CINEFORUM ANTIPSICHIATRICO “ROBE DA MATTI?” c/o Dipartimento Scienze Politiche a Pisa

  • November 9, 2017 4:32 pm

“ROBE DA MATTI?” ciclo di film sulla follia e la sua percezione.

L’assemblea Aula R e il collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud, presso l’aula magna del Dipartimento di Scienze politiche in via Serafini 3, propongono un ciclo di film al fine di affrontare il tema dello stigma della salute mentale e degli abusi che avvengono nel campo della psichiatria.
Folle? Normale? Chi definisce quali sono i confini dell’uno e dell’altro?
Con questa introduzione non vogliamo proporre delle risposte, ma stimolare i vostri (e anche nostri) dubbi sul tema della salute mentale e della psichiatria, visionando alcune pellicole e dopo confrontarci su questi temi.
Tutte le proiezioni inizieranno alle ore 21.

15 novembre “the Experimet”- Paul Scheuring (2010)
“Ispirato al reale esperimento di Philip Zimbardo avvenuto a Stanford nel 1971. L’esperimento prevedeva l’assegnazione, ai volontari che accettarono di parteciparvi, dei ruoli di guardie e prigionieri all’interno di un carcere simulato. L’esperimento della prigione di Stanford fu un esperimento psicologico volto a indagare il comportamento umano in una società in cui gli individui sono definiti soltanto dal gruppo di appartenenza.”

29 novembre “la Pecora nera”- Ascanio Celestini(2010)
“Il manicomio è un condominio di santi. So’ santi i poveri matti asini sotto le lenzuola cinesi, sudari di fabbricazione industriale, santa la suora che accanto alla lucetta sul comodino suo si illumina come un ex voto. E il dottore è il più santo di tutti, è il capo dei santi, è Gesucristo”.

6 dicembre “Mommy”- Xavier Dolan (2014)
“In un possibile futuro prossimo, il Canada ha approvato una controversa legge, denominata S-14, che consente ai parenti di minori difficili, in caso di emergenza, di effettuare un ricovero coatto presso un istituto psichiatrico, saltando la procedura legale. Diane, una donna sola, entra nel centro di recupero al quale Steve, il figlio quindicenne, è stato affidato dopo la morte del padre. “

per info: antipsichiatriapisa@inventati.org

 

 

ELETTROSHOCK: MA QUALE CURA?

  • October 27, 2017 5:10 pm

In merito all’articolo pubblicato sul “Il Tirreno” nella pagina di Pisa
il 14 ottobre scorso abbiamo scritto un nostro articolo.

 

ELETTROSHOCK: MA QUALE CURA?

Come Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud da anni siamo impegnati sul territorio per contrastare gli abusi della psichiatria, ponendo particolare attenzione alle modalità e ai meccanismi attraverso i quali essa si espande sempre più capillarmente e trasversalmente.

A quasi ottanta anni dalla sua invenzione, possiamo affermare che l’elettroshock è l’unico trattamento, che prevede come cura una grave crisi organica dei soggetti indotta a tale scopo, mai dichiarato obsoleto.

Anzi, si è cercato di modernizzarlo, sin dai primi anni, infatti già nel 1943 il professor Delay mise a punto una nuova tecnica: l’elettroshock sotto narcosi, anche detta elettroshock terapia modificata.

L’elettroshock oggi viene chiamato TEC (terapia elettroconvulsiva) ma rimane la stessa tecnica inventata nel 1938 da Cerletti e Bini. Cambiare nome all’elettroshock ha aperto la via a due ordini di cambiamento: anzitutto si è assicurato il proseguimento del trattamento riducendo il dibattito alle linee guida per l’utilizzo, nei soli ambiti medici e politici; l’altro cambiamento è rappresentato dall’opinione diffusa che lo vede come pratica non più utilizzata, superata e obsoleta, allo stesso modo dei salassi per mezzo di sanguisughe. Invece si tratta sempre di far passare la corrente elettrica per la testa di un paziente, che passando attraverso il cervello, produce una convulsione generalizzata. Migliorandone le garanzie burocratiche, così come introducendo alcune modifiche nel trattamento, vedi anestesia totale e farmaci miorilassanti , non si cambia la sostanza della TEC.

Rimangono la brutalità, la sua totale mancanza di validità scientifica e l’assenza di un valore terapeutico comprovato. I meccanismi di azione della TEC non sono noti. Per la psichiatria «rimane irrisolto il problema di come la convulsione cerebrale provochi le modificazioni psichiche» e «non è chiaro quali e in che modo queste modificazioni (dei neurotrasmettitori e dei meccanismi recettoriali) siano correlate all’effetto terapeutico» (G. B. Cassano, Manuale di Psichiatria). Ma per chi subisce tale trattamento la perdita di memoria e i danni cerebrali sono ben evidenti e possono essere rilevati attraverso autopsie e variazioni elettroencefalografiche anche dopo dieci o venti anni dallo shock.

Relativamente all’attuale e globalizzato panorama d’impiego dell’elettroshock, poco trasparente e condiviso, continuiamo a porci domande come queste.

Perché questo trattamento medico – che per stessa ammissione di molti psichiatri che lo hanno applicato e che continuano ad applicarlo – utilizzato in passato come metodo di annichilimento dell’umano, come strumento di tortura, come mezzo repressivo contro la disobbedienza, non viene dichiarato superato dalla storia?

È sufficiente praticare un’anestesia totale per rendere più umana e dignitosa e legittima la sua applicazione?

Durante la sua applicazione pratica, si sta ancora immettendo corrente elettrica verso il cervello di un proprio simile oppure si effettua un intervento equiparato ad ogni altra operazione chirurgica peraltro senza usare bisturi?

Possono dei benefici temporanei, che per avere effetto devono comunque essere accompagnati dall’assunzione di psicofarmaci, essere un valido motivo per usare questo trattamento?

Si possono ignorare gli effetti negativi dell’elettroshock?

Ci teniamo a ribadire che nonostante le vesti moderne l’elettroshock rimane una terapia invasiva, una violenza, un attacco all’integrità psicologica e culturale di chi lo subisce. Insieme ad altre pratiche psichiatriche come il TSO, l’elettroshock è un esempio, se non l’icona, della coercizione e dell’arbitrio esercitato dalla psichiatria. Il  percorso di superamento dell’elettroshock e di tutte le pratiche non terapeutiche deve essere portato avanti e difeso in tutti i servizi psichiatrici, in tutti i luoghi e gli spazi di cultura e formazione dove il soggetto principale è una persona, che insieme ai suoi cari, soffre una fragilità.

Per chiunque voglia approfondire l’argomento, come collettivo abbiamo scritto il libro “ELETTROSHOCK. La storia delle terapie elettroconvulsive e i racconti di chi le ha vissute.” Edizioni Sensibili alle foglie 2014. Questo libro propone un viaggio nella storia delle shock terapie, che precedono e accompagnano l’applicazione della corrente elettrica al cervello degli esseri umani e delle testimonianze di persone in carne ed ossa, che sono state sottoposte all’elettroshock. Lo trovate sul nostro sito scaricabile gratuitamente www.artaudpisa.noblogs.org

COLLETTIVO ANTIPSICHIATRICO ANTONIN ARTAUD, Via San Lorenzo 38 Pisa, tel. 3357002669  antipsichiatriapisa@inventati.org  www.artaupisa.noblogs.org

PISA: giov 12/10 APERICNA MUSICALE BENEFIT spese legali del Collettivo Artaud

  • October 5, 2017 9:10 pm

GIOVEDI’ 12 OTTOBRE

Il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud e l’Osservatorio Antiproibizionista Canapisa Crew Presentano:

APERICENA MUSICALE

BENEFIT per le spese legali del Collettivo Artaud dalle ore 19 c/o Circolo Anarchico vicolo del Tidi 20 Pisa

FIRENZE: dom 24/09 presentazione di “CORRENTI di GUERRA” c/o Vetrina Libertaria

  • September 4, 2017 12:12 pm

FIRENZE DOMENICA 24 SETTEMBRE alle ore 18:20

All’interno della 8° edizione della Vetrina Anarchica e Libertaria c/o Teatro ObiHall via Fabrizio De Andrè angolo Lungarno Aldo Moro
presentazione di:

“CORRENTI di GUERRA. Psichiatria militare e faradizzazione durante la Prima guerra mondiale.”
cura di MARCO ROSSI autoprodotto dal Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud-Pisa
a seguire dibattito con l’autore, il collettivo e Chiara Gazzola

per info e programma completo della Vetrina:
https://www.autistici.org/ateneolibertariofiorentino/vetrina.htm

PIACENZA ven 23/06 presentazione del Telefono Viola e di “ELETTROSHOCK” c/o cooperativa Infrangibile

  • June 16, 2017 9:16 pm

PIACENZA VENERDI’ 23 GIUGNO
c/o COOPERATIVA INFRANGIBILE – via Alessandria 16 –

ore 20 BUFFET VEGAN di AUTOFINANZIAMENTO

ore 21 BREVE PRESENTAZIONE TELEFONO VIOLA e a seguire PRESENTAZIONE del libro “ELETTROSHOCK. La storia delle terapie elettroconvulsive e i racconti di chi le ha vissute”. a cura del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud. Edizioni Sensibili alle Foglie.

sarà presente il COLLETIVO ANTIPSICHIATRICO ANTONIN ARTAUD- Pisa

organizza il TELEFONO VIOLA – Piacenza
linea d’ascolto contro gli abusi della psichiatria e per liberarsi dalla morsa psichiatrica

www.telefonoviolapiacenza.blogspot.it / www.telefonoviola.org

Articolo/Recensione “SCEMI di GUERRA” di Chiara Gazzola su Arivista di giugno 2017

  • June 16, 2017 9:27 am

SCEMI DI GUERRA

 Il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud di Pisa, dopo una preziosa pubblicazione edita da “Sensibili alle foglie” sulla storia dell’elettroshock – ora riammesso a pieno titolo nei protocolli medici sotto le mentite spoglie di TEC (terapia elettroconvulsivante) –, con questo opuscolo autoprodotto aggiunge un altro tassello sulle implicazioni di questo metodo di tortura. Il contesto analizzato è quello bellico, con uno sguardo particolareggiato alla I guerra mondiale. La ricerca è firmata da Marco Rossi che ribadisce “la complice amicizia con il Collettivo pisano e il gruppo Kronstadt di Volterra”: quest’ultima città ospitò infatti, qualche mese fa, un dibattito pubblico su questo tema. L’opuscolo, sintetico quanto estremamente documentato, ha per titolo Correnti di guerra – Psichiatria militare e faradizzazione durante la Prima guerra mondiale. Le tecniche utilizzate per la faradizzazione servirono ad affinare gli strumenti, ideati più tardi, per la TEC: la dolorosa scarica elettrica veniva applicata in varie parti del corpo, scroto compreso: “già sperimentata a scopo medico nel Settecento, durante il Primo Conflitto divenne quindi una pratica – anche se poco conosciuta – asservita alla logica militare e anticipò quanto sarebbe avvenuto, sistematicamente, durante la Seconda guerra mondiale” specifica l’autore, oltre a spiegare efficacemente le motivazioni che soggiaciono al connubio fra l’apparato psichiatrico e quello militare. Nel 1915, 170 psichiatri di comprovata esperienza manicomiale furono inseriti nell’organico militare, sotto la guida di A. Tamburini presidente della Società italiana di freniatria ed ex direttore del S. Lazzaro di Reggio Emilia, uno fra i più grandi ed efficienti manicomi europei. É risaputo quanto questa guerra sia stata particolarmente cruenta; le conseguenze in termini di povertà, morte, invalidità, traumi fisiologici e psicologici fecero maturare – nell’esercito e nella società – forme di riluttanza all’asservimento delle politiche statali: evidentemente gli apparati di potere le giudicarono eccessive, sorse così l’esigenza strategica di un rimedio pertinente agli obiettivi bellici. I reparti manicomiali dedicati ai disertori (molto noto quello del S. Maria di Pietà di Roma) furono giudicati insufficienti; l’istituzione militare preferì occuparsi direttamente degli “scemi di guerra”, potendo così garantire agli ufficiali un trattamento privilegiato. Si mise in atto una vera e propria “profilassi morale per bonificare le truppe dagli elementi inaffidabili, secondo una morale più patriottica che deontologica”; ciò significa che “l’obiettivo primario divenne quello di recuperare i soggetti critici per il fronte, come carne da cannone, nonché scoprire e deferire i frodatori alla giustizia militare” ben sottolinea M. Rossi a pag. 12 e 13.

La guerra non avrebbe mai dovuto essere percepita come causa di sofferenza psicologica o di insofferenza sociale: ecco perché l’ideologia dominante trovò negli assunti positivisti il miglior alleato. Cesare Lombroso dedicò studi e attività professionale alla determinazione di presunte tare ereditarie e congenite – rese palesi ad esempio dalla morfologia del cranio – di soggetti potenzialmente criminali poiché dimostravano forme di asocialità. Questi insegnamenti fornirono l’eccellente opportunità per poter affermare che soltanto la degenerazione mentale e morbosa potesse indurre al rifiuto del servizio patriottico. Si enumerarono sintomatologie e diagnosi fantasiose fra le quali ricorrono la debolezza nervosa, la predisposizione organica, l’immoralità costituzionale, la gracilità intellettuale, l’ectopia testicolare, la simulazione, la scarsa volontà o il rifiuto al sacrificio, ma anche infermità mentali rese manifeste dalla pederastia o dalle scelte libertarie e antimilitariste tradotte nei termini di pazzia ragionante. Allo scopo di ostacolare queste aberrazioni, si individuò nella somministrazione di scosse elettriche il metodo principe di persuasione e punizione: scoprire i bugiardi, ma soprattutto ricollocare nelle trincee un’abbondante carne da macello indispensabile alla guerra.

I militari italiani sottoposti a trattamenti psichiatrici furono circa 40000, “secondo le cifre ufficiali ma probabilmente sottostimate”, afferma l’autore che poi aggiunge: “resta invece da accertare il numero, non meno rilevante, delle donne internate in manicomio a causa di disturbi psichici determinati, più o meno direttamente, dal contesto bellico”. Nonostante vi siano documenti che riconducano alle condizioni di vita in trincea la causa di malesseri psichici, la propaganda ideologica scelse di ribadire il concetto non dipendente da cause di guerra: fecero eccezione soltanto i traumi cerebrali provocati direttamente dalle esplosioni. Anche in questo caso le diagnosi psichiatriche si avvalsero di un ribaltamento fra causa ed effetto nel tentativo, ancor oggi non dimostrato, di individuare la causa organica delle cosiddette malattie mentali. Il determinismo scientifico di derivazione lombrosiana, dalla guerra in Vietnam a oggi, certifica con la diagnosi di PTSD (Post Traumatic Stress Disturb) molte delle sofferenze dovute agli scenari bellici o alle calamità naturali, così da poter curare testimoni e vittime sottoponendole a TEC o a sedazione chimica.

In perfetta continuità con l’analisi storica di M. Rossi, completata dal confronto delle tecniche di faradizzazione utilizzate in altri Paesi europei e da dati territoriali specifici come quelli individuati presso il frenocomio di San Girolamo di Volterra, risulta evidente quanto la maggior parte delle diagnosi psichiatriche – soprattutto quelle inserite nel DSM, il manuale delle malattie mentali redatto negli USA – svelino la corruzione del linguaggio scientifico, ogni volta che offre la propria complicità alla pianificazione del controllo sociale.

Chiara Gazzola

 

Recensione di Chiara Gazzola dell’opuscolo “Correnti di Guerra” su Sicilia Libertaria di giugno 2017

  • June 12, 2017 2:45 pm

La psichiatria nasce con l’intento di dare una veste scientifica al controllo di tutti i comportamenti giudicati forme di criticità, in quanto potrebbero minare la quiete sociale pianificata da ogni potere politico-economico. Avviene così, ancor oggi in maniera sistematica soprattutto per le diagnosi inserite nei DSM (i manuali delle malattie mentali redatti negli USA), che le condotte anomale vengano tradotte nei termini di patologie mediche, in assenza di test oggettivi che le comprovino. Uno degli esempi più eclatanti riguarda l’omosessualità: fin dal positivismo, al giudizio morale negativo si aggiunse la condanna scientifica ideata dall’antropologia criminale, che poi divenne una vera e propria patologia psichiatrica descritta nel secondo DSM (1968); quando nel 1980 fu pubblicato il DSM III, miracolosamente sparì: non era più una malattia mentale, ma una devianza sociale o che altro? La maggior parte delle diagnosi ha avuto il medesimo percorso poiché risponde ad esigenze dettate dal sistema socio-economico che si avvale della permeabilità del determinismo nel dare spiegazioni approssimative alle sofferenze psicologiche, confondendole ai deficit neurologici. La psichiatria rimane estremamente coerente a se stessa nel prestare il fianco agli obiettivi di altri apparati di potere. Questo taglio analitico trova conferma in molte ricerche storiche: oggi abbiamo a disposizione un prezioso studio che colma una lacuna sul connubio fra questa specializzazione medica e l’apparato militare. Trattasi di un opuscolo autoprodotto dal Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud di Pisa (che per “Sensibili alle foglie” aveva già curato: Elettroshock – La storia delle terapie elettroconvulsive e i racconti di chi le ha vissute, 2014) firmato da Marco Rossi dal titolo Correnti di guerra – Psichiatria militare e faradizzazione durante la Prima guerra mondiale, 2017, pp. 40. La pubblicazione è stata preceduta da un dibattito pubblico tenutosi a Volterra qualche mese fa; l’autore infatti ribadisce: “Una ricerca non appartiene mai soltanto a chi la firma: questa non fa eccezione. Infatti, è nata dalla complice amicizia con il Collettivo Artaud e il gruppo Kronstadt di Volterra”. I trattamenti psichiatrici sono spesso ideati per curare specifiche anomalie comportamentali descritte utilizzando un’ambiguità terminologica che, volutamente, crea una sovrapposizione fra sintomi e presunte malattie, in altre parole: fra causa ed effetto. Il contesto analizzato da M. Rossi – la cruenta guerra 1915-’18 – fra le sue conseguenze devastanti, registra casi esasperati di sofferenza psichica che produssero l’allontanamento di numerosi militari dagli scenari bellici affinché fossero rinchiusi nei manicomi, in particolare nei reparti dedicati ai disertori come quello del S. Maria di Pietà di Roma. In alcuni documenti dell’epoca si ribadisce che le condizioni di vita in trincea possano causare forme di nevrosi, ma nei referti medici la fedeltà agli intenti ideologici e patriottici risulta evidente dalla ripetizione del concetto: non dipendente da cause di guerra. Ogni tragedia lacera profondamente l’emotività, modifica sostanzialmente la percezione dell’esistenza: la retorica del patriottismo perse concretezza al confronto diretto con l’esperienza del terrore, quella paura intima vinse il mito del sacrificio eroico. “L’incontro tra le due istituzioni totali – l’esercito e il manicomio – aveva avuto un precedente significativo ai tempi della guerra in Libia (1911-1912), quando molti soldati avevano perso il senno nelle sabbie desertiche” (…) “La militarizzazione della psichiatria nazionale divenne quindi un fatto compiuto con l’entrata in guerra dell’Italia nel maggio 1915” spiega l’autore. Fu così che, a distanza di pochi mesi, 170 psichiatri furono inseriti a pieno titolo nell’organico militare sotto la guida di A. Tamburini, presidente della Società Freniatrica ed ex direttore di uno fra i più efficienti e storici manicomi europei, il San Lazzaro di Reggio Emilia. Fu così che si inaugurarono i neurocomi militari nei quali si poté assicurare ai graduati un trattamento privilegiato; i soldati ricoverati furono circa 40000 “secondo le cifre ufficiali ma probabilmente sottostimate” sottolinea l’autore che poi aggiunge: “resta invece da accertare il numero, non meno rilevante, delle donne internate in manicomio a causa di disturbi psichici determinati, più o meno direttamente, dal contesto bellico”. L’opuscolo è breve, ma dettagliato e ben documentato. La faradizzazione è l’utilizzo di corrente elettrica applicata su varie parti del corpo, scroto compreso, ai renitenti al dovere del servizio militare che manifestassero forme di psicosi, fossero essi simulatori, pederasti, moralmente deboli, degenerati, imbecilli gravi, predisposti costituzionalmente alle reazioni criminose, disertori e via dicendo fino ad evidenziare nella pazzia ragionante, di lombrosiana memoria, la diagnosi più pertinente da affibbiare agli antimilitaristi socialisti e anarchici. Si attuò un vero e proprio programma di profilassi morale per scoprire e punire i frodatori, con l’evidente obiettivo di rinviarli al più presto al fronte affinché fossero ricollocati negli avanposti più rischiosi del combattimento in corso. L’ideologia positivista, che sottende ai metodi intimidatori della faradizzazione (anticiparono quanto avvenne nei conflitti armati successivi con l’impiego sistematico dell’elettroshock), si evince da numerosi documenti e da locuzioni come: “il mancato adattamento alla società militare era segno di incompletezza biologica”; “gli uomini incapaci di uccidere erano un gruppo aberrante”; o “l’incorreggibile, l’indisciplinato, il debole o chi è privo di senso morale non può considerarsi normale” come scrisse lo psichiatra G. Antonini in La questione della epurazione dall’esercito dei criminali. La ricerca di Marco Rossi è completata dal confronto dell’utilizzo delle elettroterapie in altri Paesi europei e da dati particolareggiati su alcune aree territoriali, ad esempio il frenocomio San Girolamo di Volterra. Nell’opuscolo, inoltre, viene sottolineato come tutte le sofferenze psicologiche dovute ai traumi causati dai contesti bellici, ricondotte però dagli apparati di potere a forme di debolezza congenita o infermità mentale, diagnosticate a militari e civili (questo termine generico in tempo di guerra include soprattutto le donne) abbiano ispirato i redattori del DSM III quando decisero di classificare, con un lessico medico più aggiornato, i malesseri manifestati dai reduci della guerra in Vietnam: nacque così il Post Traumatic Stress Disorder che, grazie a dettagliate sotto-classificazioni, è il pretesto sempre più utilizzato per contenere chimicamente testimoni e vittime di ogni conflitto armato, nonché migranti che transitano nei cosiddetti luoghi di accoglienza istituzionali. Anche in questo caso il ribaltamento causa-effetto, sul quale la psichiatria ha sempre basato i propri protocolli, evidenzia il disagio sull’individuo, evitando di mettere in discussione tutte le forme di ingiustizia sociale, vera causa di ogni discriminazione e sofferenza. L’approccio psichiatrico, anche quando sembra poco invasivo, non si occupa del vissuto emozionale e fenomenologico delle persone che, al contrario, sono considerate casi clinici. Basaglia ha scritto che un individuo da folle diventa razionale quando lo si definisce malato: è la cultura manicomiale, sempre viva nonostante si nasconda dietro un lessico rinnovato, a rendere razionale il paziente psichiatrico e non perché viene guarito, ma perché viene rinchiuso e curato. Le forme di questa coercizione riemergono ogni volta che si toglie dignità ad una persona e si rinchiudono i suoi dubbi, le sue emozioni, il suo corpo e le sue possibilità di scelta. La ricerca di Marco Rossi è un tassello prezioso che dimostra – pur nel contesto specifico analizzato – il ruolo e l’intento di una disciplina medica sempre disposta ad incrementare il proprio profitto in alleanza agli altri apparati del potere.

 

Chiara Gazzola

EMPOLI sab 17/06 presentazione opuscolo “CORRENTI di GUERRA” c/o casa del popolo delle Cascine

  • June 6, 2017 5:05 pm

EMPOLI SABATO 17 GIUGNO c/o Casa del popolo delle Cascine (via Meucci, 67 – vicino alla stazione fs)

CONTRO TUTTI GLI ESERCITI E TUTTE LE GUERRE

Alle ore 17 Presentazione di :”CORRENTI di GUERRA. Psichiatria militare e faradizzazione durante la Prima guerra mondiale.  

A cura di Marco Rossi, autoprodotto dal Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud di Pisa

Partecipano l’Autore , il Collettivo antipsichiatrico Artaud e Ettore Pippi, per gli anarchici empolesi.

Organizzano il Centro Studi Libertari  Pietro Gori e la Federazione Anarchica Empolese

Per info: artaudpisa.noblogs.org/ antipsichiatriapisa@inventati.org

 

SOLIDARIETA’ alle COMPAGNE di Mala Servanen Jin !!

  • May 28, 2017 7:23 pm

SOLIDARIETA’ ALLE COMPAGNE DI Mala Servanen Jin!

Come collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud esprimiamo la massima solidarieta’ alle compagne della Mala Servanen Jin di Pisa, colpite dalla vigliacca violenza poliziesca che lo scorso 24 maggio ha sgomberato la Casa delle donne che combattono, nata l’8 marzo durante il partecipatissimo corteo organizzato da Non una di meno.
Donne coraggiose che hanno deciso di organizzarsi e combattere difendendo uno spazio da esse liberato e portato a nuova vita, uno spazio che versava in stato di abbandono e degrado ma che grazie al loro impegno era divenuto un centro per le donne che vogliono aggregarsi, informarsi, fare cultura e organizzarsi in lotte importanti come quella contro l’emergenza abitativa.
Giú le mani delle nostre menti, dai nostri corpi e dai nostri spazi!

Il collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud

ROVERETO 26/05 presentazione di ELETTROSHOCK c/o Circolo Culturale Cabana

  • May 21, 2017 10:54 am

ROVERETO (TN) VENERDI’ 26 MAGGIO 2017

c/o Circolo Culturale Cabana – Via Campagnole, 22 ore 21 presentazione di:

“ELETTROSHOCK”  La storia delle terapie elettroconvulsive e i racconti di chi le ha vissute.

a cura del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud.

Edizioni Sensibili Alle Foglie.

per info:

antipsichiatriapisa@inventati.org / www.artaudpisa.noblogs.org