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da Sondra Cerrai: resoconto ultima udienza del processo Stella Maris del 24/06/25

  • June 26, 2025 11:47 am

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Sondra Cerrai il resoconto dell’ultima udienza del processo sui maltrattamenti alla Stella Maris, quella del 24 giugno scorso, dove ci sono state le richieste di condanne da parte del pubblico ministero.

E infine dopo 42 udienze del processo Stella Maris siamo arrivati al giorno della richiesta delle condanne da parte del PM Fabio Pelosi che ha condotto la sua requisitoria finale in tandem con il Viceprocuratore  Massimiliano Costabile.
Le condanne chieste vanno da un massimo di 5 anni, per le dottoresse Paola Salvadori e Patrizia Masoni, fino ad un minimo di un anno e mezzo per l’operatore Lucchesi e, in quantità variabile, per gli altri operatori.  E’ stata chiesta l’assoluzione per il dr. Giuseppe De Vito, Direttore sanitario della struttura.
Ma il di là delle condanne chieste, in  una vicenda drammatica e penosa che ogni volta ha mostrato sul palcoscenico  delle udienze particolari sempre più raccapriccianti e improbabili linee di difesa, il discorso del dr. Pelosi meriterebbe di essere letto in ogni scuola superiore.
Quello che ha voluto far emergere, nella prima parte del suo intervento, è stato l’oggetto valoriale del processo, questa è la definizione testuale del suo incipit.
E’ partito descrivendo “La nave dei folli” di Bosch che, sul finire del 1400, dipinse questo quadro raccontando il pellegrinaggio di un gruppo di folli che viaggiano per mare senza alcuna meta. Su quella nave si trovavano i “matti”, i diseredati di cui la società si doveva liberare. Coloro che non rientravano negli schemi della ragione collettiva e dovevano restare fuori dalla socialità, in balia del mare. Erano destinati a una vita errante, senza patria, senza terra ferma. Una vita fatta di niente se non di un interminabile vagare. Chi sono quei folli? si è chiesto Pelosi. Questi folli sono ritratti mentre mangiano proprio come i ragazzi di Montalto ripresi dalle telecamere mentre stavano mangiando e contestualmente venivano offesi, picchiati, strattonati, presi a “nocchini” dai propri operatori-aguzzini.
Era l’estate del 2016 e le telecamere (installate a seguito della denuncia di due genitori) testimoniarono oltre 280 episodi di violenza in meno di 4 mesi. Le intercettazioni telefoniche, disposte dalla procura, rivelarono una realtà, se possibile, ancora peggiore
Quei “matti” della nave di Bosch non sono,  tuttavia, solo gli ospiti di Montalto di Fauglia con le loro problematiche e i loro fantasmi ma anche gli operatori abbandonati a gestire le difficoltà da una perenne mancanza di formazione e di guida, forse preda (a loro volta) di disagi esistenziali.
La nave senza meta (si è chiesto ancora il PM) forse rappresenta tutti noi che da anni veleggiamo in questo lungo processo.
Questo processo, ha detto, ci induce a riflettere sulla malattia mentale, su che cosa significhi gestirla. In questo processo è stata descritta una follia che fa ancora paura, una follia incurabile (così l’ha definita anche un noto psichiatra consulente di parte).  Eppure i genitori avevano affidato i propri figli ad una struttura definita d’eccellenza e che, in quanto tale, riceve cospicui finanziamenti non solo dalle famiglie ma anche dalla Regione Toscana. I genitori si aspettavano cure e accudimento, non percosse e rassegnazione.
Pelosi ha citato Platone, Marx  ma  soprattutto, Foucault con la sua teoria della microfisica del potere. Sì perché durante il processo è andato in scena una vera e propria spaccatura tra medici (le due dottoresse sotto accusa) e i tredici operatori ripresi dalle telecamere nell’atto di compiere atti efferati (ricordiamo che un operatore era già uscito di scena patteggiando la pena).
I medici hanno sostenuto di “non sapere” rigettando ogni colpa sugli operatori  e gli operatori hanno sostenuto di non essere stati formati, di essere stati assunti in modo improvvisato e (a volte) amicale, di essere stati costretti ad operare in ambienti fatiscenti e senza alcuna garanzia di sicurezza sul lavoro.
Possiamo leggere questo conflitto così come lo avrebbe letto Marx (si è chiesto Pelosi) in chiave di lotta di classe? Di dirigenti contro lavoratori?
No, secondo Pelosi, la lettura più appropriata per spiegare questa vicenda è quella di Foucault: della “microfisica del potere”, di un  potere non come entità statica o centralizzata, ma come una forza diffusa e capillare che opera a livello delle relazioni sociali quotidiane e nelle istituzioni. Foucault sosteneva  che il potere non è qualcosa che si possiede, ma qualcosa che si esercita, e che si manifesta nelle dinamiche di controllo e disciplinamento che attraversano ogni aspetto della vita sociale: dal corpo alla sessualità, alla famiglia e alle istituzioni. Tutto, in questa vicenda. è potere, ha aggiunto Pelosi.
La Stella Maris è indubbiamente una struttura di potere che ha rapporti con poteri istituzionali ed economici. Ma il potere lo esercitavano anche i medici sugli operatori e gli operatori sugli ospiti della struttura, gli ultimi della catena, i derelitti, gli indifesi.  Ognuno di questi soggetti ha (secondo il PM) usato male il proprio potere.
Ciascuno dovrà quindi essere condannato in base alle proprie responsabilità perché tutti avevano potere di scelta e nessuno l’ha saputo (o voluto) esercitare per aiutare i ragazzi.
Pelosi ha posto l’accento sull’atteggiamento indecoroso e poco professionale degli operatori Stella Maris, sul clima di paura che dominava la struttura, sull’omertà che regnava in quelle stanze. Tutto ciò ha reso possibile il fatto che la Stella Maris abbia potuto assumere l’aspetto di una struttura concentrazionaria dove la brutalità aveva preso il sopravvento, dove le condotte violente erano sistematiche e non episodiche, reiterate anche di fronte ad un pubblico inerte.  Cosa poteva accadere (si è chiesto) oltre il refettorio, unico luogo dove erano state posizionate le telecamere dei carabinieri? Cosa succedeva nei bagni, nelle camerate, nei corridoi? Possiamo facilmente intuirlo.
Queste condotte plurime rivolte a soggetti indifesi e appartenenti alla stessa comunità (queste le parole di Pelosi) meritano, dunque, la condanna non solo degli operatori ripresi dalle telecamere ma anche delle due dottoresse ree:
1) di aver operato una selezione di personale dequalificato;
2) di non aver assicurato agli operatori una formazione adeguata;
3) di mancata sorveglianza (nei tre mesi di riprese video non si vedono mai le dottoresse in refettorio);
4) di mancata denuncia alle autorità di varie segnalazioni di condotte violente da parte di operatori,  ricevute  nel corso degli anni;
4) di mancata messa in pratica di strumenti per il benessere dei propri lavoratori, alcuni dei quali hanno asserito di aver avuto sintomi da burnout.
Noi genitori aspettiamo adesso giustizia vera per i nostri figli indifesi.

Sondra Cerrai

Riforma della disabilità: eliminiamo la possibilità di istituzionalizzare le persone

  • June 26, 2025 11:23 am

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, dal centro Informare un’h” l’articolo “Riforma della disabilità: eliminiamo la possibilità di istituzionalizzare le persone”, che prende spunto da una recente vicenda di gravi maltrattamenti ai danni di persone con importanti disabilità intellettive e cognitive, ospiti di una Comunità situata in Piemonte, per una riflessione su come i temi della prevenzione dell’istituzionalizzazione e della promozione la deistituzionalizzazione siano stati trattati nel Decreto Legislativo 62/2024, uno dei decreti attuativi della Legge Delega in materia di disabilità.

Nella giornata di ieri, 19 giugno 2025, sul sito dei Carainieri, è stato pubblicato un comunicato stampa dal titolo Maltrattamenti su persone con gravi disabilità, 8 arresti in Piemonte, a firma del Comando Carabinieri per la Tutela della Salute Torino – Torino, Cuneo (il testo è disponibile a questo link). Nel comunicato è scritto che nella mattina del 19 giugno i Carabinieri del NAS di Torino (il Nucleo Antisofisticazioni e Sanità), al termine di un’attività complessa e articolata, svolta in collaborazione con altri soggetti, hanno eseguito otto ordini di custodia e sei perquisizioni domiciliari a carico di sette operatori socio sanitari ed uno psicoterapeuta, ritenuti responsabili di gravi maltrattamenti su persone con importanti disabilità intellettive e cognitive ospiti di una Comunità situata nel Pinerolese, e facente capo ad una Cooperativa che gestisce molteplici strutture in Piemonte e in Lombardia. Uno degli arrestati è accusato anche di violenza sessuale nei confronti di un ospite disabile. Le indagini hanno permesso «di svelare le condotte abituali tenute nei confronti degli ospiti disabili, sottoposti a gravi umiliazioni e violenze fisiche e verbali. L’attività investigativa ha evidenziato la presenza di quotidiani episodi di maltrattamenti, consistenti in ingiurie, strattoni, schiaffi, percosse, nonché continui atteggiamenti vessatori, intimidatori e di scherno sia a livello fisico che psichico. Gli arrestati sono stati tutti sottoposti agli arresti domiciliari presso le rispettive abitazioni», si legge nel comunicato, che tuttavia precisa che i fatti sono ancora in fase di accertamento. La notizia è stata rilanciata anche da diversi organi di stampa che hanno individuato la struttura di cui si tratta nella Comunità Mauriziana di Luserna San Giovanni, un Comune della città metropolitana di Torino, ed ulteriori particolari (se ne legga, ad esempio, in questo articolo pubblicato su «Torino Cronaca» il 20 giugno 2025). Tuttavia, ai fini della presente riflessione, non è utile addentrarsi ulteriormente in questi terribili avvenimenti ancora in fase di definizione, è invece importante soffermarsi sul fatto che, davanti a vicende come questa, altre ad esprimere la giusta indignazione, spesso ci si limita a chiedere maggiori controlli, pene esemplari per i colpevoli, o altre misure repressive, senza però arrivare a mettere in discussione la stessa esistenza di queste strutture. Il sotteso – molto probabilmente inconsapevole – è che l’istituzionalizzazione sia necessaria, e che “l’unico” problema siano le condotte che configurano fattispecie di reati. Nella sostanza l’istituzionalizzazione in sé, col suo portato segregante, rimane fuori fuoco, non diviene l’oggetto della riflessione perché non è percepita come una violazione dei diritti umani, né come una forma di violenza ai danni delle persone con disabilità, come invece indicato dal Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ad esempio, nelle Linee guida sulla deistituzionalizzazione, anche in caso di emergenza del 2022 (si veda in particolare il punto 6). Purtroppo questo approccio sembra ancora largamente condiviso. Non è un caso che sino ad oggi nel nostro Paese non sia stato predisposto nessun piano nazionale o regionale per la deistituzionalizzazione, né risulta che la questione venga trattata come una priorità politica anche all’interno dell’associazionismo delle persone con disabilità (salvo pochissime eccezioni, che al momento sembrano minoritarie). Ma le tracce di questo approccio, a volerle cercare, sono rinvenibili anche nella normativa più recente.

«Il progetto di vita tende a favorire la libertà della persona con disabilità di scegliere dove vivere e con chi vivere, individuando appropriate soluzioni abitative e, ove richiesto, garantendo il diritto alla domiciliarità delle cure e dei sostegni socioassistenziali, salvo il caso dell’impossibilità di assicurare l’intensità, in termini di appropriatezza, degli interventi o la qualità specialistica necessaria»: recita così il primo comma dell’articolo 20 del Decreto Legislativo 62/2024, recante Definizione della condizione di disabilità, della valutazione di base, di accomodamento ragionevole, della valutazione multidimensionale per l’elaborazione e attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato. Il menzionato decreto, va ricordato, è uno di quelli emanati in attuazione della Legge 227/2021ovvero la Legge Delega al Governo in materia di disabilità, comunemente individuata con l’espressione “riforma della disabilità”. Come risulta anche dalla denominazione, il decreto disciplina, tra le altre cose, anche il progetto di vita individuale personalizzato e partecipato, e la disposizione riportata fa riferimento proprio a questo strumento.

Quella citata è una disposizione che va letta con attenzione, perché nei fatti la previsione delleccezione – introdotta dalla dicitura «salvo il caso» – consente di negare alle persone con disabilità «la possibilità di scegliere, su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere e non siano obbligate a vivere in una particolare sistemazione», riconosciuta alla lettera a dell’articolo 19 (Vita indipendente ed inclusione nella società) della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Un trattato che, è bene sottolinearlo, è stato ratificato dall’Italia con la Legge 18/2009. Nella sostanza il decreto prevede che se lo Stato non è in grado di assicurare in modo appropriato interventi particolarmente intensi o una specialistica di qualità, allora la libertà della persona con disabilità di scegliere dove vivere e con chi vivere – che in realtà si configura come un diritto umano – può essere compressa o negata. E probabilmente è vero che attualmente lo Stato non è in grado di erogare certi servizi, ma la riforma della disabilità dovrebbe servire proprio per rimodulare il sistema dei servizi in modo da «promuovere, proteggere e garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità»: è esattamente questo lo Scopo della Convenzione ONU (indicato al primo comma, dell’articolo 1 della stessa). Pertanto, l’idea che i diritti umani si possano garantire ad alcune persone (con o senza disabilità) e non ad altre è incompatibile con lo stesso concetto di diritto umano.

Quella dell’articolo 20 è dunque una disposizione in contrasto con la Convenzione ONU perché quest’ultima non prevede eccezioni alla libertà della persona con disabilità di scegliere dove vivere e con chi vivere. Non solo, la persona disabile costretta a vivere in una struttura residenziale in ragione della propria disabilità, e per la mancata predisposizione di un’alternativa inclusiva, sta subendo un’arbitraria privazione della propria libertà che confligge anche con l’articolo 14 (Libertà e sicurezza della persona) della medesima Convenzione ONU, nonché con un stratificato complesso di norme, nazionali e internazionali, tutte orientate a prevenire l’istituzionalizzazione e promuovere la deistituzionalizzazione. Ulteriori considerazioni potrebbero poi essere fatte sull’impiego dell’espressione «tende a favorire», riferita alla «libertà della persona con disabilità di scegliere dove vivere e con chi vivere» – presente anch’essa, come abbiamo visto, nella menzionata disposizione dell’articolo 20 –, che, stando a una recente analisi sociologico-giuridica della riforma della disabilità, introdurrebbe nel nostro ordinamento giuridico «l’ambigua figura del “diritto tendenziale” che ripartisce pragmaticamente i soggetti giuridici fra coloro che sono titolari di diritti effettivi e coloro che dispongono di meri diritti tendenziali»*.

Già questi elementi dovrebbero essere sufficienti per chiedere con urgenza che il primo comma dell’articolo 20 del Decreto Legislativo 62/2024 venga interamente riscritto. Ma vi è anche un altro aspetto che pone interrogativi problematici. Il fatto è che il Decreto Legislativo 62/2024 si discosta anche dai principi e criteri direttivi enunciati nell’articolo 2 della Legge di delegazione.

Infatti, riprendendo in mano la Legge Delega 227/2021, notiamo che essa indica che nell’elaborazione del progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato, si debbano individuare «i sostegni e gli accomodamenti ragionevoli che garantiscano l’effettivo godimento dei diritti e delle libertà fondamentali, tra cui la possibilità di scegliere, in assenza di discriminazioni, il proprio luogo di residenza e un’adeguata soluzione abitativa, anche promuovendo il diritto alla domiciliarità delle cure e dei sostegni socio-assistenziali» (articolo 2 comma 2, lettera c, numero 4). La medesima Legge di delegazione prevede inoltre che l’individuazione dei sostegni e servizi per l’abitare in autonomia e dei modelli di assistenza personale autogestita a supporto della vita indipendente delle persone con disabilità in età adulta, sia attuata «favorendone la deistituzionalizzazione e prevenendone l’istituzionalizzazione» (articolo 2 comma 2, lettera c, numero 12).

Ebbene, come già argomentato, il Decreto Legislativo 62/2024, prevedendo un’eccezione alla libertà della persona con disabilità di scegliere dove vivere e con chi vivere, introduce un elemento di discriminazione che, stando alla Legge di delegazione, dovrebbe essere assente. Inoltre nella Legge di delegazione si fa esplicito riferimento alla promozione della deistituzionalizzazione e alla prevenzione dell’istituzionalizzazione, riferimento che nel Decreto Legislativo 62/2024 è completamente scomparso, mentre l’istituzionalizzazione è addirittura ammessa, sia pure come eccezione.

Dunque viene da chiedersi: perché nel Decreto Legislativo 62/2024 ci sono cose che non ci dovrebbero essere, e ne mancano altre che invece sono previste dalla Legge di delegazione? E ancora: chi ha la responsabilità politica di questo discostamento dalla Legge di delegazione e dalla Convenzione ONU?

Nei giorni scorsi Giampiero Griffo, membro del Consiglio Mondiale di DPI (Disabled Peopoles’ International) e condirettore del CeRC (Centre for Governmentality and Disability Studies Robert Castel) dell’Università suor Orsola Benincasa di Napoli, ha scritto un interessate testo nel quale ha intrapreso un’analisi dei decreti attuativi della Legge Delega 227/2021, soffermandosi, in questo primo contributo, sul tema delle valutazioni (attualmente in fase di sperimentazione) e rilevando alcune criticità, tra cui, in particolare, la mancanza di un chiaro riferimento ai diritti umani nel Decreto Legislativo 62/2024 (si veda: Il tema delle valutazioni nella “riforma della disabilità” e il mancato riferimento ai diritti umani, del 19 giugno 2025). Nel concludere la sua analisi, Griffo osserva come, sui differenti aspetti delle valutazioni, nel Decreto Legislativo 62/2024 possano essere apportate migliorie su tanti temi, «e il tempo della sperimentazione dovrebbe essere sufficiente, fino al giugno del 2026, per introdurre gli appropriati correttivi». Ci auguriamo, dunque, che anche la disciplina del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato, definita nel medesimo decreto legislativo, possa essere corretta esplicitando che detto progetto di vita debba mirare a prevenire l’istituzionalizzazione – senza eccezioni – e a promuovere – con convinzione – la deistituzionalizzazione delle persone con disabilità.

Simona Lancioni
Responsabile di Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa). L’autrice dichiara di non avere alcun conflitto di interessi, neanche indiretto, riguardo al tema dell’istituzionalizzazione.

Nota: tutti i grassetti nelle citazioni testuali sono un intervento della redazione, mentre la formattazione della citazione del testo di Griffo non corrisponde a quella originale.

* Ciro Tarantino e Cecilia M. Marchisio, Gli spiriti della legge. Sulle tensioni istituenti del decreto legislativo 62/2024 in tema di progetto personalizzato per le persone con disabilità. Uno studio di animismo giuridico, pubblicato nel Dossier Aspetti e aspettative della riforma della disabilità, in «Sociologia del diritto» (Vol. 52, Numero 1, 2025), pag. 367. In merito alla presente pubblicazione si segnala anche la seguente presentazione: Simona Lancioni, Un dossier che indaga le tensioni che animano la riforma della disabilità, «Infermare un’h», 15 giugno 2025.

LINK per ascoltare intervista dal presidio al processo Stella Maris di martedì 24 giugno

  • June 25, 2025 1:25 pm

https://www.ondarossa.info/newsredazione/2025/06/presidio-pisa-stella-maris

A questo link potete ascoltare l’intervista che abbiamo fatto, come collettivo Artaud, a Radio Ondarossa in diretta dal presidio sotto il tribunale per il processo sui maltrattamenti alla Stella Maris martedì 24 giugno 2025.

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
per info e contatti:
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38, 56100 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org 3357002669
https://www.youtube.com/@CollettivoArtaud

LINK per ascoltare INTERVISTA a Radio Popolare su TSO, CONTENZIONE e PRATICHE MANICOMIALI

  • June 23, 2025 2:36 pm


https://www.radiopopolare.it/puntata/?ep=popolare-vieniconme/vieniconme_20_06_2025_17_35


A questo link potete ascoltare l’intervista che abbiamo fatto, come collettivo Artaud, durante la trasmissione “vieni con me” su radio Popolare venerdì 20 giugno. Abbiamo parlato di Trattamento Sanitario Obbligatorio, abusi psichiatrici, contenzione meccanica, psicofarmaci e pratiche manicomiali che si riproducano quotidianamente. L’intervista inizia al minuto 38 circa.

PERUGIA: 28/6 DIBATTITO sull’ANTIPSICHIATRIA c/o csoa Turba

  • June 21, 2025 8:25 pm

Nell’ambito della due giorni sull’antipsichiatria C’HO LE TURBE 28 e 29 giugno

a PERUGIA SABATO 28 GIUGNO c/o il CSOA TURBA alle ore 17 dibattito sull’antipsichiatria con il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud

a seguire cena sociale e concerto punk/metal

Sarà che il caldo ci dà già i nervi.
Sarà che il governo sta portando avanti il ddl Zaffini, come si trascina una sedia sul pavimento spoglio di una celletta squallida: per logorare, per fare male.
Nel testo, oltre al raddoppio dei termini per i TSO (da 7 a 15 giorni), si introduce il ricorso a «trattamenti coattivi fisici, farmacologici e ambientali» che, come se non fossero già la norma, ora riposeranno su un’ulteriore codifica legale. L’istituzione getta la maschera: con buona pace di Basaglia, che il crimine di pace diventi legge. Il ddl Zaffini è la prova, se mai ce ne fosse bisogno, che seppur chiusi i manicomi, la matrice manicomiale è sopravvissuta. Ha continuato a vivere e prosperare, nelle forme di contenzione meccaniche, chimiche e ambientali, negli elettroshock, nella stigmatizzazione, nella segregazione. Non ha mai smesso di produrre sofferenza, al riparo della facciata di cura e custodia – senza nemmeno sforzarsi troppo nel mantenerla. Lo dimostra il caso Stella Maris, di cui parleremo diffusamente con lx compagnx del collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud, che stanno seguendo il processo per i maltrattamenti e le sevizie che nella struttura di Montalto di Fauglia erano pane quotidiano.
Sarà che a due passi da dove abitiamo è stata dichiarata la Zona di Vigilanza Rafforzata, aka Zona Rossa, dalla quale l’allontanamento è arbitrio di polizia. Da un lato l’internamento, dall’altro la zona rossa. In una non puoi entrare, dall’altro non puoi uscire. Espulsione e contenzione: due movimenti speculari, ma armonici, dello stesso tempo repressivo.
Sarà che il muro è sempre da entrambi i lati. Uno dà l’illusione di essere aperto, per l’altro non è necessario.
Sarà quel che sarà, sta di fatto che c’abbiamo le turbe. Due giornate di antipsichiatria.

GALLERIA DEGLI ORRORI – La banalità del male al processo Stella Maris.

  • June 18, 2025 10:15 pm

GALLERIA DEGLI ORRORI
La banalità del male al processo Stella Maris.

Un’operatrice prende alle spalle un ragazzo e gli stringe il collo da dietro con il braccio serrato intorno alla gola. Il ragazzo ha in mano un oggetto. «Lascialo! Lascialo! Lascialo!…» ripete in maniera monotona l’operatrice in tuta viola. Il ragazzo emette qualcosa di simile a un rantolo, «basta…». Intorno altri ragazzi a testa bassa assistono alla scena. Un altro operatore assiste impassibile.
Cambio scena.
Un operatore in camice con il braccio alzato e un dito imperioso puntato verso l’alto scaccia in malo modo un ragazzo che, evidentemente impaurito, sembra eseguire l’ordine. Mentre si allontana dando le spalle, lo stesso operatore allunga una gamba e da dietro con il più classico degli sgambetti gli causa una rovinosa caduta in terra.
Cambio scena.
Un operatore parte da un angolo della sala, in tre falcate arriva al cospetto di un ragazzo e gli assesta un colpo alla testa. Il ragazzo solleva un braccio inutilmente per parare il colpo.
Cambio scena.
 Un operatore ben piazzato afferra da dietro per la collottola un ragazzo e lo tira con forza. Il ragazzo prova a fare qualche passo all’indietro ma perde l’equilibrio, rovina a terra e finisce contro la parete. Si rialza subito tenendo una mano sulla testa, e prova a scappare…
 Cambio scena.
Un operatore colpisce alla nuca un ragazzo mentre mangia a testa china. Va a finire con la faccia nel cibo, rimbalzando sul duro fondo del piatto.
Cambio scena.
Un operatore afferra un lembo della t-shirt di un ragazzo e tira con forza fino a quando la maglia va in pezzi. Il ragazzo rimane a torso nudo.
Cambio scena.
Un’operatrice è seduta, un operatore si rivolge a un ragazzo con disabilità: «faglielo vedere, così torna a casa contenta!». Il ragazzo si abbassa i calzoni, l’operatore si avvicina e gli solleva la maglia sul davanti. Il ragazzo rimane nudo davanti e dietro. Ambedue gli operatori guardano e scoppiano in una sonora risata.
Cambio scena.
Un operatore stringe i polsi di un ragazzo, che si lamenta. Gli gira intorno fino a quando trova il momento giusto per assestargli una testata sul naso. «Pensi che io abbia paura di te?». Intorno, ragazzi impauriti e altri operatori che passano e guardano distratti.
Cambio scena.
Sequela di insulti: «sei un maiale!», «rimbambito!», «sei un finocchione!».
«Quando meno te lo aspetti, eh! Guardati sempre alle spalle, mi raccomando!».
«Pensi che abbia paura? Pensi che abbia paura di te? Testa di cazzo!».
«Io sono peggio del duce!».
 «Le cose che vedete qua dentro, fuori è meglio non dirle!».

Abbiamo provato a rendere con le parole il contenuto di un video di pochi minuti ancora visibile online.
Una galleria degli orrori.
Ma non è che una parte infinitesimale rispetto alla mole di registrazioni effettuate in tre mesi – da agosto a novembre 2016 – dalle microcamere dei carabinieri piazzate di nascosto all’interno della struttura di Montalto di Fauglia, che accoglieva persone con disabilità e con autismo, appartenente alla Fondazione Stella Maris di Pisa. Risultano agli atti del processo attualmente in corso 284 episodi di maltrattamenti fisici e verbali, catalogati dal perito del pubblico ministero, prof. Alfredo Verde, per livello crescente di gravità. 284 episodi in 90 giorni: in media, più di tre al giorno. Nelle sole due stanze del refettorio, le uniche in cui erano presenti le telecamere, all’interno di una vasta struttura. Ma tanto basta, per chi abbia una sensibilità, per chi sia dotato di un minimo di capacità empatica. I pochi video resi accessibili rappresentano già di per sé un atto di accusa incontrovertibile. Colpiscono come un pugno allo stomaco chiunque abbia avuto la forza di guardarli. Raccontano di inaccettabili violenze al fisico e alla persona nella sua totalità, che segnano duramente l’esistenza di 23 ospiti della struttura e delle loro famiglie. Nel corso di alcune udienze i video delle violenze sono anche stati proiettati interamente nell’aula del tribunale di Pisa. «Sevizie alla Stella Maris: in aula i video choc. Indignazione e dolore», titolava in cronaca il quotidiano La nazione il 19 ottobre 2022.

Da qualche tempo le famiglie, le attiviste e gli attivisti, il pubblico che segue le tormentate fasi del processo arrivano al termine delle udienze con la sensazione di aver toccato il fondo. Le immagini dei pestaggi arbitrari, l’eco del turpiloquio e degli insulti gratuiti, l’arroganza sterile di chi fa il forte contro persone indifese fanno da contesto ineludibile e sfondo essenziale a ogni parola pronunciata dagli scranni del tribunale. E troppe volte l’indignazione e il dolore di chi da quell’aula cerca giustizia è messa a dura prova. Ci è toccato sentire di tutto dai testimoni della difesa, dagli operatori e dalle operatrici che si riconoscevano nei video proiettati, dalle dottoresse responsabili della struttura. Che hanno di contro descritto un posto idilliaco, dove l’educazione si insegnava a nocchini e qualche buffetto, dove ci si arrabbiava e si scherzava come in ogni famiglia. È vero, a volte si utilizzava qualche metodo contenitivo e – che ci vuoi fare – ogni tanto qualcuno, legato al letto con le cinghie di contenzione, si spezzava un arto; tanto che era meglio arrotolarli in un tappeto portato da casa o comprato all’Ikea e poi mettercisi seduti sopra con una sedia, almeno si calmavano prima e senza troppi danni. Ma non se ne poteva fare a meno, vienici tu a lavorare con queste persone che necessitano di carota ma alla bisogna anche del bastone. Dalle panche in legno riservate agli astanti scorrono frequenti brividi di indignazione, qualche lacrima scende in silenzio, a volte scappa qualche commento indirizzato all’altra parte della balaustra, ma nulla più. I familiari hanno sempre mostrato un’enorme compostezza. Anche troppa.

Qualcosa ha tracimato nel corso dell’udienza di martedì 27 maggio.

C’era molta attesa per la testimonianza del prof. Pietro Pietrini, perito di parte di alcuni imputati. Pietrini è uno psichiatra, un luminare della materia, ex direttore, tra l’altro, della Scuola IMT Alti Studi di Lucca, e fra i consulenti «di indiscusso e indiscutibile spessore scientifico e accademico che, per convinzione, per amore di verità e per spirito di servizio, e, dettaglio non irrilevante, pro bono*» (ma con un ritorno mediatico non indifferente, aggiungiamo noi), hanno contribuito al recente tentativo, naufragato nel nulla, di ribaltamento della condanna di Rosa e Olindo, autori della cosiddetta “strage di Erba”.
Durante l’udienza del 27 maggio il prof. Pietrini ha risposto alle domande di avvocati e giudice per più di due ore e mezzo. Il suo ragionamento si è incentrato soprattutto nel tentativo di controbattere le conclusioni della sua controparte, il prof. Alfredo Verde, criminologo dell’Università di Genova e perito del pubblico ministero. Alle articolate deduzioni di Verde, assai insidiose per la sua linea difensiva, ha dunque provato a contrapporre una lettura – dall’alto della sua posizione di dotto, sapiente, autorità, maestro, scienziato di prestigio – tesa a minimizzare, a relativizzare quelle che non sarebbero altro che esuberanze ed eccessi nei comportamenti di operatori e operatrici. I quali si sarebbero ritrovati, loro malgrado, in prima linea nel difficile terreno dell’agire quotidiano in un struttura psichiatrica. Secondo il suo punto di vista dunque, l’uso disinvolto delle parole e le reiterate offese verbali («mangi come un maiale», «sei una fogna a cielo aperto», «levati dai coglioni», «handicappato di merda», agli atti del processo) andavano inserite in un clima informale che era tipico della struttura. «In quel contesto amicale anche il turpiloquio e l’offesa assumeva un altro valore», citiamo direttamente. D’altronde anche sua madre quando era piccolo, ci ha spiegato,se si arrabbiava gli diceva: “se ti prendo ti strozzo”, ma mica pensava davvero di strozzarlo! Ogni cosa, secondo il perito, andrebbe collocata nel giusto spazio. E nella specificità dello spazio informale di Montalto gli insulti di operatrici e operatori sarebbero da intendere come un mero «effetto del linguaggio colorito livornese».
Al di là di un giudizio di merito sulla pretestuosità, sull’interessata dabbenaggine, sulla tronfia altezzosità, supponenza, alterigia e spocchia che trasuda da una constatazione di questo genere, andrebbe segnalato all’Esimio (cosa che il pubblico educatissimo e soprattutto le famiglie, ammutolite di fronte al variegato spettacolo di arroganza al quale sono state costrette ad assistere per due ore e mezzo, hanno evitato di fare) che Montalto di Fauglia si trova in provincia di Pisa, altro che a Livorno.

Fin qui l’introduzione, l’antipasto di quello che si stava preparando.
La parte più dolorosa, soprattutto per i genitori, è arrivata quando lo psichiatra più volte, sollecitato dalle domande degli avvocati, ha voluto precisare che ai ragazzi di Montalto erano state diagnosticate patologie talmente gravi che non si sarebbero nemmeno resi conto delle offese. E, quel che è ancora peggio, ha voluto estendere tale giudizio anche ai maltrattamenti fisici subiti. Anche in questo caso ha parlato di impossibilità di guarigione e di un livello di percezione quasi assente. Quando gli è stato chiesto se un ragazzo che ha subito maltrattamenti fisici (un avvocato gli ha posto l’esempio di un operatore che aveva torto più volte il braccio a un giovane ragazzo con autismo) fosse in condizione di subire questi maltrattamenti senza conseguenze di lungo termine, Pietrini ha affermato di non essere in grado di rispondere. Non sapeva cioè se il ragazzo, in virtù della sua disabilità, fosse stato in grado di percepire il dolore e subirne le conseguenze come qualunque altro essere umano.
Percepivano o non percepivano questi ragazzi il dolore? Per Pietrini non percepivano. Per lui tirare un ragazzo per le orecchie nel refettorio non implicava alcuna volontà lesiva ma solo l’intenzione di fare un gioco mal gestito. Quando l’avvocato gli ha fatto presente che, anche se fosse stato vero che i ragazzi non percepivano il dolore, erano comunque da considerare come soggetti deboli, posti non su un piano di parità, e quindi il gesto violento nei loro confronti sarebbe stato addirittura più grave, il perito ha evitato risposte dirette, limitandosi a definire i maltrattamenti con queste parole: gesti sgradevoli. Ha tenuto a precisare che dai video da lui visionati non è emersa alcuna volontà di fare del male. A suo avviso non si poteva parlare di volontarietà ma di «strumento inadeguato di relazione».

Noi non vorremmo mai ritrovarci nei panni di una persona come Pietrini.
Certo, deve essere stato difficile per lui trovare le parole giuste per portare argomentazioni plausibili a difesa e a discolpa di una manica di sciagurati inquadrati, ripresi e immortalati loro malgrado e a loro insaputa con le mani nella marmellata.
Abbiamo provato per un attimo però a metterci al suo posto.
Difendere l’indifendibile, per un professionista del suo rango, può essere apparsa – chissà – una sfida allettante. Magari ha trovato ancora più interessante il compenso, l’onorario a lui riservato. O magari ha agito, anche qui, “pro bono”, puntando al ritorno mediatico (e al prestigio conseguente) per aver presenziato con un ruolo centrale al “più grande processo per maltrattamenti ai disabili in Italia”**. Eravamo sinceramente curiosi, e glielo abbiamo anche chiesto, assai educatamente come è nostro stile, all’uscita dall’udienza, sulle scale del tribunale. Ma lui non ci ha risposto, e in verità non ci ha nemmeno degnato di uno sguardo: se ne è andato guardando in basso, lasciandoci più di un dubbio.
Non ci stupiamo di quello che abbiamo visto e sentito. Siamo arrabbiate e arrabbiati, questo sì, e abbiamo faticato non poco a trasformare in parole il confuso sentimento di sconcerto e risentimento accumulato in quell’aula. Ma, come collettivo impegnato da ormai venti anni a contrastare gli abusi della psichiatria, sappiamo bene che persone come Pietrini non rappresentano il frutto malato, ma il figlio sano, la diretta conseguenza del fallimento etico, scientifico, epistemologico delle pratiche psichiatriche.
Non conosciamo a fondo le tortuose strade attraverso le quali passa l’emissione di una sentenza. Anzi, per dirla tutta non abbiamo particolare fiducia nelle sentenze di un tribunale. Immaginiamo però che, come deve essere per un ruolo di altissima responsabilità, prima ancora che sentimenti di pietà e comprensione per la sofferenza umana, nella decisione di un giudice debba agire perlomeno il dovuto riguardo per la consequenzialità logica delle parole proferite, il rispetto per i rapporti causa-effetto tra gli eventi, la considerazione per la ragionevolezza delle argomentazioni.
Non il linguaggio della discriminazione, del luogo comune, del pregiudizio.

El sueño de la razón produce monstruos (Francisco Goya)

Invitiamo a partecipare al PRESIDIO in SOLIDARIETÀ alle VITTIME dei MALTRATTAMENTI alla Stella Maris MARTEDÌ 24 GIUGNO ore 10.30 c/o il Tribunale di Pisa in Piazza della Repubblica.

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud

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Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
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      * https://www.penaledp.it/wp-content/uploads/2023/04/ERBA-Final-solo-firma.pdf
      ** https://www.raiplay.it/video/2023/09/Spotlight-Storia-di-Mattia-Il-piu-grande-processo-per-maltrattamenti-ai-disabili-in-Italia-b5372d41-d112-4d88-afee-6545decb78fb.html

PISA martedì 24/6 PRESIDIO di SOLIDARIETÀ – BASTA USO del TAPPETO CONTENITIVO! VERITÀ sui MALTRATTAMENTI alla Stella Maris!

  • June 15, 2025 9:42 pm

MARTEDÌ24 GIUGNO 2025ORE 10:30 c/o il Tribunale di Pisa in Piazza della Repubblica

PRESIDIO di SOLIDARIETÀBASTA ABUSI! BASTA USO del TAPPETO CONTENITIVO!

VERITÀ SULLE VIOLENZE ALLA STELLA MARIS!

SOLIDARIETÀ ALLE VITTIME DEI MALTRATTAMENTI!

COLLETTIVO ANTIPSICHIATRICO ANTONIN ARTAUD

antipsichiatriapisa@inventati.org

MILANO: sabato 21/06 INCONTRO ANTIPSICHIATRICO c/o Villa Occupata

  • June 12, 2025 7:14 pm

MILANO SABATO 21 GIUGNO c/o VILLA OCCUPATA in via A. Litta Modignani 66

MATA EL MADERO INTERIOR

ore 15 “TSO e altre forme di reclusione psichiatrica”

ore 18 “come ho smesso gli psicofarmaci”

con la partecipazione del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artuad

a seguire Pizza nel forno a legna e torneo di scopone scientifico

PISA: martedì 24 giugno PRESIDIO in SOLIDARIETÀ alle VITTIME dei MALTRATTAMENTI alla Stella Maris

  • June 9, 2025 9:22 pm

VERITÀ SULLE VIOLENZE ALLA STELLA MARIS, SOLIDARIETÀ ALLE VITTIME DEI MALTRATTAMENTI ! BASTA ABUSI! BASTA USO del TAPPETO CONTENITIVO!

Martedì 24 giugno 2025 ore 10:30 diciassettesimo presidio sotto il Tribunale di Pisa per una nuova udienza sui maltrattamenti nella struttura di Montalto di Fauglia destinata a ospitare persone autistiche, gestita dalla Fondazione STELLA MARIS. In questa udienza il Pubblico Ministero presenterà la sua relazione.

Nell’estate del 2016, in seguito alla denuncia dei genitori di un giovane, la struttura è stata posta sotto controllo con l’installazione di microcamere e, dopo tre mesi di intercettazioni, la Procura di Pisa ha configurato l’ipotesi di reato per maltrattamenti. Tra gli ospiti Mattia, morto nel 2018 per soffocamento, dovuto probabilmente al prolungato ed eccessivo uso di psicofarmaci. I continui cambi di terapia avevano comportato disfunzionalità e rischi al momento dei pasti di cui la famiglia afferma di non essere mai stata informata. Per questa vicenda vi è un altro procedimento penale, il processo in primo grado si è chiuso con nessuna responsabilità da parte dei medici e della struttura. È iniziato il processo d’Appello presso il Tribunale di Firenze, rinviato addirittura a novembre 2025.

Il processo per maltrattamenti va avanti lentamente da oltre 6 anni: le udienze sono diradate considerando l’elevato numero di testimoni. Si tratta del più grande processo sulla disabilità in Italia. Nel periodo della pandemia è stato ospitato nel Palazzo dei Congressi di Pisa.
Gli imputati sono 15, di cui due dottoresse che gestivano la struttura e il Direttore Sanitario della Stella Maris. Due imputati sono usciti di scena: un operatore che ha patteggiato la pena e il Direttore generale che, dopo il rito abbreviato, è stato condannato a 2 anni e 8 mesi, poi assolto nel processo d’Appello.
I genitori, i tutori e altri testimoni ascoltati hanno riportato le violenze subite dai ragazzi di Montalto e documentate dalle videoregistrazioni che testimoniano gli oltre 280 episodi di violenza in meno di 4 mesi; violenza non episodica ma strutturale. In una delle ultime udienze una delle dottoresse ha dichiarato che a Montalto di Fauglia venivano usati, in caso di crisi, i “tappeti contenitivi” dove il paziente veniva immobilizzato, contenuto e arrotolato.

Come riporta la relazione del consulente tecnico, professor Alfredo Verde: “Leggendo gli atti del presente procedimento abbiamo rinvenuto sicuramente la menzione di una lunga tradizione di abuso e violenza da parte degli operatori, radicata negli anni, e in parte tollerata, in parte ignorata della direzione delle strutture”. E ancora: “In queste situazioni si sviluppano degenerazioni in cui la violenza e la sopraffazione divengono strumenti usati ogni giorno, e l’istituzione perde le sue caratteristiche terapeutiche per divenire un luogo meramente coercitivo e afflittivo. Il comportamento degli operatori è apparso tipico delle istituzioni totali”.

Per questi motivi e per ricordare le vittime degli abusi psichiatrici che ancora vengono perpetrati ai danni di persone private della libertà personale non in grado di difendersi da sole, è un dovere seguire le vicende del processo nell’interesse di tutte/i.
Partecipiamo al PRESIDIO in SOLIDARIETÀ alle VITTIME MARTEDÌ 24 GIUGNO ore 10.30 c/o il Tribunale di Pisa in Piazza della Repubblica.

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
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CAMPAGNA “DATE I NUMERI” sulle CONTENZIONI in Toscana

  • May 31, 2025 6:59 pm


CAMPAGNA “DATE I NUMERI” sulle CONTENZIONI in Toscana
Nel 95% dei 329 reparti psichiatrici ospedalieri legare i pazienti è ancora un’attività abituale. In Italia continuano a essere legati a un letto anche i minorenni. Secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità la contenzione meccanica provoca danni fisici e psicologici. Ogni reparto dovrebbe custodire un registro delle contenzioni meccaniche. Ma a oggi non è possibile una raccolta completa delle statistiche. A un monitoraggio del 2024 quasi metà delle regioni non ha risposto o ha comunicato di non detenere dati sulle contenzione meccanica a livello regionale.

Tra queste, la Regione Toscana.

EPPURE
– nel 2010 la conferenza delle regioni ha raccomandato di «monitorare a livello regionale il fenomeno delle contenzione attraverso la raccolta sistematica di dati di qualità tale da consentire di predisporre azioni migliorative».
– Nel 2022 l’intesa tra Stato, Regioni e Province autonome si è posto l’obiettivo di superare la contenzione meccanica entro il 2023; ha stanziato 60 milioni di euro destinati, tra l’altro, a «conoscere e monitorare la contenzione».

DATE I NUMERI!
Quanto si lega nei reparti psichiatrici? Per quante ore? O giorni? O settimane? Quanti adulti vengono legati? Quanti bambini?
Chiunque deve sapere cosa succede nell’inferno dei reparti psichiatrici.
Affinché questa pratica disumana venga abolita!

Per Francesco Mastrogiovanni, Elena Casetto, Wissem Abdel Latif e tanti altri.
Morti perché legati in un reparto psichiatrico.


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