Archives for September, 2015
BERGAMO 03/10 presentazione di ELETTROSHOCK c/o Kascina Popolare Autogestita
BERGAMO SABATO 3 OTTOBRE
c/o Kascina Popolare Autogestita in via Ponchia 8, zona Monterosso
alle ore 18 dibattito
”Cambiare tutto per non cambiare niente: due giornate di dibattito
aperto sull’attualità psichiatrica italiana, fra vecchie e nuove forme
di manicomio” e presentazione del libro
“ELETTROSHOCK. La storia delle terapie elettroconvulsive e i racconti di chi le ha vissute.”
a cura del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud,
ed. Sensibili alle Foglie.
Alle ore 20:30 Cena benefit Underground
Dopo cena proiezione video “Pietro” di A.Valente una lucida testimonianza sull’elettroshock
per info:
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org
FIRENZE: VEN 2/10 presentazione di ELETTROSHOCK c/o Vetrina dell’Editoria Anarchica e Libertaria
FIRENZE VENERDI’ 2 OTTOBRE
c/o 7° Vetrina dell’ Editoria Anarchica e Libertaria
al Teatro ObiHall in via Fabrizio de Andrè
(angolo Lungarno A.Moro)
programma 7° vetrina editoria FI
alle ore 17:40 presentazione del libro:
“ELETTROSHOCK. La storia delle terapie elettroconvulsive e i racconti di chi le ha vissute.”
a cura del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud, ed. Sensibili alle Foglie.
Per info sulla 3 giorni:
vetrinalibertaria@inventati.org
per info sul libro:
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org
CALENDARIO PRESENTAZIONI ELETTROSHOCK nel mese di OTTOBRE
CALENDARIO PRESENTAZIONI nel MESE di OTTOBRE 2015 di
“ELETTROSHOCK” La storia delle terapie elettroconvulsive e i racconti di chi le ha vissute.”
a cura del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
Edizioni Sensibili Alle Foglie.
FIRENZE VENERDI’ 2 OTTOBRE
c/o 7° Vetrina dell’ Editoria Anarchica e Libertaria
al Teatro ObiHall in via Fabrizio de Andrè
(angolo Lungarno A.Moro)
alle ore 17:40 presentazione del libro
Per info sulla 3 giorni:
vetrinalibertaria@inventati.org
BERGAMO SABATO 3 OTTOBRE
c/o Kascina Popolare Autogestita in via Ponchia 8, zona Monterosso
alle ore 18 dibattito
”Cambiare tutto per non cambiare niente: due giornate di dibattito
aperto sull’attualità psichiatrica italiana, fra vecchie e nuove forme
di manicomio”
intervengono sulla chiusura dei manicomi criminali e l’istituzione delle REMS
(residenze esecuzione misure sicurezza)
il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud di Pisa e Piero Cipriano psichiatra presso un SPDC di Roma
Alle ore 20:30 Cena benefit Underground
Dopo cena proiezione video “Pietro” di A.Valente una lucida testimonianza sull’elettroshock
e a seguire presentazione dei libri:
“ELETTROSHOCK. La storia delle terapie elettroconvulsive e i racconti di chi le ha vissute.”
a cura del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud, ed. Sensibili alle Foglie.
“Il Manicomio Chimico. Cronache di uno psichiatra riluttante” di P. Cipriano Ed.Eleuthera
VENEZIA VENERDI’ 23 OTTOBRE
c/o EX-Ospizio Contarini Occupato zona Santa Marta
alle ore 21 Presentazione del libro
PADOVA SABATO 24 OTTOBRE
c/o MARZOLO OCCUPATA via Marzolo 4 quartiere Portello
alle ore 18 Presentazione del libro
per info:
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org
a Pisa SAB 26/09 LAB d’ASCOLTO PROFONDO ore 18
il LABORATORIO d’ASCOLTO PROFONDO CI SARA’ SABATO 26 SETTEMBRE
dalle ore 18 alle ore 20
in via S. Lorenzo n° 38 c/o sede Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
Il gruppo di ascolto segue il metodo biosistemico ad approccio integrato ed è condotto da Anna
“La collaborazione reciproca aiuta l’altro ad aiutare sé stesso”
“Ascoltare il torrente di parole che è in noi per percorrere nuove strategie di cambiamento”
“L’etica dell’auto-aiuto si muove in un’ottica di relazioni orizzontali in cui più persone affrontano gli stessi problemi”
per info e contatti:
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38 56100 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org / 335 7002669
TORINO: sab 26/09 CORTEO CONTRO SGOMBERI e MANICOMI
Torino Sabato 26 dalle 15 in Piazza XVIII dicembre
CORTEO contro sgomberi e manicomi
NE’ MANICOMI! NE’ PSICHIATRIA!
DIFENDIAMO IL BAROCCHIO SQUAT
Il Barocchio squat, storica occupazione torinese che 24 anni fa ha strappato al degrado e all’abbandono un’antica cappella e una cascina nel comune di Grugliasco per renderla un’officina di pratiche libertarie, di autogestione e di condivisione, è a rischio di sgombero. Secondo infatti un progetto della Regione, accolto dall’ASL TO3 e dal comune di Grugliasco, la Comunità psichiatrica omonima e ad esso adiacente sarà trasformata in REMS (Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza), e tutta l’area limitrofa sarà bonificata in funzione del nuovo carcere psichiatrico. La legge n. 81/2014 che ha sancito la chiusura degli OPG (Ospedali psichiatrici giudiziari) dal 31 marzo di quest’anno prevede proprio che questi vengano superati dalle REMS, ossia dei miniOPG (max 20 posti letto) in ogni regione affidati a personale sanitario. Non solo ad oggi i 6 OPG (Castiglione delle Stiviere,Reggio Emilia, Montelupo fiorentino, Napoli, Aversa e Barcellona Pozzo di Gotto), teatro per anni di torture ed abusi di ogni genere, sono ancora aperti, ma si procede con l’apertura di nuovi manicomi criminali, magari più accoglienti, come se il manicomio fosse un luogo e non un concetto, quello del “folle” incurabile, pericoloso e irresponsabile da isolare dalla società e da rinchiudere per sempre. Tale focalizzazione sul soggetto che compie il reato, più che sul reato stesso, ha una diretta discendenza dal positivismo e dalle teorie di Cesare Lombroso, e diversi esempi nel corso della nostra storia, dai lager nazisti, ai moderni CIE, campi rom e misure di sorveglianza speciale.
Il concetto di pericolosità sociale, alla base di queste istituzioni, è uno strumento di repressione, segregazione ed eliminazione, volto da sempre a preservare il potere e la comunità da comportamenti deviati, non conformi e antagonisti. Se di riforma dei manicomi criminali si può parlare, così come negli anni dei manicomi “classici” e del sistema penitenziario, questa si inscrive in un programma sociale che il potere sta attuando sul territorio finalizzato ad un capillare controllo e ad una maggiore repressione, per il quale si serve – come da sempre nella storia – della psichiatria e del manicomio, e di una loro diffusione, grazie anche all’ausilio della moderna psicofarmacologia.
Rems, comunità terapeutiche, cliniche psichiatriche, case-famiglia, repartini sono i “nuovi” luoghi della psichiatria, dove continuano a perpetrarsi lo stesso concetto di “malattia mentale”, le stesse cure e trattamenti, e le stesse pratiche coercitive. E ad essi si aggiungono i CIE, in cui gli psicofarmaci sono addirittura nascosti nel cibo, al fine di controllare chimicamente i reclusi per ragioni di sicurezza; le carceri, all’interno delle quali vengono somministrati ansiolitici, sedativi e tranquillanti in maniera massiccia, e che vengono dotati di reparti di osservazione psichiatrica; le scuole, attraverso test e screening per individuare preventivamente la “malattia” e indirizzare le famiglie verso una tempestiva “cura”. La psichiatria infatti attraverso le sue diagnosi dice di “curare” i comportamenti “anormali”, e, sulla base di un pregiudizio e di un parere del tutto arbitrario sul modo di pensare e di agire delle persone, ha la possibilità, attraverso l’obbligo delle cure e i TSO (trattamenti sanitari obbligatori), di sequestrare, rinchiudere e torturare le persone. A volte anche di ucciderle, come è successo ad Andrea Soldi, colpevole di non aver voluto sottoporsi alla mensile iniezione a lento rilascio di haldol – un potente e dannoso neurolettico, che provoca dipendenza e gravi effetti collaterali -, e di aver quindi preso una libera scelta su come volersi curare per stare meglio, e per questo brutalmente strangolato dalla squadra mobile dei vigili urbani il 5 agosto su una panchina di Piazzale Umbria, a cui si era aggrappato per sfuggire all’ennesima cattura e violenza farmacologica.
Come possono i comportamenti delle persone, siano essi “anormali” e non comprensibili, così come il dolore e la sofferenza, essere giudicati “malattia”? Cosa differisce la “follia” dalla “normalità”, se “normale” è uccidere delle persone o drogare dei bambini? Come può essere considerata “cura”, riabilitazione e reinserimento sociale, ciò che avviene in maniera coercitiva, senza il consenso, la volontà e la libertà degli individui?
Vogliamo difendere il Barocchio Squat e gli spazi liberati, liberi e autogestiti
Vogliamo liberarci dalla psichiatria, creando spazi relazionali di condivisione di pensieri ed esperienze tutte, di crisi, conflitti e difficoltà, affinché le persone possano vivere, relazionarsi e confrontarsi liberamente, e si possa diffondere una cultura di libertà, solidarietà e valorizzazione delle differenze.
Siamo tutt* socialmente pericolos*
Assemblea antipsichiatrica riunitasi il 12 settembre 2015 al Barocchio Squat
MARTEDì 22 SETTEMBRE è APERTO lo SPORTELLO d’ASCOLTO ANTIPSICHIATRICO
MARTEDI’22 SETTEMBRE 2015
E’ APERTO lo SPORTELLO d’ASCOLTO ANTIPSICHIATRICO
in via San Lorenzo 38 a Pisa dalle ore 15:30 alle 18:30
sarà presente il collettivo Artaud e la dottoressa Chiara Uderzo, medico neurologo nutrizionista.
per chiunque abbia bisogno di informazioni e/o consigli medici sugli psicofarmaci, i TSO e sulla psichiatria in generale.
per info e contatti:
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38 56100 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org / 335 7002669
LA VILLA DEI SORRISI
riceviamo e , su richiesta dell’autore, volentieri pubblichiamo un racconto autobiografico sulla sua esperienza con l’elettroshock.
La villa dei sorrisi
Via delle Immacolatine 28, questo indirizzo non l’ho più dimenticato. Nel 1983 conseguii la maturità classica. Quasi tutti i compagni di classe ottennero il massimo, i più avevano il merito di essere figli di professionisti molto influenti e di essere bene raccomandati. I miei mi vollero raccomandare con l’insegnante di matematica e io accettai anche se ero poco convinto del suo intervento a mio favore. Era molto brutta e un po’ nevrotica, la imitavo per fare ridere i compagni e per sfogare la mia insofferenza per la scuola. Da come mi guardava ero sicuro che lei sapeva della presa in giro. Accettai la spintarella malgrado lo scetticismo e nonostante fossi molto idealista. Avevo fatto un mare di assenze e a casa avevo studiato poco, anzi per niente, temevo di non superare l’esame. Leggevo di tutto tranne i libri di scuola. Conoscevo Claude Levi Strauss, Freud, Lacan, De Saussure, Roman Jakobson e tanti altri studiosi. Mi piaceva molto lo strutturalismo anche se mi fu a lungo d’ostacolo sul piano dell’azione in quanto nega la libertà dell’individuo. All’università diedi per prima una materia complementare, sociologia delle comunicazioni. Quando sostenni l’esame portai dei libri di etnologia che non erano richiesti, il professore mi chiese perché lo avessi fatto e io mi trovai in difficoltà, una studentessa rise ma presto mutò espressione. Fui congedato con il massimo e ricevetti i complimenti dell’esaminatore. Il professore Carzo mi fece domande che non erano comprese nel piano di studio e io risposi a tutte in maniera soddisfacente. La prova si trasformò in una piacevole conversazione. Alla fine, considerato che avevo con me “Il totemismo oggi”, mi chiese dove si collocano le strutture secondo Levi Strauss e io indicai con il dito il cervello. Scrisse su un foglio che avevo sostenuto l’esame con 30 e lo firmò, mi spiegò che non poteva scriverlo sul libretto se prima non avessi superato la materia fondamentale che era sociologia generale. Superai anche quest’ultima con un ottimo voto ma non andai a convalidare la precedente materia. Decisi di non proseguire dopo che fui bocciato in filosofia della politica. Avrei dovuto parlare di un libro che non mi piaceva e di un secondo che avevo solo sfogliato. Il primo trattava del potere in una forma troppo astratta sulla falsariga della moda strutturalista. Ad esempio: “il potere tende al suo mantenimento e alla sua riproduzione”. Scrissi una critica ma non potei parlarne con l’autore del libro, titolare della cattedra, che era una persona molto cordiale e comprensiva. Egli portò con se in un’altra stanza i primi tre studenti per interrogarli e lasciò il quarto che ero io nelle mani degli assistenti che mi respinsero. Fu la prima bocciatura e mi pesò molto, a scuola non ero mai stato bocciato, né rimandato. Un’altra ragione che mi fece rinunciare agli studi universitari fu l’incontro con la madre di un mio ex compagno di scuola che non riusciva a dare nessuna materia all’università. Seppe che io in poco tempo ne avevo date due e si complimentò falsamente con me. Il marito era medico, aveva inculcato ai figli fin da bambini quello che avrebbero dovuto fare da grandi. Il più grande avrebbe dovuto proseguire la sua professione, l’altro, il mio compagno, sarebbe dovuto diventare giudice come lo zio. Il pensiero dell’ambizione, il rigetto dei valori borghesi, il rifiuto della burocrazia universitaria che si sostanziava nella mia difficoltà di aggettivare il rettore come magnifico quando dovevo compilare i moduli, mi indussero ad abbandonare la facoltà di scienze politiche di Messina. Ero innamorato di una ragazza che abitava al piano di sopra. Era molto bella e veniva spesso con la madre a casa mia. Passavamo molto tempo insieme, parlavamo, guardavamo la televisione abbracciati o giravamo in moto. Non le avevo mai confessato il mio amore perché ero convinto di non piacerle. Ero molto geloso, ogni tanto aveva dei fidanzati e questo mi indispettiva, al punto che una volta la trattai male e la offesi senza che avesse alcuna colpa. Lei pianse a dirotto, mi porto ancora dentro il rimorso. A distanza di molti anni ci rivedemmo e le confessai che ero stato innamorato di lei, mi rivelò che anche lei mi aveva amato. Un altro episodio di cui porto ancora il peso è quando mi vergognai per un istante di mio padre che zoppicava a causa di un ictus. Mentre camminavo con lui affrettai il passo, mio padre se ne accorse e sorrise dolcemente. Essendo un po’ robusto, decisi di dimagrire e lo feci di testa mia, diminuii il cibo fino a eliminarlo del tutto, mi disgustava. Dormivo pochissimo ed ero euforico. Trascorsi diversi giorni di insonnia, mi accorsi che stavo per crollare e che quella notte avrei dovuto riposare. Rinunciai stupidamente per aiutare un caro amico a incollare i manifesti elettorali del padre, una persona molto mediocre come la quasi totalità dei politici italiani dal 1861 a oggi. Persi la ragione e qualche giorno dopo mi ritrovarono sdraiato su una panchina nei pressi della stazione, ero quasi uno scheletro, molto agitato e logorroico. All’ospedale di Reggio Calabria mi dimisero senza curarmi. Mia madre, su consiglio del medico di famiglia, mi fece ricoverare a Roma nella clinica Villa dei sorrisi in via delle Immacolatine 28. Lì mi legarono al letto di contenzione per due o tre giorni e mi fecero delle flebo mettendomi un po’ in sesto. Mi trovavo al piano basso della clinica dove erano i malati più gravi. Insieme a me si ricoverò mio padre per curare l’ictus e dei disturbi di cui aveva sempre sofferto senza rendersi conto. Non l’avevo mai visto così sereno, la sua vicinanza mi confortò molto. Il giorno uscivamo insieme nel cortile alberato e sedevamo su una panchina. C’erano pazienti che gridavano e si lamentavano, altri erano silenziosi, avevano gli occhi persi nel vuoto e i movimenti rallentati, ma io ero felice di essere accanto a mio padre e conservo preziosamente il ricordo di quei momenti che precedettero di pochi mesi la sua scomparsa. Il primario proprietario della clinica mi visitò e diagnosticò che l’anoressia era stata causata da una depressione atipica. Dopo qualche giorno fu ricoverata al mio posto una bella ragazza, gridava come un’ossessa, chiedeva di essere liberata dalle cinghie, voleva andarsene. Chiesi a un infermiere cosa avesse, mi rispose che era drogata. Restammo soli per qualche minuto prima di darci il cambio e mi disse di baciarla. Le chiesi ingenuamente dove. “Dove vuoi”, mi rispose. Mi chinai sul letto e la baciai sulle labbra. Mi trasferirono ai piani superiori, intanto mio padre venne dimesso. Il pomeriggio, fino a sera, ci si riuniva in un salone al piano terra dove c’era un juke box. La canzone che preferivo era “Smoke gets in your eyes” di Celentano, esprimeva bene la tristezza che mi pervadeva. Rividi la ragazza che avevo baciata, ma non sembrava affatto interessata a me. La sera dopo si avvicinarono lei e una sua amica che era più socievole. L’amica mi chiese se mi piaceva il caffè, e se, considerato il buon trattamento che mi riservava il primario, avessi potuto chiedere in direzione l’autorizzazione per fare portare dei caffè dal bar vicino. Io intuì dal suo imbarazzo che più che al caffè era interessata alle bustine di zucchero quindi rifiutai. Dopo qualche insistenza desistette e si rivolse a un anziano parente di un ricoverato che la accontentò con gentilezza. Arrivò nel salone il cameriere, le due presero i caffè con le bustine e corsero in bagno. Rientrarono nel salone ridendo senza riuscire a smettere. L’anziano signore si arrabbiò molto, gridò loro che lo avrebbe riferito al professore, che lo avevano ingannato e messo a rischio, capì anche che si erano rivolte prima a me e che non avevo dato loro retta. Assistetti in silenzio alla scena soddisfatto per il mio intuito. Al mattino mi annunciarono che mi avrebbero sottoposto alla “cura”. Sentii dal corridoio il rumore di un carrello. Poco dopo entrò l’anestesista in compagnia di due infermieri. Mi legò al braccio il laccio emostatico, riempì la siringa e mi iniettò l’anestetico. Mi svegliai un po’ confuso, mi accorsi che sulla fronte avevo una piccola ferita e alcuni capelli bruciacchiati. Pensai subito all’elettroshock, quel trattamento che la mia enciclopedia definiva crudele e inumano, ma per paura non chiesi di cosa si trattava. Ebbi la conferma da un paziente, a mia volta rivelai ad altri pazienti in che cosa consisteva la cura. Un giovane si agitò molto quando apprese la notizia e protestò ad alta voce nel corridoio. Fui rimproverato e invitato a non pronunciare la parola elettroshock. Malgrado odiassi sottopormi a questa pratica, ogni quindici giorni prendevo il treno per Roma. Avevo paura che se mi fossi rifiutato mia madre sarebbe ricorsa al ricovero coatto in quanto nutriva molta fiducia in quella clinica. Viaggiavo di notte e al mattino mi affrettavo a prendere il taxi alla stazione per arrivare puntuale. Una volta un tassista, per speculare, finse di non trovare la strada, si lagnava per un mutuo che doveva pagare. Arrivai tardissimo e mi dissero che non potevano sottopormi al trattamento, poi riuscirono ad eseguirlo. Quando sentivo il rumore del carrello che si avvicinava avevo paura, pensavo al mio corpo esanime che sarebbe stato prelevato dal letto come un sacco di patate e trasportato in una stanza che non conoscevo. Mi chiedevo se mi fossi svegliato in quella stanza mentre avevo gli elettrodi sulle tempie o se non mi fossi più svegliato come era successo un mattino molto concitato a un paziente. Un giorno decisi di disobbedire e di interrompere la cura. Mia madre, con l’aiuto di mio fratello, mi costrinse a partire. A Roma mi rifiutai di scendere dal treno e mio fratello chiamò la polizia ferroviaria. Io lo seppi dopo, non ricordo quasi nulla di quell’episodio. L’elettroshock ti fa scordare tutto, dimentichi le cose brutte, ma anche quelle belle. Ho fatto fatica a riprendere i miei studi e a lavorare. Il pensiero che ogni quindici giorni avrei dovuto affrontare quella Via Crucis era molto deprimente. Dopo tre anni anni di calvario trovai il coraggio di dire al primario che mi ero stancato e lui mi rispose che sicuramente ero guarito, perché mi considerava molto intelligente e capace di stabilire se avevo bisogno o meno del trattamento, supponeva che non mi ero lamentato prima perché mi rendevo conto di averne necessità. Avevo voglia di dirgli che era un idiota. Quando seppe che ero stato assunto in ferrovia, durante le visite mattutine, entrava in stanza e mi chiedeva: “Come sta il nostro ferroviere?” e imitava il fischio del treno. Quella scena mi dava molto fastidio, la sentivo poco rispettosa. Ho capito così che bisogna entrare in punta di piedi nella stanza di una persona che soffre. Le ultime volte che mi trovai in clinica, accanto al primario c’era il figlio, che era circa della mia stessa età, e una dottoressa. Diedi al giovane luminare del tu, un po’ per il gusto della provocazione, un po’ per saggiare come erano fatti, anche se non mi facevo illusioni. Si guardarono imbarazzati e scandalizzati, borbottarono qualcosa. La volta successiva lo chiamai professore e lui disse: “Così va meglio”.
Giuseppe Gangemi
MARTEDI’ 8 SETTEMBRE RIAPRE lo SPORTELLO d’ASCOLTO ANTIPSICHIATRICO
MARTEDI’ 8 SETTEMBRE 2015
E’ APERTO lo SPORTELLO d’ASCOLTO ANTIPSICHIATRICO
in via San Lorenzo 38 a Pisa dalle ore 15:30 alle 18:30
sarà presente il collettivo Artaud e la dottoressa Chiara Uderzo, medico neurologo nutrizionista.
per chiunque abbia bisogno di informazioni e/o consigli medici sugli psicofarmaci, i TSO e sulla psichiatria in generale.
per info e contatti:
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38 56100 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org / 335 7002669