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PISA: MARTEDì 14 MAGGIO PRESIDIO di SOLIEDARIETA’ c/o tribunale di Pisa VERITA’ SUGLI ABUSI ALLA STELLA MARIS!
VERITA’ SUGLI ABUSI ALLA STELLA MARIS, SOLIDARIETA’ ALLE VITTIME DEI MALTRATTAMENTI !
Il 14 maggio 2024 alle ore 11 saremo ancora una volta davanti al Tribunale di Pisa dove si terrà una nuova udienza per i maltrattamenti avvenuti nella struttura di Montalto di Fauglia destinata ad ospitare persone autistiche, gestita dalla Fondazione STELLA MARIS. In questa ulteriore udienza dovrebbero venire ascoltati i testimoni della difesa.
Nell’estate del 2016, in seguito alla denuncia dei genitori di un giovane ospite, la struttura è stata posta sotto controllo con l’installazione di microcamere e, dopo tre mesi di intercettazioni, la Procura di Pisa, dopo aver accumulato prove evidenti, ha configurato l’ipotesi di reato per maltrattamenti. Tra gli ospiti della residenza, ricordiamo Mattia, morto successivamente nel 2018 per soffocamento, in seguito al blocco della glottide dovuto molto probabilmente al prolungato e eccessivo uso di psicofarmaci. I continui cambi di terapia avevano comportato disfunzionalità e rischi al momento dei pasti di cui la famiglia afferma di non essere mai stata informata. Per questa vicenda è in corso un altro procedimento penale, il processo in primo grado si è chiuso con nessuna responsabilità da parte dei medici e della struttura.
Il processo per maltrattamenti sta andando avanti da più di 6 anni con estrema lentezza: le udienze sono troppo diradate se si considera l’elevatissimo numero di persone invitate a testimoniare. Si tratta, infatti, del più grande processo sulla disabilità in Italia. Nel periodo della pandemia (caso unico nella storia della giustizia pisana) è stato ospitato nel Palazzo dei Congressi di Pisa.
Al momento gli imputati sono 15, tra essi le due dottoresse che gestivano la struttura e il Direttore Sanitario della Stella Maris. Due imputati sono usciti di scena: un operatore che ha patteggiato la pena e il Direttore generale Roberto Cutajar che, avendo scelto il rito abbreviato, è stato dapprima condannato a 2 anni e 8 mesi di reclusione, poi è stato assolto nel processo d’appello.
I genitori e i tutori e altri testimoni già ascoltati hanno riportato le violenze subite dai ragazzi di Montalto e documentate dalle videoregistrazioni che testimoniano più di 280 episodi di violenza in meno di quattro mesi, una violenza – quindi – non episodica ma strutturale. Durante l’ultima udienza una delle dottoresse ha dichiarato che a Montalto di Fauglia venivano usati, in caso di crisi degli ospiti, i cosiddetti “tappeti contenitivi”. Il tappeto contenitivo funziona in un modo semplice: il paziente viene immobilizzato, contenuto e arrotolato nel tappeto.
Come ha scritto nella sua relazione il consulente tecnico, professor Alfredo Verde, chiamato a relazionare sui fatti avvenuti: « Leggendo gli atti del presente procedimento abbiamo rinvenuto sicuramente la menzione di una lunga tradizione di abuso e violenza da parte degli operatori, radicata negli anni, e in parte tollerata, in parte ignorata della direzione delle strutture”. Ed ancora: “In queste situazioni si sviluppano degenerazioni in cui la violenza e la sopraffazione divengono gli strumenti usati ogni giorno, e l’istituzione perde le sue caratteristiche terapeutiche per divenire un luogo meramente coercitivo e afflittivo. Il comportamento degli operatori è apparso tipico delle istituzioni totali » . Per questi motivi, e per ricordare tutte le vittime degli abusi psichiatrici che ancora oggi vengono perpetrati ai danni di persone private della libertà personale e non in grado di difendersi da sole, riteniamo doveroso seguire con attenzione le vicende di questo processo nell’interesse di tutte/i. Invitiamo a partecipare al PRESIDIO in SOLIDARIETA’ alle VITTIME dei MALTRATTAMENTI MARTEDI’ 14 MAGGIO ORE 11 presso il Tribunale di Pisa in Piazza della Repubblica
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
per info: Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud via San Lorenzo 38, 56100 Pisa antipsichiatriapisa@inventati.org www.artaudpisa.noblogs.org 3357002669
VIDEO REGISTRAZIONE INCONTRO ONLINE con SAMAH JABR a Cesena c/o Spazio Libertario Sole e Baleno
A questo link potete trovare il video dell’incontro online che, come collettivo Artaud, abbiamo fatto con Samah Jabr dalla Palestina venerdì 19 aprile 2024 presso lo spazio libertario Sole e Baleno di Cesena. Samah Jabr dal 2016 è coordinatrice dei Dipartimenti di Salute mentale palestinesi di Gaza e Cisgiordania presso il Ministero della sanità palestinese. Samah Jabr è anche autrice di due libri: “Sumud – Resistere all’oppressione” e di “Dietro i fronti – Cronache di una psicoterapeuta palestinese”, editi in italiano da Sensibili alle foglie.
SOLIDARIETÀ ANTIPSI/ANTI-INPS
Riceviamo e pubblichiamo:
SOLIDARIETÀ ANTIPSI/ANTI-INPS
Scriviamo questo testo per rompere il silenzio su quanto sta accadendo ad un compagno, per portargli la nostra solidarietà e complicità, e per condividere la sua storia, consapevoli che come la sua ce ne sono molte altre.
Un compagno che percepisce una pensione di invalidità sta subendo la ritorsione di vedersela quasi totalmente sottratta perché l’INPS, a seguito della verifica dei requisiti – a posteriori – per il reddito di cittadinanza percepito tra il 2021 e il 2022, ritiene non ne avesse diritto.
Si parla di una cifra complessiva di 7000 euro.
Per riavere i soldi indietro l’INPS intende però, da maggio, decurtargli quasi il 90% dell’invalidità, rischiando così di compromettere un intero percorso di emancipazione.
Inutile dire quanto questo metterebbe seriamente in difficoltà la quotidianità del compagno, che da anni non solo lotta per la sua autodeterminazione, ma contro un paradigma medico-psichiatrico in cui senza una rete sociale o un welfare familiare, non si ha nessuna reale scelta.
Non possiamo accettare che per riavere il reddito di cittadinanza lo Stato sottragga ad una persona tutta l’invalidità prelevandogli quel poco che le permetteva a malapena di fare fronte alle necessità primarie.
Durante la pandemia le difficoltà sono state tante, e così il compagno, come tante persone, ha fatto domanda per il reddito di cittadinanza, on-line. Ma le insidie della digitalizzazione sono infinite, basta una crocetta o una dichiarazione scorretta, che l’onere è tuo.
Per qualche tempo il compagno ha potuto sperimentare una vita più indipendente e autonoma, dalla famiglia, dai servizi. La verifica retroattiva a posteriori irrompe nella sua vita con quella violenza secca che solo la burocrazia statale è in grado di esprimere ed esercitare.
A questo mondo chi non ce la fa a stare al passo della cultura capitalista e lavorista ultra competitiva dominante è spronato ad adeguarsi con il bastone o con la carota alle misure assistenziali, obbligato a dimostrare il proprio status di ‘persona bisognosa’ tra servizi e procedure spesso mortificanti e impersonali, in cui barcamenarsi non è affatto scontato. Servizi spesso lontani anche dalla condizione sociale delle persone ‘utenti’, che giustamente tendono a volersene sbarazzare con il rischio però di non vedersi più riconosciuta alcuna forma di diritto a condizioni di inserimento lavorativo o di lavoro ‘protetto’ nè alcun tipo di tutela.
Al momento, per quanto il debito non si possa cancellare, il compagno sta tentando ogni via possibile per fare in modo che l’invalidità non sia colpita in modo così importante, tra colloqui con figure e operatori del sistema sanitario, affinchè un’ingiustizia del genere non passi inosservata, e sportelli sociali non istituzionali che offrono anche servizi di patronato, per la possibilità di avviare anche un ricorso.
Consapevoli che non ci vanno a genio nè i servizi istituzionali paternalisti nè l’impatto che il progressivo abbandono delle misure di welfare e di sostegno ha su chi vive sulla propria pelle stigma e discriminazioni, condividiamo quanto sta accadendo al compagnx perchè pensiamo ci riguardi tuttx e chiamiamo alla solidarietà.
strappi@canaglie.org
https://antipsi.noblogs.org/post/2024/04/22/solidarieta-antipsi-anti-inps/
RESOCONTO COLLETTIVO del VIAGGIO di SAMAH JABR in Italia
“Noi, palestinesi, assomigliamo a dei papaveri rossi, dalla vita breve e fragile. La comunità internazionale non è impressionata dalla nostra bellezza e trascura di tutelarci. Al contrario, ci dice spesso che la nostra aspirazione alla liberazione è assurda e non può fiorire. Ciò nonostante, noi abbiamo fiducia nella nostra capacità collettiva di abbellire il versante brullo della montagna e di ispirare una primavera rivoluzionaria agli oppressi della terra”. (Samah Jabr)
Sabato 13 aprile Samah Jabr è tornata a Gerusalemme dopo quattro giornate di incontri che definiamo semplicemente eccezionali.
La solidarietà nei confronti del popolo Palestinese si basa prima di tutto su una valutazione razionale, storica e politica
dell’importanza della sua lotta nella comune battaglia contro l’imperialismo, il colonialismo e il suprematismo,
che muovono l’occupazione e l’oppressione sionista.
Ma la stessa solidarietà vive e cammina sulle gambe di una componente di fortissima empatia per la sofferenza
e il dolore che il genocidio del popolo Palestinese sta subendo giorno dopo giorno.
Queste quattro iniziative dal 9 al 12 aprile – Milano, Piacenza, Pisa e Firenze – sono riuscite, grazie all'enorme rigore,
semplicità, trasparenza e spessore di Samah, a cogliere entrambe le componenti della solidarietà e a ricomporle e declinarle
in un unico ragionamento semplice e accessibile per ogni partecipante agli incontri.
Crediamo che gli interventi di Samah siano state semplici e profondi insieme, e siano stati fondamentali
per dare risposta alla voglia di conoscenza di ogni partecipante, sia che fossero attiviste/i di organizzazioni umanitarie,
militanti internazionalisti, neo-simpatizzanti per la causa palestinese spinte/i all'attivismo dal genocidio in corso,
giovani studentesse/i, psicologhe/gi, psicoterapeute, educatrici e educatori,
o anche curiosi o curiose mosse/i dalla voglia di capirne di più.
Crediamo anche quasi impossibile attribuire categorie a tutte quelle persone che hanno dato vita e partecipato
alle quattro iniziative e si sono emozionate/i o hanno rafforzato la loro scelta di solidarietà al popolo Palestinese.
Una sintesi dei quattro incontri è certamente impossibile ma certamente c'è stato un approfondimento
sotto tutti i punti di vista della Resistenza sociale e politica dei Palestinesi attraverso il significato
del termine “Sumud” una sorta di "resistenza attiva", di resilienza,
che invitiamo ad approfondire leggendo i testi di Samah Jabr*.
Una denuncia del colonialismo come elemento sempre sotto traccia nella narrazione filo-sionista,
ma fondamentale per la comprensione dell’occupazione, il ruolo delle donne nei processi di resistenza,
la vita spezzata delle bambine e bambini palestinesi;
Samah Jabr ha raccontato il suo lavoro quotidiano con pazienti di tutte le età,
oppressi da decenni di sopraffazioni, torture, restrizioni, angherie di ogni genere.
Ha raccontato come il concetto di salute, fisica e mentale, non dipenda in Palestina
dall’applicazione di rigidi protocolli psichiatrici, bensì dalla capacità di saper opporre
una sana azione di resistenza fisica e psichica, individuale e collettiva.
Quattro iniziative eccezionali che speriamo poter riproporre con la presenza di Samah.
*Video iniziativa a Milano* https://youtu.be/AgZNZKmBxOI
*Video iniziativa a Piacenza* https://www.facebook.com/amnestypiacenza/videos/1218250102474879/?extid=CL-UNK-UNK-UNK-AN_GK0T-GK1C
*Video iniziativa a Pisa* https://www.youtube.com/watch?v=HhBQ-HoQ8Cc
*Registrazione iniziativa a Firenze* https://drive.proton.me/urls/V6JJYQ93AR#9IH1jp0t116A
Milano: CSA Vittoria – Salaam, Ragazzi dell’Olivo onlus
Piacenza: Salaam, Ragazzi dell’Olivo Piacenza – Amnesty International Piacenza – Donne in Nero di Piacenza
Pisa: Studentə per la Palestina di Pisa e Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
Firenze: CPA Firenze Sud
* libri di Samah Jabr tradotti in italiano: Dietro i fronti, Sensibili alle foglie, 2019 Sumud, Sensibili alle foglie, 2021
VIDEO REGISTRAZIONE dell’ incontro con SAMAH JABR “DIETRO I FRONTI Quali sono le conseguenze psicologiche dell’occupazione israeliana in Palestina?” del 11/04/24
https://www.youtube.com/watch?v=HhBQ-HoQ8Cc
A questo link potete trovare la video registrazione dell’incontro con Samah Jabr “DIETRO I FRONTI Quali sono le conseguenze psicologiche dell’occupazione israeliana in Palestina?” che abbiamo organizzato come collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud e Studentə per la Palestina giovedì 11 aprile 2024 presso il Polo Carmignani dell’università di Pisa.
per info e contatti:
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38, 56100 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org 3357002669
https://www.youtube.com/@CollettivoArtaud
COMUNICATO sull’incontro di ieri, giovedì 11 aprile, con Samah Jabr all’ università di Pisa
La sala del Polo Carmignani presso l’Università di Pisa,180 posti a sedere, completamente riempita , tantissime persone in piedi.
È stata questa l’accoglienza di ieri, giovedì 11 aprile, riservata alla professoressa Samah Jabr, scrittrice, psicoterapeuta e psichiatra palestinese, nonché dal 2016 coordinatrice dei Dipartimenti di Salute mentale palestinesi di Gaza e Cisgiordania presso il Ministero della sanità palestinese. Samah Jabr ha raccontato il suo lavoro quotidiano con pazienti di tutte le età, oppressi da decenni di sopraffazioni, di torture, di restrizioni, di angherie di tutti i tipi. Ha raccontato di come il concetto di salute, fisica e mentale non dipenda in Palestina dall’applicazione di rigidi protocolli psichiatrici, ma dalla capacità di saper opporre una sana azione di resistenza fisica e psichica, individuale e collettiva.
Sono state due ore intense di scambio con un pubblico attentissimo, studenti e studentesse universitarie accanto a persone di tutte le età. L’incontro, convocato da “Studentə per la Palestina-Pisa” e dal “Collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud”, si è sciolto con l’appello a continuare la mobilitazione, a cominciare dalla Marcia per la Palestina prevista per sabato 13 aprile in Piazza Vittorio Emanuele a Pisa a partire dalle ore 15.
Studentə per la Palestina – Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
COME SE FOSSE UNA COSA NORMALE: articolo sull’ultima udienza del processo per i maltrattamenti alla Stella Maris
COME SE FOSSE UNA COSA NORMALE
In attesa della prossima udienza in programma il prossimo 14 maggio, abbiamo fatto alcune riflessioni sull’andamento del processo che seguiamo da circa un anno. Abbiamo impiegato un po’ di tempo per rimettere a posto le idee, dopo aver assistito all’ennesima udienza (per intenderci, quella dello scorso martedì 12 marzo) del processo sui maltrattamenti ai ragazzi con disabilità ospiti della struttura di Montalto di Fauglia (Pisa) della Stella Maris. Terminato l’interrogatorio di operatori e operatrici è stato il turno delle dottoresse, Paola Salvadori (ascoltata nel corso della precedente udienza) e Patrizia Masoni.
Proprio le parole di Masoni sono quelle che ci hanno fatto più riflettere. Per il loro contenuto, certo. Ma, forse, ancora di più, per la pretesa di neutralità, di naturalità con cui sono state pronunciate.
Ha dichiarato la dottoressa Masoni, psichiatra e responsabile dell’IRM (l’Istituto di riabilitazione, l’altra struttura dipendente dalla Stella Maris, accanto alla struttura residenziale), che a Montalto di Fauglia venivano usati, in caso di crisi degli ospiti, i cosiddetti “tappeti contenitivi”. Come se fosse una cosa normale, appunto, la dottoressa ha ribadito e meglio specificato uno dei punti più oscuri emerso già anche dalle testimonianze di altri operatori. Quando qualcuno degli ospiti diventava particolarmente irascibile e ingestibile veniva giocata la carta del tappeto contenitivo.
Nella triste logica della contenzione, che ha giustificato e giustifica tuttora metodi, violenti e irrispettosi della dignità umana, di inibizione, di immobilizzazione, di privazione anche assai prolungata dell’uso del corpo (corde, camicie di forza, cinghie, cinture, stanze chiuse a chiave, contenzione farmacologica), la vicenda maltrattamenti alla Stella Maris riesce a conquistarsi un posto di tutto rispetto.
Il tappeto contenitivo funziona in un modo semplice e in un certo senso prevedibile: il paziente viene immobilizzato e arrotolato nel tappeto.
Al presidio di Fauglia, ci ricorda la dottoressa, l’idea del tappeto contenitivo comincia a prendere piede dopo che un non meglio identificato dottore americano ne aveva consigliato l’uso nel corso di un convegno di studi, esaltandone gli innegabili effetti pratici e il fatto che «questo tipo di pazienti non gradisce il contatto fisico» (sempre secondo le parole della dottoressa, qui citate letteralmente). L’altra tutt’altro che condivisibile motivazione a favore del tappeto contenitivo indicata dal medico americano era che il tappeto avrebbe consentito di avere meno problemi con le famiglie in caso di crisi dei pazienti. Ha affermato testualmente la dottoressa Masoni: «il medico ci aveva detto: ma voi in Italia non avete problemi con le assicurazioni quando i vostri pazienti si fanno male o tornano a casa con i lividi? Da noi il tappeto evita molte di queste problematiche…». E così, negli anni 2008-2009, ascoltando le parole di questo medico e presumibilmente senza accertarsi della loro veridicità e dell’effettiva possibilità di praticare una simile contenzione in Italia, anche le dottoresse della Stella Maris avrebbero cominciato a utilizzarlo nella struttura, anche se solamente nel 2014 la Regione Toscana lo avrebbe inserito tra gli strumenti contenitivi accreditati. Questo sempre secondo le parole della dottoressa Masoni: ma, al momento, a noi non risulta che questo metodo sia stato mai accreditato da nessuno, tanto meno dalla Regione Toscana. Tra l’altro gli accreditamenti dovrebbero, in ogni caso, passare dalle Unità sanitarie locali.
Nel frattempo, nella struttura si faceva di necessità virtù. All’inizio operatori e operatrici – secondo il racconto della dottoressa – si arrangiavano con quel che c’era: portavano i tappeti da casa! Solamente dopo qualche tempo sarebbe stato possibile un investimento ulteriore: la dottoressa ha raccontato che, accompagnata da altre operatrici, si sarebbe recata di persona all’Ikea a fare una scorta di tappeti a basso prezzo, come lei ha affermato. E stiamo parlando di un istituto – la Stella Maris – che ogni anno riceve dalla Regione Toscana milioni di euro.
Un’ulteriore questione riguarda il numero delle persone che avrebbero dovuto utilizzare questo tappeto contenitivo formato Ikea. Nelle testimonianze presentate al processo prima del 12 marzo alcuni operatori e la stessa dottoressa Salvadori (direttrice della Residenza Sanitaria per Disabili a Montalto dove sono avvenuti i maltrattamenti) avevano parlato della necessità di cinque persone per poterlo utilizzare: uno per arto più uno per la testa. E proprio questa disposizione avrebbe molte volte impedito l’utilizzo del tappeto a causa della carenza del personale. Il racconto della dottoressa Masoni continua, invece, con altri particolari che descrivono una realtà (se possibile) ancora peggiore, completando un quadro allucinante. La dottoressa ha, infatti, sostenuto che in realtà un solo operatore sarebbe bastato per l’utilizzo del tappeto, e proprio per facilitare un intervento di questo tipo avevano pensato di aggiungere al tappeto delle “maniglie”, in modo da prendere come con una rete da pesca la persona recalcitrante per procedere successivamente alla procedura dell’arrotolamento. Dulcis in fundo: in mancanza del personale previsto per svolgere la manovra di contenimento tramite tappeto più volte gli addetti avrebbero impedito un possibile “srotolamento” del malcapitato apponendo una sedia come “fermo” sopra il tappeto arrotolato su cui poi, per completare l’opera, si sarebbero posti a sedere. Cosa che è stata raccontata da altri operatori nel corso del processo.
Dal nostro punto di vista, tutto ciò è veramente troppo. Abbiamo ancora gli occhi offesi dalle immagini scorse ormai due anni fa sullo schermo del tribunale, che testimoniavano in maniera inconfutabile le – altroché presunte… – percosse rivolte agli ospiti della struttura. Abbiamo sentito le ingiurie – pesantissime – ripetute alle stesse persone solamente per il gusto di schiacciare, sottomettere, annichilire le personalità.
Questo ulteriore retroscena ci inorridisce e allo stesso tempo ci spinge a formulare alcune – dovute – considerazioni.
L’uso dei tappeti contenitivi pone a nostro avviso alcune problematiche su due ordini di riflessione. Da una parte il piano giuridico-legale: come è possibile che un crudele quanto rozzo marchingegno di questo tipo possa essere considerato regolare? Non ci risulta che i tappeti siano presidi sanitari accreditati al pari di altri, pur crudeli, annichilenti e ugualmente inaccettabili strumenti di contenzione usati in lungo e in largo nella quasi totalità delle strutture psichiatriche di “accoglienza e cura”, come ad esempio le cinghie. E se anche in qualche modo fossero stati legittimati da qualche protocollo interno, dubitiamo che si possano considerare regolari e accreditati i tappeti portati da casa o comprati all’Ikea. Sotto questo aspetto, giudice e/o avvocati di parte civile forse dovrebbero approfondire la questione per rilevare eventuali ulteriori profili di reato.
Ma quello che ci colpisce di più, al di là delle parole accomodanti della dottoressa, è un secondo aspetto della questione, le cui implicazioni vorremmo fossero ben inquadrate.
Non si possono arrotolare esseri umani in un tappeto. Le persone non si legano. Mai.
Non ci sono ragioni che possano giustificare una violenza del genere: tanto più in una istituzione di (presunta) eccellenza deputata all'”accoglienza” e alla “cura”; tanto più verso persone, ragazzi indifesi e bisognosi di altro che di trattamenti disumani e degradanti. L’oltraggio ai corpi costretti da corde e tappeti di contenzione, annichiliti dagli psicofarmaci, segregati e deumanizzati in quelle strutture sanitarie che continuano a essere istituzioni totali, costituiscono la «negazione agita» (per dirla con le parole del professor Alfredo Verde, estensore della relazione tecnica per la componente di parte civile del processo di Pisa) di quanto asserito dalla stessa Carta dei servizi del presidio di Montalto di Fauglia, dove si afferma che il modello adottato ≪mette prima di tutto al centro il paziente come persona, nella sua individualità, nei suoi bisogni relazionali e personali […]. La nostra filosofia di intervento è ‘prenderci cura’ oltre che curare […]. La nostra organizzazione è centrata sul modello del piccolo gruppo di pazienti condotto da educatori professionali e da assistenti con funzioni educative, che fungono da ‘io’ ausiliario o ‘compagni adulti’ dei pazienti, che li supportano concretamente e psicologicamente in ogni atto della vita quotidiana. […] ogni ragazzo […] è visto come portatore di affetti, bisogni emotivi, aspirazioni, competenze≫.
La presunta eccellenza della Stella Maris è un grande bluff. A Fauglia non si mettevano in atto cure o trattamenti terapeutici ma violenze e trattamenti degradanti e umilianti ai danni degli ospiti. Al di là di procedure, protocolli e linee guida, che possono offrire un imprimatur giuridico e professionale alla necessità, costi quel che costi, di ridurre all’impotenza una persona, tutte le pratiche di contenzione, tra cui anche i tappeti di contenzione rappresentano, oltre che una inaccettabile violenza, uno dei tanti simboli del fallimento dell’utopia psichiatrica.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
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STRUTTURE PSICHIATRICHE e ISTITUZIONI TOTALI: la VICENDA STELLA MARIS – articolo su La TERRA TREMA
Strutture psichiatriche e istituzioni totali: la vicenda Stella Maris
Presso il tribunale di Pisa si sta svolgendo il processo per i maltrattamenti avvenuti nella struttura per persone autistiche di Montalto di Fauglia, in provincia di Pisa, gestita dalla fondazione Stella Maris.
L’Istituto scientifico – Ospedale specializzato – Centro di assistenza Stella Maris (di cui la struttura di Montalto di Fauglia, che attualmente risulta chiusa, rappresentava una sede succursale) si occupa di assistenza e cura dei disturbi e delle disabilità dell’infanzia e dell’adolescenza. È attiva dal 1958 in seguito a una fusione di interessi tra Università degli studi di Pisa, ASL e diocesi di San Miniato. Fortissima è l’impronta cattolica che ne caratterizza i principi guida. Si tratta di una struttura enorme, sia per estensione spaziale degli ambienti in continuo ampliamento, sia per quanto riguarda l’elenco delle patologie e dei disturbi di cui si occupa. Sotto questo aspetto Stella Maris rappresenta un punto di riferimento per tantissime persone. Di fatto è un’istituzione privata convenzionata e finanziata con milioni di euro l’anno dalla Regione Toscana, che nonostante la gravità degli abusi non ha ritenuto opportuno costituirsi come parte civile al processo.
Nella Carta dei servizi del presidio di Montalto di Fauglia, parte in causa nel processo sui maltrattamenti, si affermava che il modello adottato «mette prima di tutto al centro il paziente come persona, nella sua individualità, nei suoi bisogni relazionali e personali (…). La nostra filosofia di intervento è “prenderci cura” oltre che curare (…). La nostra organizzazione è centrata sul modello del piccolo gruppo di pazienti condotto da educatori professionali e da assistenti con funzioni educative, che fungono da “io” ausiliario o “compagni adulti” dei pazienti, che li supportano concretamente e psicologicamente in ogni atto della vita quotidiana. (…) Ogni ragazzo (…) è visto come portatore di affetti, bisogni emotivi, aspirazioni, competenze». Una dichiarazione d’intenti che stride assai con i fatti. Durante l’estate del 2016, in seguito alla denuncia dei genitori di un giovane ospite, la struttura è stata posta sotto controllo dai carabinieri tramite microcamere nascoste. Dopo tre mesi di intercettazioni la procura di Pisa ha configurato l’ipotesi di reato per maltrattamenti basandosi sull’enorme quantità di materiali video accumulati: 284 episodi in meno di tre mesi, più di tre al giorno. La maggior parte dei maltrattamenti rientra nella casistica della gravità più elevata («atti violenti o sessualmente espliciti»). Una violenza, quindi, non occasionale ma strutturale. Durante le udienze in tribunale, inoltre, genitori, tutori e altri testimoni hanno descritto le violenze subite dai ragazzi di Montalto documentate dalle videoregistrazioni. È emersa, ulteriormente, la totale mancanza di professionalità, la carenza di titoli idonei da parte del personale e l’assenza di direttive su come comportarsi in situazioni di crisi.
Tra gli ospiti della struttura di Montalto di Fauglia ricordiamo Mattia, morto nel 2018 per soffocamento durante un pasto davanti alla famiglia, a causa di una disfagia dovuta a una somministrazione prolungata ed eccessiva di psicofarmaci, come risulta dalla perizia tecnica. I continui cambi di terapia avevano comportato disfunzionalità e rischi di cui la famiglia ha sempre dichiarato di non essere mai stata informata. Per questa vicenda è in corso un ulteriore procedimento giudiziario: la sentenza di primo grado non ha individuato alcuna responsabilità da parte dei medici e della struttura. Sondra Cerrai ha pubblicato nel 2020 Siamo tutti legati per le edizioni Porto Seguro, in cui racconta la storia di suo figlio Mattia.
Il processo per maltrattamenti sta andando avanti da più di cinque anni con estrema lentezza: le udienze sono troppo diradate se si considera l’elevatissimo numero di persone invitate a testimoniare. Si tratta, infatti, del più grande processo per violenze su persone con disabilità in Italia. Al momento gli imputati sono quindici. Tra essi figurano anche le due dottoresse che gestivano la struttura e il direttore sanitario della Stella Maris. Due imputati sono usciti di scena: un operatore che ha patteggiato la pena e il direttore generale Roberto Cutajar che, avendo scelto il rito abbreviato, è stato dapprima condannato a due anni e otto mesi di reclusione e poi è stato assolto nel processo d’appello.
Per inquadrare il contesto più generale in cui si sono svolti gli eventi, una chiave di lettura è fornita dalla relazione tecnica agli atti del processo redatta da Alfredo Verde, ordinario di Criminologia dell’Università di Genova, che sottolinea «una lunga tradizione di abuso e violenza da parte degli operatori, radicata negli anni, e in parte tollerata, in parte ignorata della direzione delle strutture». E ancora: «Una violenza così evidente richiama la possibilità di ipotizzare che altre violenze si siano verificate in contesti meno pubblici. (…) In queste situazioni si sviluppano degenerazioni in cui la violenza e la sopraffazione divengono gli strumenti usati ogni giorno, e l’istituzione perde le sue caratteristiche terapeutiche per divenire un luogo meramente coercitivo e afflittivo».
La relazione tecnica afferma ancora che «il comportamento degli operatori è apparso tipico delle istituzioni totali in cui non solo gli ospiti vengono puniti, ma la punizione viene anche irrogata in una situazione di estrema visibilità (come per esempio il refettorio), in cui gli ospiti assistono silenziosi e acquiescenti al trattamento subito dai compagni: una sorta di teatro». Afferma ancora il professor Verde: «Il pensiero istituzionale presuppone, implica e giustifica la violenza, che può essere manifesta o anche solo accennata, assumendo quindi anche una funzione simbolica».
I maltrattamenti di Montalto di Fauglia diventano allora emblematici dei dispositivi coercitivi e degradanti insiti in questa tipologia di strutture, dove frequentemente le persone, ridotte a oggetti, diventano il bersaglio di sopraffazioni e abusi di potere quotidiani. Luoghi dove la contenzione fisica e farmacologica è spesso consuetudine e dove le prepotenze sono ordinarie e strutturali.
Quelle “istituzioni totali” che si autopresentano come luoghi di attenzione, di assistenza e di cura per gli ultimi e per gli esclusi (e che stanno crescendo ovunque di importanza e potenza) in realtà tendono a identificare, a comprendere e a classificare in categorie (disabile, autistico, matto, criminale, tossico, delinquente, ecc.) le persone a loro affidate. L’etichetta comporta un pesante stigma che depriva le persone dei loro attributi di umanità e le relega alla categoria di cittadine e cittadini di serie B e senza-diritti. Tutto questo non suscita né attenzione, né indignazione. Le privazioni, le umiliazioni che le persone in alcune strutture psichiatriche devono subire quotidianamente sono indicibili: non se ne parla e non se ne deve parlare.
Riteniamo sia importante non spegnere i riflettori su una violenza così estesa, capillare, non episodica, accettata e sostenuta quotidianamente dal silenzio di moltissimi professionisti, tecnici e operatori, assistenti ed educatori. Ci piacerebbe partire da qui, dal sistema di omertà che sorregge questi abusi. In nessun caso la carenza di personale e di strutture può giustificare il ricorso a pratiche violente e coercitive, né il silenzio con cui vengono accettate. Anche le argomentazioni dei “motivi di sicurezza”, dello “stato di necessità” o delle “persone aggressive”, a cui sovente si fa appello nei reparti o nelle strutture, devono essere respinte, perché sono fondate sul pregiudizio ancora diffuso della potenziale pericolosità della “pazzia”. C’è chi ritiene, per atteggiamento culturale o per formazione, che sia giustificabile sottoporre persone diagnosticate come malate mentali a mezzi coercitivi, che sia nell’ordine delle cose e corrisponda al loro stesso benessere, senza chiedere mai cosa ne pensino le persone interessate.
Il problema, dunque, è superare il modello di internamento fondato su meccanismi e dispositivi manicomiali che in realtà non sono mai stati superati. Nel momento in cui riproduci le stesse pratiche (l’isolamento, la contenzione fisica, meccanica e farmacologica e ambientale, l’obbligo di cura) la logica dell’istituzione totale si riproduce e si diffonde fino ai reparti, alle strutture e alle residenze sanitarie come quella di Montalto di Fauglia: se c’è l’idea della persona come soggetto pericoloso che va isolato, dovunque lo sistemi sarà sempre un manicomio. Un concreto percorso di superamento delle istituzioni totali passa necessariamente da uno sviluppo di una cultura non segregazionista, largamente diffusa, capace di praticare principi di libertà, di solidarietà e di valorizzazione delle differenze umane, contrapposti ai metodi repressivi e omologanti della psichiatria.
Come collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud abbiamo organizzato numerosi presidi davanti al tribunale per portare solidarietà, denunciare i maltrattamenti e più in generale gli abusi della psichiatria e far emergere il ruolo della Stella Maris nella cosiddetta medicalizzazione, patologizzazione, farmacologizzazione delle giovani generazioni. Abbiamo collaborato attivamente alla realizzazione del reportage Rai “La STORIA DI MATTIA” per Spotlight del 25 luglio 2023 sulla vicenda dei maltrattamenti, diretto dalla regista Maria Elena Scandaliato.
– www.artaudpisa.noblogs.org – antipsichiatriapisa@inventati.org – tel. 3357002669
LINK INTERVISTA a radio OndaRossa sulla VICENDA dei MALTRATTAMENTI alla Stella Maris
LINK INTERVISTA a radio OndaRossa sulla VICENDA dei MALTRATTAMENTI alla Stella Maris
questo sotto è il link per ascoltare l’intervista fatta oggi durante il presidio sotto il tribunale,
come collettivo Artaud, a Radio Ondarossa sulla vicenda dei maltrattamenti alla struttura
di Montalto di Fauglia in provincia di Pisa gestita dalla fondazione Stella Maris
https://www.ondarossa.info/newsredazione/2024/03/presidio-pisa-stella-maris
COMUNICATO per il PRESIDIO del 12 marzo in SOLIDARIETA’ alle VITTIME dei MALTRATTAMENTI alla Stella Maris c/o Tribunale di Pisa
VERITA’ SUGLI ABUSI ALLA STELLA MARIS, SOLIDARIETA’ ALLE VITTIME DEI MALTRATTAMENTI !
Il 12 marzo 2024 alle ore 14 saremo ancora una volta davanti al Tribunale di Pisa dove si terrà una nuova udienza per i maltrattamenti avvenuti nella struttura di Montalto di Fauglia destinata ad ospitare persone autistiche, gestita dalla Fondazione STELLA MARIS. In questa ulteriore udienza dovrebbero venire sentite alcune dottoresse imputate.
Nell’estate del 2016, in seguito alla denuncia dei genitori di un giovane ospite, la struttura è stata posta sotto controllo con l’installazione di microcamere e, dopo tre mesi di intercettazioni, la Procura di Pisa, dopo aver accumulato prove evidenti, ha configurato l’ipotesi di reato per maltrattamenti.
Tra gli ospiti della residenza, ricordiamo Mattia, morto successivamente nel 2018 per soffocamento, in seguito al blocco della glottide dovuto molto probabilmente al prolungato e eccessivo uso di psicofarmaci. I continui cambi di terapia avevano comportato disfunzionalità e rischi al momento dei pasti di cui la famiglia afferma di non essere mai stata informata. Per questa vicenda è in corso un altro procedimento penale, il processo in primo grado si è chiuso con nessuna responsabilità da parte dei medici e della struttura.
Il processo per maltrattamenti sta andando avanti da più di 6 anni con estrema lentezza: le udienze sono troppo diradate se si considera l’elevatissimo numero di persone invitate a testimoniare. Si tratta, infatti, del più grande processo sulla disabilità in Italia. Nel periodo della pandemia (caso unico nella storia della giustizia pisana) è stato ospitato nel Palazzo dei Congressi di Pisa.
Al momento gli imputati sono 15, tra essi le due dottoresse che gestivano la struttura e il Direttore Sanitario della Stella Maris. Due imputati sono usciti di scena: un operatore che ha patteggiato la pena e il Direttore generale Roberto Cutajar che, avendo scelto il rito abbreviato, è stato dapprima condannato a 2 anni e 8 mesi di reclusione, poi è stato assolto nel processo d’appello.
I genitori e i tutori e altri testimoni già ascoltati hanno riportato le violenze subite dai ragazzi di Montalto e documentate dalle videoregistrazioni che testimoniano più di 280 episodi di violenza in meno di quattro mesi, una violenza – quindi – non episodica ma strutturale.
Come ha scritto nella sua relazione il consulente tecnico, professor Alfredo Verde, chiamato a relazionare sui fatti avvenuti: « Leggendo gli atti del presente procedimento abbiamo rinvenuto sicuramente la menzione di una lunga tradizione di abuso e violenza da parte degli operatori, radicata negli anni, e in parte tollerata, in parte ignorata della direzione delle strutture”. Ed ancora: “In queste situazioni si sviluppano degenerazioni in cui la violenza e la sopraffazione divengono gli strumenti usati ogni giorno, e l’istituzione perde le sue caratteristiche terapeutiche per divenire un luogo meramente coercitivo e afflittivo. Il comportamento degli operatori è apparso tipico delle istituzioni totali » .
Per questi motivi, e per ricordare tutte le vittime degli abusi psichiatrici che ancora oggi vengono perpetrati ai danni di persone private della libertà personale e non in grado di difendersi da sole, riteniamo doveroso seguire con attenzione le vicende di questo processo nell’interesse di tutte/i.
Invitiamo a partecipare al PRESIDIO in SOLIDARIETA’ alle VITTIME dei MALTRATTAMENTI MARTEDI’ 12 MARZO ORE 14 presso il Tribunale di Pisa in Piazza della Repubblica
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38, 56100 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org 3357002669