TSO: uno strumento di controllo

  • June 1, 2008 8:12 pm
La riforma del sistema psichiatrico italiano, che, con la legge 180 del 1978, ha visto l’abolizione dei Manicomi, si è rivelata più verbale che materiale, riguardando solo i luoghi della psichiatria, non i trattamenti e le logiche sottostanti.
Con la chiusura degli Ospedali Psichiatrici si è verificata una trasformazione che ha visto sorgere tutta una serie di piccole strutture preposte all’accoglienza dei vecchi e nuovi utenti della psichiatria, quali case famiglia, Centri di Salute Mentale (CSM), centri diurni, reparti ospedalieri, comunità terapeutiche, ecc, all’interno dei quali continuano a perpetuarsi sia l’etichetta di “malato mentale” sia i metodi coercitivi e violenti della psichiatria. Si sono conservati dispositivi e strumenti propri dei manicomi, quali la gestione del tempo quotidiano, dei soldi, l’obbligo delle cure e il ricorso alla contenzione fisica.
La legge Basaglia non ha intaccato il fenomeno dell’internamento, mantenendo inalterato il principio di manicomialità in base al quale chiunque può essere arbitrariamente etichettato come “malato mentale” e rinchiuso. Mentre l’articolo 32 della Costituzione sancisce il diritto alla libera scelta del luogo di cura e la volontarietà delle cure mediche, con la legge 180 e la successiva 833 si sono stabiliti dei casi in cui il ricovero può essere effettuato indipendentemente dalla volontà dell’individuo: è il caso del TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) e dell’ASO (Accertamento Sanitario Obbligatorio).
Nel 1982 la popolazione dei degenti psichiatrici era calcolata intorno ai 24.118 persone. Nel 1914 tale cifra raggiunse i 54.311 individui, per impennare ancora toccando, nel 1934, gli 80.000 internati. Su queste stime si mantenne fino al 1971, anno in cui cominciò a decrescere gradualmente fino a raggiungere nel 1978 i 54.000 internati, con un movimento annuo di ricoverati che ammontava a circa 190.000 persone. Nel 1978 esistevano in Italia un centinaio di istituti (Ospedali Psichiatrici Provinciali) con una capacità di circa 80.000 posti letto.
Oggi il numero degli internati nel sistema post-manicomiale è difficilmente calcolabile perché con l’introduzione del TSO il flusso in entrata ed in uscita dai reparti nell’arco dell’anno si è fortemente accelerato, mentre la diffusione dei trattamenti psichiatrici extra-ospedalieri è enorme e riguarda ormai più di 600.000 persone.
Il regime terapeutico imposto dal TSO ha una durata di 7 giorni e può essere effettuato solo all’interno di reparti psichiatrici di ospedali pubblici. Deve essere disposto con provvedimento del Sindaco del Comune di residenza su proposta motivata da un medico e convalidata da uno psichiatra operante nella struttura sanitaria pubblica. Dopo aver firmato la richiesta di TSO, il Sindaco deve inviare il provvedimento e le certificazioni mediche al Giudice Tutelare operante sul territorio il quale deve notificare il provvedimento e decidere se convalidarlo o meno entro 48 ore. Lo stesso procedimento deve essere seguito nel caso in cui il TSO sia rinnovato oltre i 7 giorni.
La legge stabilisce che il ricovero coatto può essere eseguito solo se sussistono contemporaneamente tre condizioni: l’individuo presenta alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, l’individuo rifiuta la terapia psichiatrica, l’individuo non può essere assistito in altro modo rispetto al ricovero ospedaliero. Subito ci troviamo di fronte ad un problema: chi determina lo “stato di necessità” e l’urgenza dell’intervento terapeutico? E, in che modo si dimostra che il ricovero ospedaliero è l’unica soluzione possibile? Risulta evidente che le condizioni di attuazione di un TSO rimandano, di fatto, al giudizio esclusivo ed arbitrario di uno psichiatra, giudizio al quale il Sindaco, che dovrebbe insieme al Giudice Tutelare agire da garante del paziente, di norma non si oppone.
Per la persona coinvolta l’unica possibilità di sottrarsi al TSO sta nell’accettazione della terapia al fine di far decadere una delle tre condizioni, ma è frequente che il provvedimento sia mantenuto anche se il paziente non rifiuta la terapia.
Se, in teoria, la legge prevede il ricovero coatto solo in casi limitati e dietro il rispetto rigoroso di alcune condizioni, la realtà testimoniata da chi la psichiatria la subisce è ben diversa. Con grande facilità le procedure giuridiche e mediche vengono aggirate: nella maggior parte dei casi i ricoveri coatti sono eseguiti senza rispettare le norme che li regolano e seguono il loro corso semplicemente per il fatto che quasi nessuno è a conoscenza delle normative e dei diritti del ricoverato.
Spesso il paziente non viene informato di poter lasciare il reparto dopo lo scadere dei sette giorni ed è trattenuto inconsapevolmente in regime di TSV (Trattamento Sanitario Volontario). Persone che si recano in reparto in regime di TSV sono poi trattenute in TSO al momento in cui richiedono di andarsene. Diffusa è la pratica di far passare, tramite pressioni e ricatti, quelli che sarebbero ricoveri obbligati per ricoveri volontari: si spinge cioè l’individuo a ricoverarsi volontariamente minacciandolo di intervenire altrimenti con un TSO. La funzione dell’ASO è generalmente quella di portare la persona in reparto, dove sarà poi trattenuta in regime di TSV o TSO secondo la propria accondiscendenza agli psichiatri. Esemplificativa la vicenda di M. R., condotto al CSM di Livorno per un ASO il 30 Gennaio 2008: M. in quella occasione accettò il ricovero volontario per non incorrere in un TSO, ma il 6 Febbraio, alla sua richiesta di uscire, gli venne notificato un TSO che lo costrinse a rimanere in reparto per altre due settimane.
L’obbligo di cura oggi non si limita più alla reclusione in una struttura, ma si trasforma nell’impossibilità effettiva di modificare o sospendere il trattamento psichiatrico per la costante minaccia di ricorso al ricovero coatto cui ci si avvale alla stregua di strumento di oppressione e punizione.
L’attuale situazione è frutto non solo del potere psichiatrico e della totale mancanza di informazioni in merito all’istituzione psichiatrica, ma anche delle pressioni e intimidazioni più o meno dirette che le persone finiscono per subire in ambito familiare e sociale.
Un altro dato non può essere tralasciato: il grado di spersonalizzazione ed alienazione che si raggiunge durante una settimana di TSO ha pochi eguali. Il ricovero coatto rimane un atto di violenza e rappresenta un grande trauma per chi lo subisce. Insieme al bombardamento farmacologico che mira ad annullare la coscienza di sé della persona e a renderla docile ai ritmi e alle regole ospedaliere, per i pazienti considerati “agitati” si ricorre ancora all’isolamento e alla contenzione fisica. Riprovevole la vicenda del Giugno 2006 che vide G. Casu, un venditore ambulante ricoverato in TSO a Cagliari, morire dopo sette giorni di contenzione fisica e farmacologia. A seguito di questo tragico episodio il primario del reparto è stato sospeso dall’incarico e rinviato a giudizio per omicidio colposo insieme ad una collega psichiatra.
Purtroppo i casi di morte in TSO non sono pochi. Volendone citare alcuni ricordiamo E. Idehen, morto nel Maggio 2007 a Bologna: l’uomo si era sottoposto volontariamente alle cure, ma alla richiesta di andare a casa i medici decisero per il TSO facendo intervenire la polizia alle sue insistenze; la versione ufficiale sul decesso parla di una crisi cardiaca avvenuta mentre infermieri e poliziotti tentavano di portare l’uomo nel letto di contenzione. Nel Giugno 2007 a Empoli segue la morte per arresto cardiocircolatorio di Roberto Melino, un ragazzo di 24 anni: il giovane era entrato in reparto in TSV, tramutato, come nel caso precedente, in TSO alla richiesta di andare a casa; resta da chiarire se il decesso sia avvenuto per cause naturali o in seguito alla somministrazione di qualche farmaco.


Collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud Pisa

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