più mi ha segnato, quella che più cicatrici nell’anima mi ha lasciato.
Partecipando alla manifestazione tenutasi a Reggio Emilia il 28 aprile 2015 contro gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari e, “cercando” di rimanere “nell’ombra” a tratti piangendo sotto gli occhiali sperando di non essere notato neppure dagli “addetti ai lavori”, mi sono accorto di ciò da cui eravamo circondati, cioé dalla paura, dall’indifferenza del pregiudizio da cui tanto mi son tenuto nascosto in questi ultimi anni: molte volte tante persone mi hanno chiesto di portarla alla luce come esempio.
Ma dove trovavo il coraggio quando alcune affermando di combattere stigma e pregiudizio ne avevano nei miei stessi confronti?
Mi accorsi che vi sono UOMINI e DONNE che non hanno paura di metterci la faccia e di aprirsi addirittura con entusiasmo e ironia come Sabatino Catapano, autore del libro IL SOPRAVVISSUTO che mi riprometto di leggere appena possibile perché tale mi considero a differenza di quegli UOMINI e quelle DONNE che nel SADISMO nell’INDIFFERENZA ci sono MORTI mi impegno da ora a non più nascondermi iniziando ad uscire allo scoperto con la sola speranza che l’esperienza da me vissuta possa aiutare anche una sola persona, possa aprire anche un solo cuore.

L’EVASIONE DI SAN VALENTINO


Un pensiero vá allo scomparso
*Compagno Roma (Raffaele).


*Un abbraccio va a:

Giorgio Pompa (ora Associazione dalle Ande agli Appennini).
*A Loly per la sua presenza e protezione.
Membri dell’ex Telefono Viola di Milano. Anche quí con la speranza che qualcuno possa raccoglierne l’eredità e abbia le forze di riaprirlo.

Ultimi ma non ultimi tutti/e i componenti di:

*Rete Antipsichiatrica;
*Collettivo Rapa Viola Milano;
*Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud di Pisa, autori del libro ELETTROSHOCK;
*Collettivo Universitario Bicocca;
*a chiunque si trovi in difficoltà e a chi si batte contro questa forma di tortura chiamata psichiatria.

Marcello Riva.

Comunicato su un TSO subito di recente…

  • February 25, 2015 8:36 pm

riceviamo e  pubblichiamo, su richiesta dell’autore, il suo comunicato su un Trattamento Sanitario Obbligatorio subito di recente in un reparto di psichiatria.
Comunicato – Il giorno 17 u.s., mentre curavo il mio limone, sono entrate tante persone
dentro casa mia senza che io le avessi chiamate e senza che io aprissi loro la porta.
Ho detto cosa stavo facendo, ma loro, senza voler sentire ragioni, mi hanno fatto due punture
e portato via in trattamento sanitario obbligatorio. Ci sono state parecchie altre punture fattemi,
e una di questa mentre, calmo, ero legato al letto. Stamattina mi hanno dimesso (il 23/02/15 ndr),
e tutto il tempo trascorso in psichiatria, ho parlato sempre per come mi hanno visto e sentito le persone che per telefono e/o di persona hanno dialogato armonicamente e in concordia con me. Reciprocità assoluta.

Chiedo a voi Signore e a voi Signori di denunciare in ogni dove questo orrore.
Io sto bene. Grazie. A presto. Cordialmente. Buona serata –

Dottor Natale Adornetto, Psicologo libero professionista.