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PROFILO STORICO DEI MANICOMI GIUDIZIARI E DEGLI OSPEDALI PSICHIATRICI GIUDIZIARI D’ITALIA

  • December 5, 2014 1:33 pm

PROFILO STORICO DEI MANICOMI GIUDIZIARI E DEGLI OSPEDALI PSICHIATRICI GIUDIZIARI D’ITALIA
a cura del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud

opuscolo STORIA OPG

Con l’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica Italiana e con le succssive riforme, si può genericamente affermare che oggi la concezione del manicomio è molto cambiata e almeno in parte sono stati superati i gravi problemi di amministrazione e gestione dell’ Italia prerepubblicana , derivanti soprattutto dall’affollamento degli istituti manicomiali, dalla mancanza di una legislazione unitaria, dalle precarie condizioni igienico-sanitarie degli istituti, dalle grandi disparità di trattamento ed organizzative tra i diversi manicomi, nonché dall’inadeguatezza della direzione.
Eppure gli opg in Italia continuano a funzionare.

L’istituzione totale è sopratutto un “muro”.
Con questo scritto ci siamo chiesti  quando e perchè fossero stati costruiti gli odierni
Manicomi Criminali.

per info e contatti:
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38 56100 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org / 335 7002669

CHIUDERE TUTTI I MANICOMI CRIMINALI: campagna per la CHIUSURA degli OPG

  • November 22, 2014 4:17 pm

CHIUDERE TUTTI I MANICOMI CRIMINALI

CAMPAGNA PER LA CHIUSURA DEGLI OPG

(gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari)

LIBERIAMOCI DEI MANICOMI

LIBERIAMOCI DELLA PSICHIATRIA

a cura di

RETE ANTIPSICHIATRICA

 

documento NO OPG-1
Tra realta’ psichiatrica e carceraria…
CENNI STORICI

Il Manicomio Criminale (MC) come principale istituzione per l’esecuzione delle misure di sicurezza è stato introdotto nel 1876 e regolamentato nel 1930 con il Codice Rocco.
Nel 1891, con il Regio Decreto 1 febbraio 1891, n. 260 “Regolamento generale degli stabilimenti carcerari e dei riformatori governativi”, il Manicomio Criminale viene ridenominato Manicomio Giudiziario (MG), pur rimanendo sostanzialmente invariato.1
Nel 1975, con la Legge n. 354 “Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta” (legge Gozzini), il Manicomio Giudiziario (MG), viene ridenominato Ospedale Psichiatrico Giudiziario (OPG), pur rimanendo sostanzialmente invariato come principale istituzione per l’esecuzione delle misure di sicurezza.

Le riforme carcerarie del ’75-’86 e quelle psichiatriche del ’65-’78 hanno prodotto solo un cambiamento di definizione.
In tutti questi anni, mentre l’OPG è rimasto cristallizzato nella sua forma fascista, con la legge 180/1978 gli Ospedali Psichiatrici vengono lentamente smantellati e sostituiti da una serie di istituzioni (ospedali, case famiglia, comunità, ecc.) ed il ricovero coatto viene regolamentato e ridefinito come Trattamento Sanitario Obbligatorio in reparto psichiatrico.
Allo stesso modo le carceri vengono formalmente coinvolte in un processo di apertura, che paradossalmente conduce ad un allargamento della popolazione carceraria tramite un più ampio e capillare sistema di controllo esterno al carcere. Con la legge Gozzini le carceri si aprono alla società e si instaurano una serie di misure alternative all’internamento.

L’individualizzazione della pena, voluta dalla Gozzini, ha fatto sviluppare nell’ambito carcerario ipotesi sul soggetto criminale sempre più somiglianti alle pratiche psichiatriche sui “malati di mente”; infatti i percorsi rieducativi si confondono con quelli terapeutici e gli psicofarmaci si diffondono massicciamente anche in carcere2.

Negli anni ’70-’80 una rivoluzione culturale antisegregazionista si afferma sul piano legislativo, ma nella realtà rimangono inalterati il pregiudizio di pericolosità sociale del malato mentale e lo stigma del recluso.
Se nel tempo l’attenzione politica e legislativa si è spostata dalla malattia al malato, dalla pericolosità al disagio, e dalla punizione alla rieducazione, nella società i corpi degli psichiatrizzati e dei carcerati sono rimasti comunque esclusi e imprigionati.
Una nuova tecnologia del controllo sociale si diffonde: l’industria farmacologica sforna prodotti capaci, in alcuni casi, di sostituire le camicie di forza, i letti di contenzione e le sbarre.

Qual è e qual è stato il fondamento di tutte queste istituzioni deputate all’esecuzione delle misure di sicurezza?
E’ ed è sempre stato l’internamento di una persona giudicata socialmente pericolosa, cioè di una persona che potrebbe reiterare la stessa condotta in futuro.
In altre parole, si priva della libertà un individuo per quello che si suppone sia e non per quello che effettivamente fa.
Tale principio è un fondamento delle società autoritarie: non a caso è stato il fascismo a introdurre le misure di sicurezza, tra le quali rientra anche il confino.

LA SITUAZIONE OGGI

E’ del 30 maggio 2014 la Legge n°81 che converte il decreto legge del 31 marzo 2014 n°52 recante
disposizioni in materia di superamento degli Opg (Ospedali Psichiatrici Giudiziari).

Il decreto n° 52/2014 prevede la proroga dal 1° aprile 2014 al 31 marzo 2015 il termine per la chiusura degli OPG e la conseguente entrata in funzione delle REMS (Residenze per l’Esecuzione Misure Sicurezza).

Attualmente in Italia gli OPG presenti sono sei e si trovano ad Aversa, Napoli, Barcellona Pozzo di Gotto, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia, Castiglione delle Stiviere.
Ad oggi, in questi veri e propri manicomi criminali, ci sono rinchiuse circa 850 persone.
I dati nel trimestre 1 giugno/1 settembre 2014 segnalano: n. 84 ingressi contro n. 67 persone dimesse; quindi continuano nuovi ingressi, nonostante si debbano privilegiare le misure alternative al ricovero in OPG.

Come si finisce in un OPG? In Italia, in caso di reato, se vi sia sospetto di malattia mentale, il giudice ordina una perizia psichiatrica; se questa si conclude con un giudizio di incapacità di intendere e di volere dell’imputato, lo si proscioglie senza giudizio e se riconosciuto pericoloso socialmente, lo si avvia a un Ospedale Psichiatrico Giudiziario (articolo 88 c.p.) o in una struttura residenziale psichiatrica per periodi di tempo definiti o meno, in relazione alla pericolosità sociale.

Entrando nello specifico, il Decreto prevede l’eliminazione del cosiddetto ergastolo bianco, che consiste nell’indeterminatezza della durata dell’internamento.
Nelle future REMS la durata della misura di sicurezza non potrà essere superiore a quella della pena carceraria corrispondente al medesimo reato compiuto: ci preoccupiamo, pertanto, del fatto che le persone che hanno già scontato in OPG tale pena non finiscano nelle REMS, ma vengano liberati subito e senza condizioni.
Tuttavia la legge prevede, al momento della dimissione dagli OPG, percorsi e programmi terapeutico-riabilitativi individuali, predisposti dalle regioni attraverso i dipartimenti e i servizi di salute mentale delle proprie ASL.
Alla fine di tale percorso, qualora venga riscontrata una persistente pericolosità sociale, è comunque prevista la continuazione delle esecuzione della misura di sicurezza nelle REMS.
Tradotto significa l’inizio di un processo di reinserimento sociale infinito, promesso ma mai raggiunto, legato indissolubilmente a pratiche e sentieri coercitivi, obbligatori, contenitivi3.
Come ben ricorda Giorgio Antonucci, il manicomio non è una struttura, bensì un criterio; la continua ridenominazione di tali strutture sopra riportata, infatti, non può nascondere la medesima contraddizione di fondo: l’isolamento del soggetto dalla realtà sociale per la sua incapacità di adattamento nei confronti di un mondo su cui nessuno muove mai alcuna questione e che nessuno mette mai in discussione.
L’intervento diventa così a priori manipolativo.
Nella realtà, pertanto, è lo stesso obbligo a una perenne assistenza psichiatrica territoriale a configurarsi come un vero e proprio ergastolo bianco.
Noi crediamo, invece, nel bisogno e nella costituzione di reti sociali autogestite e di spazi sociali autonomi, in grado di garantire un sostegno materiale, una casa senza compromessi di invalidità, nonché un reddito e un lavoro non gestiti dai servizi socio-sanitari, bensì autonomamente dal soggetto.
Una rete in grado di riesumare e coltivare quel legame unico, antispecialistico e non orientato a una cura protocollare che, in nome della scienza, non lascia spazio all’uomo.
Quel legame sciolto dal discorso capitalistico, demiurgo di consumatori in solitario godimento.

IN ALTRE PAROLE…

Chiudere i manicomi criminali senza cambiare la legge che li sostiene vuol dire creare nuove strutture, forse più accoglienti, ma all’interno delle quali finirebbero sempre rinchiuse
persone giudicate incapaci d’ intendere e volere.
La questione, insomma, non può essere risolta con un tratto di penna, non è sufficiente stabilire che quello che è stato non deve più essere, e pensare che il problema si risolva da sé. È vero che per troppo tempo gli Opg sono stati un territorio dimenticato in cui ogni dignità e diritto sono annullatati ma ci sono da più di un secolo e mezzo e la legge che gli regola è del 1904.
Per abolire realmente gli OPG bisogna non riproporre i criteri e i modelli di custodia ma occorre metter mano a una riforma degli articoli del codice penale e di procedura penale che si riferiscono ai concetti di pericolosità sociale del “folle reo, di incapacità e di non imputabilità”, che determinano il percorso di invio agli Opg.
Viene ribadito, oltretutto, il collegamento inaccettabile cura-custodia riproponendo uno stigma manicomiale; dall’altro ci si collega a sistemi di sorveglianza e gestione esclusiva da parte degli psichiatri, ricostituendo in queste strutture tutte le caratteristiche dei manicomi. La proliferazione di residenze ad alta sorveglianza, dichiaratamente sanitarie, consegna agli psichiatri la responsabilità della custodia, ricostruendo in concreto il dispositivo cura-custodia, e quindi responsabilità penale del curante-custode.
La questione non è solo la chiusura di questi posti: non si tratta solo di chiudere una scatola, per aprirne tante altre più piccole. Il problema è superare il modello di internamento, è non riproporre gli stessi meccanismi e gli stessi dispositivi manicomiali. Il problema non è se sono grossi o piccoli, il problema è che cosa sono. Il manicomio non è solo una questione di dove lo fai, se c’è l’idea della persona come soggetto pericoloso che va isolato, dovunque lo sistemi sarà sempre un manicomio. Magari più bello, più pulito, ma la logica dominante sarà sempre quella dell’esclusione e non dell’inclusione.
La Legge 81/2014 con la misura di affidamento ai servizi sociali costituisce un passo in avanti nella riduzione delle misure reclusive totalizzanti, ma, mantenendo inalterato il concetto di pericolosità sociale, non cambia l’essenza della modalità di risoluzione della questione.
Nonostante sia previsto un maggiore contatto dell’individuo con la società, l’isolamento rimane all’interno dell’individuo attraverso trattamenti psicofarmacologici debilitanti che conducono a fenomeni di cronicizzazione.
Cambieranno i luoghi di reclusione, in strutture meno fatiscenti e più specializzate, ma allo stesso tempo ci sarà una gestione affidata al privato sociale, andando così incontro a fenomeni di allungamento della degenza per mantenere i finanziamenti, con una presa in carico vitalizia ad opera dei servizi psichiatrici.

Questa legge non soddisfa l’idea di un superamento di un sistema aberrante e coercitivo, infatti permangono misure di contenzione svilenti per l’individuo e trattamenti farmacologici troppo debilitanti e depersonalizzanti per poter essere definiti positivi per la persona.
Uno concreto percorso di superamento delle istituzioni totali passa necessariamente da uno sviluppo di una cultura non segregazionista, largamente diffusa, capace di praticare principi di libertà di solidarietà e di valorizzazione delle differenze umane contrapposti ai metodi repressivi e omologanti della psichiatria.

  • October 22, 2011 11:13 pm

UN CONTRIBUTO ANTIPSICHIATRICO E ANTIPROIBIZIONISTA

  • October 20, 2011 10:44 am

CONTRIBUTO ALLA ASSEMBLEA NAZIONALE ANTIPROIBIZIONISTA
che si terrà a PISA – 22.10.2011

COLLETTIVO ANTIPSICHIATRICO ANTONIN ARTAUD

Nel Rapporto della Commissione delle Politiche sulle Droghe dell’ONU si dichiara il fallimento delle politiche proibizioniste mondiali auspicando la fine della criminalizzazione e della repressione dei consumatori e la conseguente legalizzazione delle droghe.
Secondo questo Rapporto della questione se ne deve occupare la medicina e non i tribunali e le polizie. E’ necessario riservare ai consumatori di droghe adeguate cure mediche e non la reclusione. La repressione non ha fatto diminuire i consumi, nè la diffusione delle droghe, con il conseguente incremento dei fenomeni di abuso e di dipendenza oltre che dei volumi del mercato nero. I miliardi spesi per la War on Drug hanno contribuito ad aumentare i danni correlati alle droghe in termini sia economici che di sofferenza umana.
Il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud non può che accogliere positivamente la notizia che un’Istituzione Sovranazionale di questo livello affermi in questi termini il fallimento del proibizionismo e ne chieda il superamento, ma allo stesso tempo guarda con seria preoccupazione il suo rivolgersi agli apparati medici.
Questa preoccupazione deriva non da un pregiudizio antimedico, ma da un’attenta osservazione e ricerca con la quale il Collettivo si confronta da diversi anni. Cercheremo in questa sede di narrare brevemente l’esperienza di un gruppo antipsichiatrico geograficamente e storicamente determinato, con l’obbiettivo esplicito di contaminare positivamente tutti i movimenti sociali che lottano per i diritti fondamentali degli esseri umani.
La genesi di questo cammino particolare sta nella costituzione di un momento di discussione e di confronto sul tema della Psichiatrica avvenuto nel 2000 nei locali dell’università di Pisa, che condusse ad una prima iniziativa di dibattito dal titolo “Drugs: farmaci&droghe” con la partecipazione dei membri del Telefono Viola di Milano, della Comunità degli Elfi di Pistoia e della Società Italiana per lo Studio degli Stati di Coscienza. Questo incontro fondamentale portò all’inserimento nel manifesto della prima edizione di Canapisa del 2001 del NO al TSO e all’Elettroshock. Non è del tutto casuale che proprio a Pisa si facessero certi discorsi visto che ha sede in questa città la più importante scuola psichiatrica di matrice organicista e lombrosiana che pratica l’elettroshock e sostiene l’origine genetica dei disturbi mentali; questo specifico filone di pensiero psichiatrico è intimamente legato alle multinazionali del farmaco statunitensi e ne diffonde ampiamente i suoi ritrovati.
Nel 2001 nasceva quindi un discorso che valicò i confini dell’antiproibizionismo, dando vita ad laboratorio antipsichiatrico che nel 2005 prende il nome di Antonin Artaud, attore, poeta, scrittore, pittore, in due parole artista poliedrico francese morto negli anni quaranta dopo anni di segregazione manicomiale e di molteplici applicazioni di elettroshock.

Le fonti per questa ricerca oltre ad essere state quelle classiche, come la letteratura, la storia, i giornali, le leggi del parlamento, ecc.., sono state i partecipanti stessi al collettivo con i loro vissuti ed esperienze insieme a tutte quelle persone che ci hanno narrato la loro storia all’interno della psichiatria come utenti o come lavoratori a vario livello in questa istituzione.

Dall’attività di ricerca sono affiorate vicende che negli anni hanno fatto luce su un quadro della psichiatria sconcertante, dalle tinte inquietanti e dalle sfumature insopportabili. Tante testimonianze mostrano come questa disciplina entrata a far parte della medicina solo nel ‘900, sia interessata al controllo e alla neutralizzazione delle persone e non si adoperi per la loro autonomia, sostegno e benessere. Quello che caratterizza la psichiatria contemporanea è l’ uso di farmaci e ciò ha contribuito a stabilire un pericolo confine tra farmaci benefici che curano e droghe malefiche che ammalano. In questa ottica, se si viola questo confine, è legittimo l’uso della forza al fine di sostituire gli psicofarmaci alle droghe.
In Italia le politiche ultraproibizioniste hanno preso il posto ad ogni ipotesi di legalizzazione da far sembrare lontano anni luce il Rapporto della Commissione ONU, almeno sul versante della criminalizzazione e della repressione. Mentre sul versante della medicalizzazione assistiamo già da tempo ad un espandersi del numero dei consumatori di droghe che vengono psichiatrizzati. Se si auspica il superamento della criminalizzazione con la medicalizzazione possiamo assistere oggi alla coesistenza di questi due fenomeni. Le doppie diagnosi, per i Consumatori di sostanze stupefacenti illecite, crescono di numero insieme alle sanzioni amministrative e penali. Ma se da queste ultime esiste qualche possibilità di difesa, per le seconde questa possibilità si assottiglia e per le prime non esiste nessuno strumento reale di tutela contro eventuali abusi. Con la psichiatria abbiamo conosciuto un potere assoluto ed arbitrario, che si ammanta del discorso scientifico per giustificare il suo operato e dal quale una volta entrati dai suoi cancelli diventa impossibile uscirne, se non per casi singoli ed isolati, favorendo la cronicizzazione di particolari situazione di vita.
Nell’istituzione preposta al controllo della follia non ci sono avvocati e giudici, codici scritti a cui fare riferimento, processi che conducono all’accertamento dei fatti cercando di arrivare ad una qualche verità, esistono solo le diagnosi, provenienti da una miriade di manuali, che funzionano come sentenze di privazione della libertà personale; basta l’accordo di un medico qualunque ed un medico psichiatra del C.I.M. (Centro di Igiene Mentale) o di un SPDC ( Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura) di un qualunque Ospedale. Il coordinamento dei CIM e degli SPDC avviene nei DSM (Distretti di Salute Mentale), in questi enti la massima autorità é il giudizio medico psichiatrico. Quest’ultimo negli anni sessanta e settanta attraversò un forte periodo di crisi perchè psichiatri della stessa scuole accademica di un determinato paese non riuscivano a mettersi d’accordo sulle diagnosi e quindi sulla definizione stessa di malattia mentale, immaginate l’accordo che si poteva trovare tra psichiatri di scuole diverse od addirittura tra paesi diversi. Come lo conosciamo adesso in Italia, l’apparato psichiatrico proviene dalla riforma degli OPP (Ospedali Psichiatrici Provinciali) istituiti nel 1904 ed avvenuta tra il 1965 ed il 1978. Questa riforma fu impropriamente soprannominata legge Basaglia e venne accolta come l’abolizione dei manicomi. In sostanza tale riforma è risultata essere il superamento del vecchio sistema manicomiale di tipo asilare tramite l’affermarsi di un nuovo e più efficace modello di manicomio, che da noi è stato soprannominato manicomio diffuso. Quello che è avvenuto è stato il perfezionamento ed il potenziamento del dispositivo fondamentale di azione psichiatrica, la diagnosi, con il suo dilagare all’esterno dei manicomi, direttamente sui territori, in famiglia, a lavoro, a scuola, nella nostra stessa mente (si diffonde l’autodiagnosi e i termini psichiatrici diventano di uso comune), rendendo quindi obsolete ed inefficaci le strutture manicomiali, oltre che insopportabili agli occhi degli osservatori che ne scoprivano i raccapriccianti retroscena ( gli ultimi OPP sono stati chiusi nel 1995 dall’intervento dei carabinieri in seguito ad una inchiesta parlamentare). Il sistema manicomiale italiano nella sua evoluzione ha visto la scomparsa delle grandi strutture reclusive e la nascita e la diffusione di una miriade di piccole e medie strutture che costituiscono quell’arcipelago della contenzione non penale fatto di case famiglia, comunità e residenze protette per accogliere la vecchia e la nuova utenza manicomiale. In questo quadro storico hanno un ruolo centrale i farmaci che negli anni cinquanta vengono utilizzati con successo, tra virgolette, dagli psichiatri per il trattamento degli internati in manicomio. Da allora la loro diffusione non si è mai arrestata, rendendo l’industria farmaceutica un colosso imponente in continua espansione e consolidamento, che non conosce crisi (per fare degli esempi Solvay ha iniziato a produrre farmaci negli anni novanta e Siemens, l’anno prima della crisi mondiale dell’auto, vendeva questo suo comparto per investire in farmaceutica).
La confusione psichiatrica negli anni ottanta si attenua grazie al progetto del APA (Associazione Psichiatrica Americana) di produrre un manuale unico per gli psichiatri di tutto il mondo, il progetto prende il nome di DSM, un manuale diagnostico che tra un po’ arriverà alla sua quinta edizione e che ha visto lievitare vertiginosamente il numero dei sintomi psichiatrici al susseguirsi di ogni sua edizione.

Questo è il luogo adatto per cercare risposte concrete e praticabili ad uno stato di cose che troviamo inaccettabile. Quello che da potere all’istituzione, al di là della legge e della propaganda, siamo tutti noi con le nostre azioni e credenze, nel caso delle istituzioni totali la loro forza viene anche dalle nostre omissioni ed ignoranze.
E’ importante avere una visione ed un’analisi comune come punto di partenza per dar vita a pratiche efficaci in difesa dei diritti fondamentali. Quello che ci rende più deboli di fronte alle istituzioni Totali è l’isolamento e l’esclusione dei soggetti che vi si ritrovano coinvolti come utenti involontari. La ricomposizione di un tessuto di solidarietà che non lascia soli i soggetti rappresenta un fondamentale argine di difesa dagli abusi. Queste parole possono sembrare frasi fatte e di circostanza per avere facili consensi, ma quello che qui si cerca non è il consenso o un opinione favorevole, ma la collaborazione attiva, l’attivismo, l’iniziativa di sempre un maggior numero di persone che si adoperi per la tutela reale dai rischi che corre la propria stessa vista ed esistenza, consapevole del fatto che questa è intrinsecamente legata a quella degli altri che ci circondano come marinai sulla stessa barca.

Con la nostra attività abbiamo cercato in questi anni di difendere ed aiutare le persone internate od a rischio internamento, quelle che voglio smettere con i farmaci o che hanno bisogno di mediatori in famiglia, non senza insuccessi e fallimenti. Per fare una forte autocritica la nostra attività di azione diretta antipsichiatrica ha avuto solo piccoli e a volte brevi successi, il sistema istituzionale psichiatrico è un enorme essere contro il quale i singoli sono costretti a soccombere od ad adeguarsi ad esso, senza alternative. Ma questo non vale per i gruppi, i collettivi e le comunità, questi sono entità sovrumane verso cui la psichiatria ha meno potere. Per questo il nostro obiettivo è quello di creare reti sociali di discussione e di intervento che non facciano sentire sole ed abbandonate le persone che si connettono ed impediscono che un’etichetta definisca ogni aspetto della propria esistenza. Questo forse ridurrebbe i suicidi e la totale esclusione sociale che rende i soggetti proprietà delle istituzioni preposte al loro controllo.

collettivo antipsichiatrico a.artaud-pisa

 

– antipsichiatriapisa@inventati.org

Comunicato del telefono viola di Milano

  • March 23, 2011 9:28 am

Nei 3 reparti psichiatrici Grossoni di Niguarda vengono alla luce le vicende di altri 7 ricoverati morti.

Comunicato del telefono viola di Milano in merito alle morti nel reparto psichiatrico del Grossoni

…SIAMO IN PERICOLO…

  • January 31, 2008 2:01 pm

La
tabella riportata sotto (fonte: Ministero dell’Interno) dimostra come i
crimini in Italia siano in diminuzione; non è però
questa l’immagine che i media (fedeli all’insegnamento del nazista
Goebbels «basta ripetere in continuazione una bugia per farla
diventare verità») ci propongono. Ogni giorno vengono
diffuse notizie riguardanti fatti di criminalità commessi da
immigrati, consumatori di sostanze, persone psichiatrizzate, facendo
leva sul comune pregiudizio per giustificare l’esigenza di leggi
securitarie; un’ “emergenza crimine” che fa crescere
l’odio, la paura e l’intolleranza.

Il
senso di insicurezza, derivato da una società per pochi
privilegiati che crea precarietà, viene così deviato
verso quel “pericolo”, quel “nemico” contro il quale puntare
l’indice e agire; categorie “colpevoli” di fare paura sono di
volta in volta evidenziate: capri espiatori di un clima di disagio
sociale che ha però le sue radici nella struttura stessa della
società.

Ecco
che si alternano leggi sempre più restrittive (anti-droga,
anti-graffiti, anti-immigrazione, ecc), si innalzano mura creando
veri e propri ghetti, si riempiono le carceri, aumenta il ricorso al
TSO(Trattamento Sanitario Obbligatorio), si diffonde a macchia d’olio
l’uso di psicofarmaci, si chiudono gli spazi sociali di aggregazione;
tutti quei comportamenti che esulano dal modello sociale
propagandato vengono colpiti, criminalizzati o psichiatrizzati. A
volte, le persone vengono anche uccise.


Perugia,
Aldo Bianzino, falegname di 44 anni, entra in carcere il 12 Ottobre
per la coltivazione di alcune piante di Cannabis; ne esce morto il 14
Ottobre. Secondo l’autopsia le lesioni interne riscontrate sul suo
corpo sono compatibili con l’omicidio. Aldo era in isolamento, le
uniche persone con cui aveva contatto erano gli agenti carcerari.

Bologna,
nel mese di ottobre 7 ragazzi sono stati arrestati perchè
sorpresi a fare scritte su un muro. Processati per direttissima, i 7
writers sono stati colpiti da pene tra i 5 e i 10 mesi di carcere e
sono tuttora in prigione; a nessuno di loro (neanche a quelli
incensurati) è stata concessa la condizionale. È la
prima volta in Italia che delle persone sono finite in carcere per
delle scritte su un muro.

Empoli,
12 giugno 2007 Roberto Melino, 24 anni, muore in reparto psichiatrico
per arresto cardiocircolatorio; il giovane era entrato il 4 giugno in
TSV (Trattamento Sanitario Volontario), tramutato dai medici in TSO
alla richiesta di andare a casa; resta da chiarire se la morte sia
avvenuta per cause naturali o in seguito alla somministrazione di
farmaci.


Questi
sono solo alcuni degli ultimi casi dell’isteria proibizionista e
securitaria che in questi ultimi anni ha fatto decine e decine di
vittime nelle carceri (ricordiamo Marcello Lonzi morto l’11 luglio
2003), nei Reparti Psichiatrici, nei CPT e negli OPG (Ospedali
Psichiatrici Giudiziari) , e nelle strade, come successo a Federico
Aldrovrandi morto a Ferrara il 25 settembre 2005 x un pestaggio ad
opera della polizia locale.


BASTA
CON LE LEGGI CHE IMPONGONO IL CONTROLLO DELLO STATO SULLE SCELTE E
GLI STILI DI VITA DELLE PERSONE!

BASTA
CON L’ISTERIA DELLA SICUREZZA CHE SERVE AI PADRONI E ALLO STATO PER
MANTERE LA PACE SOCIALE!


NO
ALLA TOLLERANZA ZERO

Venerdì
16 Novembre dalle 17 alle 20

PRESIDIO
in LARGO

C. MENOTTI


Liberi
Tutti/Canapisa Crew Collettivo Antipsichiatrico
Antonin Artaud

www.osservatorioantipro.org
www.artaudpisa.blogspot.com

canapisa@inventati.it
antipsichiatriapisa@inventati.org

 


NUMERO
DI OMICIDI IN UN ANNO DAL 1993 AD OGGI

 

FURTI
E SCIPPI (ogni 100.000 abitanti)

ANNO

CRIMINALITà
ORGANIZZATA

LITE-RISSA
FUTILI MOTIVI

FURTO-RAPINA

FAMIGLIA
PASSIONI AMOROSE

ALTRI
MOTIVI

TOTALE
OMICIDI

ANNO

FURTI
APPARTAMENTI

SCIPPI

1993

158

140

102

106

559

1,065

CENTRO-NORD

SUD-ISOLE

CENTRO-SUD

SUD-ISOLE

1997

247

90

117

121

289

864

1993

388

246

86

114

2001

163

98

47

193

206

707

1997

484

288

52

86

2006

121

69

53

192

186

621

2001

374

241

34

80

2006

283

162

28

52


 

PSICHIATRIA: UN MURO DI GOMMA

  • January 7, 2008 7:10 pm



21
giugno 2006: muore a Cagliari in seguito a una tromboembolia
venosa Giuseppe Casu venditore ambulante ricoverato con un TSO nel
reparto psichiatrico di Cagliari dopo essere rimasto legato mani e
piedi al letto per 7 giorni sedato farmacologicamente

    28
    agosto 2006: muore a Palermo A.S., donna di 63 anni entrata in
    reparto psichiatrico il 17 agosto e qui trattenuta per accertamenti;
    dopo alcuni giorni di stato comatoso (dal 25 al 27) la donna si
    sarebbe risvegliata per morire nella notte tra il 28 e il 29;

    26
    maggio 2007: muore a Bologna Edmond Idehen, nigeriano di 38
    anni; l’uomo si era sottoposto volontariamente alle cure, ma alla
    richiesta di poter andare a casa i medici hanno deciso per il TSO e
    chiamato la polizia alle sue insistenze; le indagini sulla sua morte
    sono ancora in corso, la versione ufficiale parla di una crisi
    cardiaca avvenuta mentre infermieri e poliziotti tentavano di
    portare l’uomo sul letto di contenzione

    12
    giugno 2007: muore a Empoli Roberto Melino, 24 anni, per
    arresto cardiocircolatorio; il giovane era entrato il 4 giugno in
    reparto in TSV, tramutato dai medici in TSO alla richiesta di andare
    a casa; resta da chiarire se la morte sia avvenuta per cause
    naturali o in seguito alla somministrazione di qualche farmaco


Malessere..
o diversità….tanta confusione emozionale… AIUTO!!….
medicina…. Salute Mentale.. PSICHIATRA….. medicine…
tante…..TERAPIA!!TERAPIA!!…… confusione…. non sento più
nulla…. stranezze…..silenzio…CAOS….. silenzio…..
SOLITUDINE….. PAURA!!

    Male!!?…
    non mi ascolta nessuno… Confuso!!! e male,..tanto…… continua
    la contenzione…. AIUTO!!!… NESSUNO CON ME…. MALE!!MALE!!….
    “normale”, perché? Chi?…….A volte MORTE..

In
meno di un anno 4 morti all’interno di reparti psichiatrici
ospedalieri italiani.

Morti
alcune avvenute in circostanze sospette, le cui cause rimangono
oscure; gravissimi episodi che però non suscitano alcun
interesse nell’opinione pubblica e nei mass-media, come a tornare a
quell’ottica che dà un diverso valore alle vite umane a
seconda dell’etichetta sociale che viene data loro.

Viene
da pensare che la psichiatria, pseudoscienza priva di comprovate basi
scientifiche, agisca casualmente sulle persone trattate con farmaci,
ignorando o tralasciando possibili contro-azioni dei composti chimici
somministrati; oppure che alcuni medici approfittino della copertura
delle istituzioni pubbliche per sperimentare farmaci su pazienti
(fatto certo non nuovo); o ancora che i medicinali vengano
somministrati in dosi massicce solo per sedare pazienti “scomodi”,
fino a causare blocchi cardio-respiratori o cardio-circolatori, che,
non a caso, sono due tra i possibili effetti collaterali di molti
psicofarmaci.

In
ogni caso il reale problema rimane essere quell’alone di mistero che
circonda l’istituzione psichiatrica per cui le situazioni degli
psichiatrizzati non si conoscono, non si devono conoscere o si ha
paura di conoscere. La “malattia mentale” rimane quel qualcosa di
non dimostrato eppure a priori riconosciuto da tutti. Si giustifica
l’agire medico sull’individuo in nome di una salvaguardia fisica del
paziente, a prescindere dalla sua volontà e senza dargli
ascolto in quanto considerato incapace di decidere per sé a
causa della sua “patologia”.


Il
percorso psichiatrico è sempre e costantemente accompagnato da
trattamenti psico-farmacologici, con la tendenza ad annullare
emozioni e pensieri dell’individuo “curato” così da poter
riplasmare la sua mente ed annullare i sintomi del suo ”disturbo”.

Moltissime
volte queste cure avvengono senza il consenso informato; non è
raro che gli psichiatri diano farmaci singoli o tolgano il foglietto
illustrativo dalle confezioni distribuite nei Centri di Igiene
Mentale o ancora che dicano ai pazienti di non leggerlo per non farsi
influenzare dai contro-effetti. Contro-effetti che vanno da disturbi
di attenzione e memoria, confusione mentale, problemi nel
funzionamento di organi, disturbi neurologici, fino al blocco
cardio-circolatorio e cardio-respiratorio causando quindi la morte.

Evidente
è l’arbitrarietà della scelta terapeutica: a seconda
dello psichiatra o dell’ospedale si possono trovare farmaci usati per
tutti i tipi di “disturbi” e farmaci differenti, talvolta anche
contrastanti tra loro, usati per una stessa “patologia”.

Solitamente
non viene prescritto un unico farmaco, ma cocktail di sostanze allo
scopo di creare una condizione di effetti contrastanti tali da
mantenere il paziente in uno stato “controllato” che si traduce
però in appiattimento emozionale e rallentamento fisico.

Spesso
i dosaggi vengono aumentati in modo esponenziale all’unico scopo di
sedare e annullare comportamenti e pensieri dello psichiatrizzato,
perché porta disagio all’interno del reparto.

Diffusissima
è la pratica del depot (puntura a lento rilascio) nonostante
presenti una più alta probabilità nell’insorgere di
effetti collaterali poiché rende impossibile lo scalaggio o
l’interruzione d’urgenza della terapia in corso (il massimo effetto
si ha tra i 7 e i 14 giorni dall’iniezione).

Anche
volendo tralasciare ogni considerazione sulla reale efficacia degli
psicofarmaci non si può negare che stiamo assistendo ad un
eccessivo uso di farmaci, che vengono distribuiti a piene mani come
fossero pillole della felicità.

Le
pratiche psichiatriche sono inoltre costellate da abusi alla persona.

È
ancora in uso la contenzione fisica, che può giungere ad
eccessi come nel caso di Cagliari, per non parlare dell’elettroshock,
tuttora presentato come soluzione utile in casi che sembrano sfuggire
al controllo degli psichiatri. Assistiamo giornalmente a TSO
totalmente arbitrari, spesso effettuati con l’uso della violenza;
ricoveri volontari che diventano obbligatori nel momento in cui il
paziente rifiuta le cure o chiede di poter tornare a casa. Per non
parlare di quegli effetti collaterali dei farmaci fatti passare per
sintomi stessi della “malattia”.

Costante
è il ricatto della psichiatria e spesso impossibile per la
persona il sottrarsi al suo pressante controllo.


A
queste considerazioni non può non seguire una critica della
psichiatria come disciplina in sé. Le presunte cause organiche
delle cosiddette “malattie mentali” rimangono sconosciute, eppure
si ha la pretesa di creare farmaci
che possono curarle.

Si
può dire che la psichiatria sia una medicina fondata
sull’effetto: a partire da un comportamento considerato anomalo e
quindi sintomo di malattia si studiano quelle sostanze psicotrope in
grado di regolarlo a livello cerebrale pretendendo di trovare così
la causa organica del disturbo. Altre volte nuove “patologie”
vengono create a tavolino per smerciare vecchi e nuovi farmaci ed
alimentare il business delle case farmaceutiche facendo leva sui
disagi delle persone.

Non
può che rimanere il dubbio su queste morti, vere e proprie
morti di stato sulle quali è necessario fare chiarezza.

L’invito
è a rompere il silenzio, a denunciare gli abusi psichiatrici
perpetrati ai danni di individui troppo spesso impotenti perché
intrappolati nella solitudine psichiatrica; a distruggere quei miti
di cui la psichiatria si è circondata e spezzare il muro di
silenzio che da sempre la circonda e la difende da attacchi esterni.


Collettivo
Antonin Artaud antipsichitriapisa@inventati.org
tel. 3357002669

Collettivo
antipsichiatrico Viloletta Van Gogh
violettavangogh@inventati.org

Telefono
Viola Milano via dei Transiti (Mi) tel. 02/2846009

CANAPISA 2007

  • January 7, 2008 5:36 pm

ALLE
VITTIME DELLA PSICHIATRIA

Non
c’è da stupirsi che una street-parade antiproibizionista sia
dedicata alle vittime della psichiatria. Antipsichiatria e
antiproibizionismo coesistono infatti da tempo all’interno di un
percorso che contrasta con la logica proibizionista che appoggia la
medicalizzazione di massa. L’attuale
decreto Fini Giovanardi non ha fatto altro che rinforzare il legame
proibizionismo-psichiatria etichettando il consumatore di sostanze
psicoattive come malato mentale da trattare con cure psichiatriche. I
“drogati” diventano così merce per l’industria del
recupero e della riabilitazione sulla base di una doppia diagnosi che
li vede malati mentali in quanto drogati e drogati a causa della loro
malattia mentale. Una doppia ragione per il ricorso alle cure
psichiatriche e un drastico cambio di prospettiva nell’affrontare la
questione del consumo di sostanze che è ora trasformata da una
questione sociale a una questione sanitaria e penale. L’assuntore di
sostanze non è più visto come il “ribelle”, il
“disadattato sociale”, lo “psiconauta alla ricerca di
esperienze altre”, ecc, ma come un malato mentale da curare e la
gestione delle tossicodipendenze è delegata alla macchina
psichiatrica.

Nuovi
orizzonti di business si aprono così per gli imprenditori
della reclusione e della cura della salute mentale. Dietro a tutto
ciò la forte spinta delle multinazionali del farmaco, veri
potentati in grado di influenzare scelte politiche e segmenti di
mercato, ma anche un notevole tornaconto per le istituzioni politiche
che vedono nel farmaco un potente strumento di controllo.

Massiccio
è l’uso di psicofarmaci in ogni ambiente e fascia sociale,
come a dimenticare la pericolosità delle sostanze con le quali
si ha a che fare. Gli psicofarmaci generano fenomeni di dipendenza e
di assuefazione talvolta assai più gravi delle sostanze
illegali classificate come droghe pesanti; inoltre i meccanismi
attraverso cui agiscono sono tutt’altro che noti e spesso causa di
vere e proprie malattie neurologiche.

È
un paradosso difficilmente spiegabile vietare da un lato l’uso di
sostanze psicoattive classificate illegali e dall’altro prescrivere
sostanze psicoattive legali per curare le tossicodipendenze.

Viene
da chiedersi quale sia la reale differenza tra droghe e psicofarmaci,
differenza che sembra davvero ridursi alla prescrizione medica.


Il
collettivo Antonin Artaud è un gruppo di persone che si
propone di sviluppare e diffondere una cultura antipsichiatrica e di
contrastare gli usi e gli abusi della psichiatria attraverso attività
di ricerca e di divulgazione e offrendo ascolto, solidarietà e
supporto legale alle vittime della psichiatria.

Per
info:

antipsichiatriapisa@inventati.org
/
tel.3357002669

www.artaudpisa.blogspot.com

COME E PERCHE’ GLI OPG VANNO SUPERATI

  • January 5, 2008 7:11 pm



LETTERA APERTA
SULL’INSOSTENIBILITA’ DEI MANICOMI CRIMINALI




L’Ospedale
Psichiatrico Giudiziario, pesante cono d’ombra della giustizia
italiana che affonda le sue radici negli anni ’30 del fascismo, è
oggi oggetto di ridiscussione.


Le
riforme carcerarie del ’75-’86 e quelle psichiatriche del ’65-’78
hanno prodotto solo un cambiamento di definizione: il Manicomio
Criminale si tramuta in Ospedale Psichiatrico Giudiziario.

In
tutti questi anni, mentre l’OPG è rimasto cristallizzato nella
sua forma fascista, con la legge 180 gli Ospedali Psichiatrici
vengono lentamente smantellati e sostituiti da una serie di
istituzioni (ospedali, case famiglia, comunità, ecc) ed il
ricovero coatto viene regolamentato e ridefinito come Trattamento
Sanitario Obbligatorio in reparto psichiatrico.

Allo
stesso modo le carceri vengono formalmente coinvolte in un processo
di apertura, che paradossalmente conduce ad un allargamento della
popolazione carceraria tramite un più ampio e capillare
sistema di controllo esterno al carcere. Con la legge Gozzini le
carceri si aprono alla società e si instaurano una serie di
misure alternative all’internamento.


L’individualizzazione
della pena, voluta dalla Gozzini, ha fatto sviluppare nell’ambito
carcerario ipotesi sul soggetto criminale sempre più
somiglianti alle pratiche psichiatriche sui “malati di mente”;
infatti i percorsi rieducativi si confondono con quelli terapeutici
e gli psicofarmaci si diffondono massicciamente anche in carcere.


Negli
anni ’70 ’80 una rivoluzione culturale antisegregazionista si afferma
sul piano legislativo, ma nella realtà rimangono inalterati il
pregiudizio di pericolosità sociale del malato mentale e lo
stigma del recluso.

Se
nel tempo l’attenzione politica e legislativa si è spostata
dalla malattia al malato, dalla pericolosità al disagio, e
dalla punizione alla rieducazione, nella società i corpi degli
psichiatrizzati e dei carcerati sono rimasti comunque esclusi e
imprigionati.

Una
nuova tecnologia del controllo sociale si diffonde: l’industria
farmacologica sforna prodotti capaci, in alcuni casi, di sostituire
le camicie di forza, i letti di contenzione e le sbarre.



Negli
ultimi anni si è ricominciato a parlare di OPG e, nel
tentativo di risolvere l’ ormai scottante questione, sono state
presentate due proposte di riforma degli OPG.

Nella
proposta di legge delle regioni Toscana ed Emilia Romagna la figura
giuridica della non imputabilità è mantenuta, anche se
con alcune modifiche, come l’abolizione della seminfermità; si
conservano il concetto di pericolosità sociale e
l’applicazione di misure di sicurezza nei confronti di chi è
ritenuto non imputabile; le misure di sicurezza previste sono:
assegnazione ad un istituto in cui si garantiscano trattamento
psichiatrico e custodia ( per reati con pena massima non inferiore a
10 anni), e affidamento al Servizio Sociale (per reati con pena
massima inferiore a 10 anni), che potrà essere tramutata nella
prima qualora non dovesse risultare adeguata al caso.

Tale
proposta con la misura di affidamento ai servizi sociali costituisce
un passo in avanti nella riduzione delle misure reclusive
totalizzanti, ma, mantenendo inalterato il concetto di pericolosità
sociale, non cambia l’essenza della modalità di risoluzione
della questione.

Nonostante
sia previsto un maggiore contatto dell’individuo con la società,
l’isolamento rimane all’interno dell’individuo attraverso trattamenti
psicofarmacologici debilitanti che conducono a fenomeni di
cronicizzazione.

Cambieranno
i luogo di reclusione, in strutture meno fatiscenti e più
specializzate, ma allo stesso tempo ci sarà una gestione
affidata al privato sociale, andando così incontro a fenomeni
di allungamento della degenza per mantenere i finanziamenti, con una
presa in carico vitalizia ad opera dei servizi psichiatrici.


L’altra
proposta, quella dell’onorevole Corleone, parte da una sostanziale
novità nell’approccio alla questione: l’istituto della non
imputabilità è abolito; al “malato di mente” autore
di reato è riconosciuta la capacità di intendere e di
volere e quindi la sua imputabilità e possibilità di
essere soggetto alle pene previste dal codice penale per il tipo di
reato commesso.

L’opg
viene quindi abolito, ma solo per creare all’interno del carcere
strutture adeguate alla cura dei disturbi mentali, reparti
psichiatrici interni all’istituto penitenziario, così da
aumentare il ruolo della psichiatria in carcere senza modificare la
situazione attuale.


Queste
proposte non soddisfano l’idea di un superamento di un sistema
aberrante e coercitivo, infatti permangono misure di contenzione
svilenti per l’individuo e trattamenti farmacologici troppo
debilitanti e depersonalizzanti per poter essere definiti positivi
per la persona.

Uno
concreto percorso di superamento delle istituzioni totali passa
necessariamente da uno sviluppo di una cultura non segregazionista,
largamente diffusa, capace di praticare principi di libertà
di solidarietà e di valorizzazione delle differenze umane
contrapposti ai metodi repressivi e omologanti della psichiatria.


Collettivo
antipsichiatrico Antonin Artaud

antipsichiatriapisa@inventati.org