Pillole di antipsichiatria, riflessioni su una storia vissuta

  • February 3, 2008 7:42 pm

Ho
vissuto un’esperienza di sofferenza interiore e di psichiatria e ne
sono uscita.

Rivolgermi
alla psichiatria è stato il mio più grande errore: sono
stata danneggiata fisicamente e la mia vita è stata quasi
rovinata e ora faccio parte di un collettivo antipsichiatrico per
informare le persone su quello che realmente fa la psichiatria,
affinché possano evitare di subire abusi come quello che ho
subito io.
Io non posso dare una formula per stare bene ma posso
raccontare la mia esperienza, come io ne sono uscita e le mie
riflessioni. Non voglio neanche dire che quello che penso sia la
verità, perché questo è appunto il mio pensiero
personale.

In
un momento di "depressione" mi sono rivolta ad uno
psichiatra per risolvere le mie sofferenze, ma ogni farmaco che
assumevo peggiorava la mia situazione. Quando assumevo Risperdal
vedevo tutto nero, stavo malissimo interiormente, non riuscivo
neanche più ad alzarmi dal letto, i miei sensi erano
intorpiditi, piangevo continuamente. Inoltre mi sentivo anche male
fisicamente e svenivo spesso. Ho conosciuto anche altre persone che
mi hanno confermato di avere avuto gli stessi sintomi provocati dal
Rispedal. Anche l’Anafranil non ha fatto altro che rendermi confusa.

A
causa di queste "cure" ho anche sviluppato un disturbo
fisico irreversibile.
Dalla psichiatria sono stata solo
danneggiata. Stavo sempre peggio e dopo circa 1 anno di "cure"
ero arrivata alla convinzione che oramai non sarei mai più
stata bene, che la mia vita sarebbe stata per sempre una sofferenza
continua. Ma non era così.
Innanzitutto le emozioni, i
pensieri e i comportamenti non sono malattie e quindi non possono
essere curate con i farmaci, che sono semplicemente sostanze
psicoattive come le droghe e non possono fare altro se non sopprimere
alcuni sintomi.

In
psichiatria sintomi e comportamenti sono definiti malattie solo sulla
base che questi non corrispondono a ciò che è
socialmente accettato o comunque considerato nella media. I sintomi e
i comportamenti, a prescindere dal fatto che siano considerati giusti
o sbagliati, possono avere cause molto diverse fra loro. La
psichiatria non ha nessuna prova del fatto che chi si comporta in
modo diverso dagli altri presenti alterazioni del cervello.
La
preoccupazione principale della psichiatria non è neanche
alleviare i sintomi e le sofferenze, ma rendere le manifestazioni di
queste sofferenze socialmente accettabili.

Spesso
la situazione viene peggiorata dai farmaci perché sotto
l’effetto di questi diminuisce la
capacità del soggetto di
avere una visione chiara della realtà circostante e quindi
anche la capacità di agire in maniera adeguata per risolvere i
problemi che sono la causa reale della sofferenza interiore.
A
causa di questo mi sono trovata completamente isolata e non volevo
più uscire di casa. Sono cambiata in seguito all’assunzione di
farmaci, ero come drogata, così la mia famiglia non mi
comprendeva più, il mio compagno non mi comprendeva più.
Ero totalmente sola perché nessuno mi poteva capire. Ero
convinta che la mia vita fosse finita.

Mi
sono ripresa solamente dopo che ho compreso affondo cosa è la
psichiatria.
Allora ho scalato i farmaci, ma non perché
ormai stavo bene: solo perché ho capito che continuando a
prenderli sarei stata ancora peggio. Inoltre, se tanto dovevo
continuare soffrire, questo potevo farlo benissimo senza farmaci. Era
un illusione continuare a credere che gli psicofarmaci avrebbero
alleviato le mie pene. Era un illusione anche pensare che uno
psichiatra o uno psicologo potessero aiutarmi. Questa gente non può
aiutare nessuno perché attraverso la diagnosi considerano i
pensieri e comportamenti come frutto di processi patologici, non si
preoccupano di conoscere la persona e di capirla, né di
ascoltarla, perché la giudicano irrazionale. Come si fa ad
aiutare una persona se ci si rifiuta di vederla com’è?

La
diagnosi è un pregiudizio e dal quel momento ogni pensiero e
ogni comportamento è considerato sintomo di malattia.

Poi,
in fondo, ho anche capito che nessuno poteva aiutarmi perché
nessuno poteva essere nella mia pelle, nessuno poteva sentire quello
che io sentivo, conoscermi meglio di me stessa e comprendere
dall’esterno le mie motivazioni reali. In fin dei conti l’essermi
rivolta alla psichiatria era stata una rinuncia alla mia
responsabilità sulla mia vita, mi aspettavo che fosse un
altro, un "esperto" a risolvere la mia sofferenza, e questo
in un certo senso mi sollevava dalla fatica e dalla responsabilità
di essere io stessa in prima persona ad impegnarmi per migliorare la
mia vita. Sono stata meglio solo quando ho ripreso in mano la mia
vita, quando ho accettato il fatto che nessuno dall’esterno poteva
aiutarmi.

Per
uscire da questa situazione è stata importante anche
l’accettazione della mia stessa sofferenza, la comprensione che
questa non era una patologia, ma una normale reazione emotiva a certe
circostanze.

Appena
iniziato lo scalaggio ho cercato di cambiare il mio stile di vita.
Non sono stata subito meglio, è stato un processo graduale: mi
ci è voluto quasi un anno per uscire da quello stato di
prostrazione. Questo è stato importante per venirne fuori: non
fermarmi mai, lottare contro quella voglia di abbandonarmi, di
isolarmi e di restare al letto. Cercare di stare in mezzo alla gente
e ricominciare a d interessarsi alla vita. Riprendere tutti quegli
interessi che avevo abbandonato. Interessi culturali, sportivi, ecc.
L’ho fatto con immensa fatica, soffrendo.

Per
mesi a causa dei farmaci arricciavo il naso in continuazione e
nonostante questo andavo tra le persone, in associazioni culturali
dove mi sforzavo di dialogare con gli altri, anche se non ne avevo
voglia. Ero perfettamente consapevole che loro mi compativano a causa
del mio volto, ma mi relazionavo con loro alla pari, considerandomi
una persona in grado di dire la propria opinione come tutti gli
altri. Non cercavo dagli altri comprensione, pietà, aiuto o
amicizia. Mi ponevo completamente alla pari.

Così
sono uscita dalla "depressione" e dall’isolamento.

Inoltre
credo che sia stata molto importante l’attività fisica, che
aiuta a liberarsi dalle tossine, ad alzare l’umore, a non restare
continuamente concentrati e ripiegati sulla propria sofferenza.
L’attività fisica aiuta a vivere nel presente ed a riprendere
contatto col proprio corpo, mentre gli psicofarmaci in un certo senso
separano dal corpo, rendono il soggetto anestetizzato e addormentato,
i sensi ovattati.

Non
c’è una soluzione standard che va bene per tutti, perché
come i problemi sono personali e diversi per ognuno così le
soluzioni. Per me stato lo yoga, ma per qualcun altro può
essere qualunque altra cosa gli piaccia. Bisogna chiedersi che cosa
ci piace, a partire dalle piccole cose fino a quelle più
grandi. Io ero arrivata a stare così male che non me ne
fregava niente neanche di scegliere che cosa preferivo mangiare.
Questo è trascurare completamente se stessi, invece bisogna
amare se stessi e prendersi cura della propria vita in prima persona,
proprio come faremmo con il più caro dei nostri amici.

Io
ne sono uscita così, da sola senza l’aiuto di nessuno, con uno
sforzo immenso e continuo, ma non perché sono stata brava: ho
solo cercato di non morire, di non "affogare", lottando in
modo disperato.