PISA: venerdì 11/07 PRESIDIO di SOLIDARIETÀ BASTA ABUSI! BASTA USO del TAPPETO CONTENITIVO!

VENERDÌ 11 LUGLIO 2025 ORE 10:30 c/o il Tribunale di Pisa in Piazza della Repubblica
PRESIDIO di SOLIDARIETÀ BASTA ABUSI! BASTA USO del TAPPETO CONTENITIVO!
VERITÀ SULLE VIOLENZE ALLA STELLA MARIS!
SOLIDARIETÀ ALLE VITTIME DEI MALTRATTAMENTI!
COLLETTIVO ANTIPSICHIATRICO ANTONIN ARTAUD
antipsichiatriapisa@inventati.org
47 ANNI di TSO ILLEGITTIMI: la Corte Costituzionale svela le omissioni che hanno negato i diritti fondamentali
47 anni di TSO illegittimi: la Corte Costituzionale svela le omissioni che hanno negato i diritti fondamentali
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 76 del 2025, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale parziale dell’articolo 35 (Trattamento Sanitario Obbligatorio) della legge 833/1978, che istituisce il servizio sanitario nazionale (ex articolo 3 delle legge 180/78 cosiddetta “legge Basaglia ”).
La sentenza ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 35 in relazione alla mancata previsione di tre garanzie fondamentali:
il diritto all’informazione e comunicazione del provvedimento alla persona interessata o al suo legale rappresentante (avvocato, amministratore di sostegno, tutore o curatore); il diritto della persona a essere sentita prima della convalida;
la notifica del provvedimento di TSO alla persona interessata o al suo legale rappresentante.
Il giudizio di legittimità costituzionale era stato sollevato dalla Corte di Cassazione nel settembre 2024 nel corso di una controversia promossa da una donna sottoposta a TSO a Caltanissetta. La donna, tramite il suo avvocato, aveva presentato opposizione lamentando di non aver ricevuto alcuna notifica, di non essere stata ascoltata dal giudice e di non avere avuto strumenti effettivi per difendersi. La Cassazione, valutando il ricorso, aveva posto in evidenza una serie di gravi lacune nel procedimento, affermando che «la mancata audizione della persona da parte del giudice tutelare prima della convalida rende il controllo giudiziale meramente formale». I giudici della Corte costituzionale, in seguito al ricorso presentato dalla donna in Cassazione, hanno rilevato come l’articolo 35 della legge 833 non garantisca adeguate tutele, evidenziando che «il sindaco e il giudice tutelare comunicherebbero tra loro, ma nessuno dei due comunicherebbe con il paziente».
Cosa succederà da adesso in poi?
In teoria la sentenza della Corte Costituzionale dovrebbe avere effetto immediato su tutti i procedimenti in corso e su quelli futuri. I sindaci, in qualità di autorità sanitarie locali, dovranno garantire quindi, ai sensi del pronunciamento, che il provvedimento sia notificato alla persona o al suo legale rappresentante. I giudici tutelari saranno obbligati quindi ad ascoltare l’interessato prima di convalidare il trattamento. La mancata osservanza di tali garanzie potrà determinare l’illegittimità del TSO. Di prassi, il legislatore dovrebbe inoltre intervenire per adeguare il testo normativo al nuovo orientamento costituzionale.
Abbiamo ritenuto opportuno approfondire i meccanismi interni della Sentenza.
Secondo la Corte costituzionale l’assenza della tempestiva informazione sulle modalità di opposizione, costituisce «un ostacolo rilevante all’esercizio del diritto a un ricorso effettivo alla difesa e, in ultima istanza, a un giusto processo», anche se la 833 prevede la possibilità di chiedere la revoca del provvedimento di TSO e di proporre successiva opposizione di fatto. La Corte Costituzionale ha sostenuto quindi che la non comunicazione, la mancata audizione del giudice tutelare e la mancata convalida del provvedimento del TSO rappresentino «una violazione del diritto al contraddittorio, e alla difesa, dunque un deficit costituzionalmente rilevante». Ha fatto appello in particolare ad articoli fondamentali della Costituzione: il 13, sulla libertà personale, il 24, sul diritto di difesa in giudizio, e il 111, sul giusto processo.
La Consulta ha stabilito che la persona sottoposta a Tso deve essere messa a conoscenza del provvedimento restrittivo della libertà personale e deve partecipare al procedimento di convalida, in quanto titolare del diritto costituzionale di agire e di difendersi in giudizio, anche nel caso in cui si trovi in stato di «incapacità naturale».
Nella sentenza è scritto inoltre che l’audizione della persona sottoposta a TSO da parte del giudice tutelare debba avvenire prima della convalida «presso il luogo in cui la persona si trova – normalmente un reparto del servizio psichiatrico di diagnosi e cura”, perché questo incontro tra paziente e giudice «è garanzia che il trattamento venga eseguito nel rispetto del divieto di violenza fisica e morale sulle persone sottoposte a restrizioni della libertà personale (articolo 13, quarto comma, della Costituzione) e nei limiti imposti dal rispetto della persona umana (articolo 32, secondo comma, della Costituzione)». L’audizione per la convalida – che deve avvenire entro quarantotto ore – rappresenta un primo contatto che consente al giudice tutelare di conoscere le condizioni della persona, compresa «l’esistenza di una rete di sostegno familiare e sociale».
La sentenza della Corte Costituzionale ha fatto anche riferimento al rapporto del CPT (Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura) che nel 2023 ha segnalato che il TSO in Italia segue un «formato standardizzato e ripetitivo» in cui il giudice tutelare «non incontra mai i pazienti che che rimangono disinformati sul loro status legale». La Corte non si è limitata solamente alla questione TSO, mettendo giustamente in discussione l’analogo dispositivo amministrativo restrittivo della libertà personale che riguarda i migranti senza documenti: «l’accompagnamento coattivo alla frontiera e il trattenimento dello straniero nei centri di permanenza per il rimpatrio devono essere assistiti dal diritto di essere ascoltati dal giudice in sede di convalida, sicché sarebbe irragionevole e lesiva del principio di eguaglianza l’omessa previsione di analogo adempimento nel trattamento sanitario coattivo».
Il primo dato di fatto: è stata applicata una procedura carente di garanzie costituzionali per quarantasette anni.
Se il TSO è stato costituzionalmente illegittimo fino ad ora chi ci garantisce che le cose cambieranno?
Con che modalità queste persone saranno ascoltate? Tuteleranno la libertà e il diritto di difesa della persona che la sentenza della Corte Costituzionale, in maniera precisa, definisce? Malgrado la sentenza abbia riportato a chiare lettere che l’audizione debba avvenire nello stesso luogo in cui la persona si trova, il tribunale di Milano ha già chiesto l’attivazione di un numero per fare le audizioni in videochiamata. Il rischio è dunque che questa nuova procedura venga risolta aggirando i dispositivi più tutelanti, in barba alla stessa sentenza. Quale tutela, quale salvaguardia di diritti potrebbe assicurare una videochiamata, magari in presenza di personale sanitario, con un paziente già sedato? In queste condizioni immaginiamo i giudici tutelari convalidare i TSO come un atto meramente burocratico: tutt’altro che come garanzia di controllo sul divieto di violenza fisica e morale indicato nella sentenza.
Se -in teoria- la legge prevede il ricovero coatto solo in casi limitati e nel rispetto rigoroso di alcune condizioni, la realtà testimoniata da chi la psichiatria la subisce è ben diversa. Sappiamo bene, come Collettivo Artaud, in venti anni di esperienze accumulate con le nostre lotte contro le pratiche manicomiali, che il preciso protocollo della procedura di imposizione di TSO molto spesso non è applicato, e che il TSO non è affatto un provvedimento usato come extrema ratio. Troppo spesso le procedure giuridiche e mediche durante il TSO vengono aggirate: nella maggior parte dei casi i ricoveri coatti sono eseguiti senza rispettare le norme che li regolano e seguono il loro corso semplicemente per il fatto che quasi nessuno è a conoscenza delle normative e dei diritti della persona.
L’inganno del sistema psichiatrico sta nel credere che un TSO duri in fondo solo sette giorni, o quattordici nel caso peggiore. La verità è che il TSO implica una coatta presa in carico della persona da parte dei Servizi di salute mentale del territorio che può durare per decenni. Una volta entrato in questo meccanismo infernale, una volta bollato con lo stigma della “malattia mentale”, il paziente vi rimane invischiato a vita, costretto a continue visite psichiatriche e soprattutto, alla somministrazione obbligatoria di psicofarmaci, pena un nuovo ricovero coatto. Per i ricoverati in TSO si ricorre ancora spesso all’isolamento e alla contenzione fisica, mentre i cocktails di farmaci somministrati mirano ad annullare la coscienza di sé della persona, a renderla docile ai ritmi e alle regole ospedaliere. Il grado di spersonalizzazione ed alienazione che si può raggiungere durante una settimana di TSO ha pochi eguali, anche per il bombardamento chimico a cui si è sottoposti.
Ecco come l’obbligo di cura oggi non significhi più necessariamente e solamente la reclusione in una struttura, ma si trasformi nell’impossibilità di modificare o sospendere il trattamento psichiatrico sotto costante minaccia di ricorso al ricovero coatto sfruttato come strumento di ricatto, punizione e repressione.
Ma in realtà come Collettivo riteniamo che ci sia una seconda, ulteriore, considerazione di cui tenere conto.
La Sentenza n. 76 del 2025, pur non menzionando esplicitamente la contenzione meccanica offre, a nostro avviso, un forte potenziale interpretativo critico. Il nucleo della pronuncia è il rafforzamento del controllo giurisdizionale sul TSO, tramite l’ audizione preventiva e in loco della persona da parte del giudice tutelare. La Corte esplicita, ed è questo l’elemento che vorremmo sottolineare, che tale audizione è « garanzia che il trattamento venga eseguito nel rispetto del divieto di violenza fisica e morale sulle persone sottoposte a restrizioni della libertà personale»(Art. 13, comma 4 Cost.) e «nei limiti imposti dal rispetto della persona umana» (Art. 32, comma 2 Cost.). Inoltre, la sentenza parla di «audizione» , quindi di ascolto.
Deducendo da ciò: La contenzione meccanica , essendo una limitazione fisica diretta e potenzialmente lesiva della dignità, rientra a pieno titolo nelle « violazioni fisiche e morali» e nel mancato «rispetto della persona umana» . Difficilmente si può pensare che, ascoltando la persona in stato di malessere si possa poi procedere a legarne gli arti o a limitarne la mobilità in modo pesantemente coercitivo.
La sentenza, esigendo un controllo giudiziale non più formale ma sostanziale sulla concreta esecuzione del trattamento, rende ogni ricorso alla contenzione immediatamente sindacabile e, riteniamo, censurabile sotto il profilo di questi inderogabili principi costituzionali. La sua applicazione, pertanto, è ora direttamente e immediatamente riconducibile a una possibile violazione dei diritti fondamentali della persona, richiedendo una strettissima aderenza ai criteri di necessità ed eccezionalità per sfuggire alla qualificazione di violenza costituzionalmente illegittima
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
per info e contatti:
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38, 56100 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org
3357002669
https://www.youtube.com/@CollettivoArtaud
PISA: venerdì 11 luglio PRESIDIO di SOLIDARIETÀ – VERITÀ SULLE VIOLENZE ALLA STELLA MARIS!
VERITÀ SULLE VIOLENZE ALLA STELLA MARIS, SOLIDARIETÀ ALLE VITTIME DEI MALTRATTAMENTI ! BASTA ABUSI! BASTA USO del TAPPETO CONTENITIVO!
Venerdì 11 luglio 2025 ore 10:30 diciottesimo presidio sotto il Tribunale di Pisa per una nuova udienza sui maltrattamenti nella struttura di Montalto di Fauglia destinata a ospitare persone autistiche, gestita dalla Fondazione STELLA MARIS. In questa udienza verranno ascoltati gli avvocati degli imputati.
Nell’estate del 2016, in seguito alla denuncia dei genitori di un giovane, la struttura è stata posta sotto controllo con l’installazione di microcamere e, dopo tre mesi di intercettazioni, la Procura di Pisa ha configurato l’ipotesi di reato per maltrattamenti. Tra gli ospiti Mattia, morto nel 2018 per soffocamento, dovuto probabilmente al prolungato ed eccessivo uso di psicofarmaci. I continui cambi di terapia avevano comportato disfunzionalità e rischi al momento dei pasti di cui la famiglia afferma di non essere mai stata informata. Per questa vicenda vi è un altro procedimento penale, il processo in primo grado si è chiuso con nessuna responsabilità da parte dei medici e della struttura. È iniziato il processo d’Appello presso il Tribunale di Firenze, rinviato addirittura a novembre 2025.
Il processo per maltrattamenti va avanti lentamente da oltre 6 anni: le udienze sono diradate considerando l’elevato numero di testimoni. Si tratta del più grande processo sulla disabilità in Italia. Nel periodo della pandemia è stato ospitato nel Palazzo dei Congressi di Pisa.
Gli imputati sono 15, di cui due dottoresse che gestivano la struttura e il Direttore Sanitario della Stella Maris. Due imputati sono usciti di scena: un operatore che ha patteggiato la pena e il Direttore generale che, dopo il rito abbreviato, è stato condannato a 2 anni e 8 mesi, poi assolto nel processo d’Appello.
I genitori, i tutori e altri testimoni ascoltati hanno riportato le violenze subite dai ragazzi di Montalto e documentate dalle videoregistrazioni che testimoniano gli oltre 280 episodi di violenza in meno di 4 mesi; violenza non episodica ma strutturale. In una delle ultime udienze una delle dottoresse ha dichiarato che a Montalto di Fauglia venivano usati, in caso di crisi, i “tappeti contenitivi” dove il paziente veniva immobilizzato, contenuto e arrotolato.
Come riporta la relazione del consulente tecnico, professor Alfredo Verde: “Leggendo gli atti del presente procedimento abbiamo rinvenuto sicuramente la menzione di una lunga tradizione di abuso e violenza da parte degli operatori, radicata negli anni, e in parte tollerata, in parte ignorata della direzione delle strutture”. E ancora: “In queste situazioni si sviluppano degenerazioni in cui la violenza e la sopraffazione divengono strumenti usati ogni giorno, e l’istituzione perde le sue caratteristiche terapeutiche per divenire un luogo meramente coercitivo e afflittivo. Il comportamento degli operatori è apparso tipico delle istituzioni totali”.
Per questi motivi e per ricordare le vittime degli abusi psichiatrici che ancora vengono perpetrati ai danni di persone private della libertà personale non in grado di difendersi da sole, è un dovere seguire le vicende del processo nell’interesse di tutte/i.
Partecipiamo al PRESIDIO in SOLIDARIETÀ alle VITTIME VENERDì 11 LUGLIO ore 10.30 c/o il Tribunale di Pisa in Piazza della Repubblica.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
Comitato Sanità Pubblica Versilia-Massa Carrara
Coordinamento Regionale Toscano Salute Ambiente Sanità
per info:
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38, 56100 Pisa 3357002669
antipsichiatriapisa@inventati.org artaudpisa.noblogs.org
FIRENZE: venerdì 4 luglio LA VIOLENZA POLITICA, URBANA, PSICHIATRICA c/o Parco San Lorenzo a Greve

FIRENZE VENERDì 4 LUGLIO alle ore 21 c/o Parco San Lorenzo a Greve
Ponte a Greve Summer, viuzzo delle case nuove fermata tramvia T1 Nenni-Torregalli
LA VIOLENZA POLITICA, URBANA, PSICHIATRICA
reading, interviste, dibattito
Valentina Testoni leggerà due racconti inediti di
TOMMASO RANDAZZO: “Napoli ai tempi di Genova” e “Psichiatria Nonchalance”
L’autore intervisterà:
Tiziana Chiappelli
Federico Tommasello (Università di Messina)
e il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud di Pisa
musiche eseguite da Andrea Bellicoso
LINK per ascoltare l’intervista sulle due giornate sull’antipsichiatria di Perugia sabato 28 e domenica 29 giugno
https://www.ondarossa.info/redazionali/2025/06/perugia-due-giornate-sullantipsichiatria
A questo link potete ascoltare l’intervista a Radio Ondarossa sulle due giornate dedicate all’antipsichiatria di sabato 28\06 e domenica 29\06, c/o il Csoa Turba di Perugia. Due compagne del Csoa Turba hanno raccontato nel dettaglio i programmi, la storia del centro sociale e invitano tutt* a partecipare. Come collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud, interverremo nel confronto di Sabato, abbiamo resocontato sull’ultima udienza del processo sui maltrattamenti alla Stella Maris avvenuta martedì 24 giugno 2025. Abbiamo parlato inoltre di Trattamento Sanitario Obbligatorio, abusi psichiatrici, contenzione meccanica, psicofarmaci e pratiche manicomiali che si riproducano quotidianamente.
LINK per ascoltare intervista/resoconto sull’ultima udienza del processo sui maltrattamenti alla Stella Maris di martedì 24 giugno
https://archive.degenerazione.xyz/download/ror-250625_1607-1632-stellaMaris/ror-250625_1607-1632-stellaMaris.ogg
A questo link potete ascoltare l’intervista che abbiamo fatto, come collettivo Artaud, a Radio Ondarossa con un resoconto sull’ultima udienza del processo sui maltrattamenti alla Stella Maris avvenuta martedì 24 giugno 2025. In questa udienza sono state richieste, da parte del pubblico ministero, le condanne fino a cinque anni.
da Sondra Cerrai: resoconto ultima udienza del processo Stella Maris del 24/06/25
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Sondra Cerrai il resoconto dell’ultima udienza del processo sui maltrattamenti alla Stella Maris, quella del 24 giugno scorso, dove ci sono state le richieste di condanne da parte del pubblico ministero.
E infine dopo 42 udienze del processo Stella Maris siamo arrivati al giorno della richiesta delle condanne da parte del PM Fabio Pelosi che ha condotto la sua requisitoria finale in tandem con il Viceprocuratore Massimiliano Costabile.
Le condanne chieste vanno da un massimo di 5 anni, per le dottoresse Paola Salvadori e Patrizia Masoni, fino ad un minimo di un anno e mezzo per l’operatore Lucchesi e, in quantità variabile, per gli altri operatori. E’ stata chiesta l’assoluzione per il dr. Giuseppe De Vito, Direttore sanitario della struttura.
Ma il di là delle condanne chieste, in una vicenda drammatica e penosa che ogni volta ha mostrato sul palcoscenico delle udienze particolari sempre più raccapriccianti e improbabili linee di difesa, il discorso del dr. Pelosi meriterebbe di essere letto in ogni scuola superiore.
Quello che ha voluto far emergere, nella prima parte del suo intervento, è stato l’oggetto valoriale del processo, questa è la definizione testuale del suo incipit.
E’ partito descrivendo “La nave dei folli” di Bosch che, sul finire del 1400, dipinse questo quadro raccontando il pellegrinaggio di un gruppo di folli che viaggiano per mare senza alcuna meta. Su quella nave si trovavano i “matti”, i diseredati di cui la società si doveva liberare. Coloro che non rientravano negli schemi della ragione collettiva e dovevano restare fuori dalla socialità, in balia del mare. Erano destinati a una vita errante, senza patria, senza terra ferma. Una vita fatta di niente se non di un interminabile vagare. Chi sono quei folli? si è chiesto Pelosi. Questi folli sono ritratti mentre mangiano proprio come i ragazzi di Montalto ripresi dalle telecamere mentre stavano mangiando e contestualmente venivano offesi, picchiati, strattonati, presi a “nocchini” dai propri operatori-aguzzini.
Era l’estate del 2016 e le telecamere (installate a seguito della denuncia di due genitori) testimoniarono oltre 280 episodi di violenza in meno di 4 mesi. Le intercettazioni telefoniche, disposte dalla procura, rivelarono una realtà, se possibile, ancora peggiore
Quei “matti” della nave di Bosch non sono, tuttavia, solo gli ospiti di Montalto di Fauglia con le loro problematiche e i loro fantasmi ma anche gli operatori abbandonati a gestire le difficoltà da una perenne mancanza di formazione e di guida, forse preda (a loro volta) di disagi esistenziali.
La nave senza meta (si è chiesto ancora il PM) forse rappresenta tutti noi che da anni veleggiamo in questo lungo processo.
Questo processo, ha detto, ci induce a riflettere sulla malattia mentale, su che cosa significhi gestirla. In questo processo è stata descritta una follia che fa ancora paura, una follia incurabile (così l’ha definita anche un noto psichiatra consulente di parte). Eppure i genitori avevano affidato i propri figli ad una struttura definita d’eccellenza e che, in quanto tale, riceve cospicui finanziamenti non solo dalle famiglie ma anche dalla Regione Toscana. I genitori si aspettavano cure e accudimento, non percosse e rassegnazione.
Pelosi ha citato Platone, Marx ma soprattutto, Foucault con la sua teoria della microfisica del potere. Sì perché durante il processo è andato in scena una vera e propria spaccatura tra medici (le due dottoresse sotto accusa) e i tredici operatori ripresi dalle telecamere nell’atto di compiere atti efferati (ricordiamo che un operatore era già uscito di scena patteggiando la pena).
I medici hanno sostenuto di “non sapere” rigettando ogni colpa sugli operatori e gli operatori hanno sostenuto di non essere stati formati, di essere stati assunti in modo improvvisato e (a volte) amicale, di essere stati costretti ad operare in ambienti fatiscenti e senza alcuna garanzia di sicurezza sul lavoro.
Possiamo leggere questo conflitto così come lo avrebbe letto Marx (si è chiesto Pelosi) in chiave di lotta di classe? Di dirigenti contro lavoratori?
No, secondo Pelosi, la lettura più appropriata per spiegare questa vicenda è quella di Foucault: della “microfisica del potere”, di un potere non come entità statica o centralizzata, ma come una forza diffusa e capillare che opera a livello delle relazioni sociali quotidiane e nelle istituzioni. Foucault sosteneva che il potere non è qualcosa che si possiede, ma qualcosa che si esercita, e che si manifesta nelle dinamiche di controllo e disciplinamento che attraversano ogni aspetto della vita sociale: dal corpo alla sessualità, alla famiglia e alle istituzioni. Tutto, in questa vicenda. è potere, ha aggiunto Pelosi.
La Stella Maris è indubbiamente una struttura di potere che ha rapporti con poteri istituzionali ed economici. Ma il potere lo esercitavano anche i medici sugli operatori e gli operatori sugli ospiti della struttura, gli ultimi della catena, i derelitti, gli indifesi. Ognuno di questi soggetti ha (secondo il PM) usato male il proprio potere.
Ciascuno dovrà quindi essere condannato in base alle proprie responsabilità perché tutti avevano potere di scelta e nessuno l’ha saputo (o voluto) esercitare per aiutare i ragazzi.
Pelosi ha posto l’accento sull’atteggiamento indecoroso e poco professionale degli operatori Stella Maris, sul clima di paura che dominava la struttura, sull’omertà che regnava in quelle stanze. Tutto ciò ha reso possibile il fatto che la Stella Maris abbia potuto assumere l’aspetto di una struttura concentrazionaria dove la brutalità aveva preso il sopravvento, dove le condotte violente erano sistematiche e non episodiche, reiterate anche di fronte ad un pubblico inerte. Cosa poteva accadere (si è chiesto) oltre il refettorio, unico luogo dove erano state posizionate le telecamere dei carabinieri? Cosa succedeva nei bagni, nelle camerate, nei corridoi? Possiamo facilmente intuirlo.
Queste condotte plurime rivolte a soggetti indifesi e appartenenti alla stessa comunità (queste le parole di Pelosi) meritano, dunque, la condanna non solo degli operatori ripresi dalle telecamere ma anche delle due dottoresse ree:
1) di aver operato una selezione di personale dequalificato;
2) di non aver assicurato agli operatori una formazione adeguata;
3) di mancata sorveglianza (nei tre mesi di riprese video non si vedono mai le dottoresse in refettorio);
4) di mancata denuncia alle autorità di varie segnalazioni di condotte violente da parte di operatori, ricevute nel corso degli anni;
4) di mancata messa in pratica di strumenti per il benessere dei propri lavoratori, alcuni dei quali hanno asserito di aver avuto sintomi da burnout.
Noi genitori aspettiamo adesso giustizia vera per i nostri figli indifesi.
Sondra Cerrai
Riforma della disabilità: eliminiamo la possibilità di istituzionalizzare le persone
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, dal centro “Informare un’h” l’articolo “Riforma della disabilità: eliminiamo la possibilità di istituzionalizzare le persone”, che prende spunto da una recente vicenda di gravi maltrattamenti ai danni di persone con importanti disabilità intellettive e cognitive, ospiti di una Comunità situata in Piemonte, per una riflessione su come i temi della prevenzione dell’istituzionalizzazione e della promozione la deistituzionalizzazione siano stati trattati nel Decreto Legislativo 62/2024, uno dei decreti attuativi della Legge Delega in materia di disabilità.
Nella giornata di ieri, 19 giugno 2025, sul sito dei Carainieri, è stato pubblicato un comunicato stampa dal titolo Maltrattamenti su persone con gravi disabilità, 8 arresti in Piemonte, a firma del Comando Carabinieri per la Tutela della Salute Torino – Torino, Cuneo (il testo è disponibile a questo link). Nel comunicato è scritto che nella mattina del 19 giugno i Carabinieri del NAS di Torino (il Nucleo Antisofisticazioni e Sanità), al termine di un’attività complessa e articolata, svolta in collaborazione con altri soggetti, hanno eseguito otto ordini di custodia e sei perquisizioni domiciliari a carico di sette operatori socio sanitari ed uno psicoterapeuta, ritenuti responsabili di gravi maltrattamenti su persone con importanti disabilità intellettive e cognitive ospiti di una Comunità situata nel Pinerolese, e facente capo ad una Cooperativa che gestisce molteplici strutture in Piemonte e in Lombardia. Uno degli arrestati è accusato anche di violenza sessuale nei confronti di un ospite disabile. Le indagini hanno permesso «di svelare le condotte abituali tenute nei confronti degli ospiti disabili, sottoposti a gravi umiliazioni e violenze fisiche e verbali. L’attività investigativa ha evidenziato la presenza di quotidiani episodi di maltrattamenti, consistenti in ingiurie, strattoni, schiaffi, percosse, nonché continui atteggiamenti vessatori, intimidatori e di scherno sia a livello fisico che psichico. Gli arrestati sono stati tutti sottoposti agli arresti domiciliari presso le rispettive abitazioni», si legge nel comunicato, che tuttavia precisa che i fatti sono ancora in fase di accertamento. La notizia è stata rilanciata anche da diversi organi di stampa che hanno individuato la struttura di cui si tratta nella Comunità Mauriziana di Luserna San Giovanni, un Comune della città metropolitana di Torino, ed ulteriori particolari (se ne legga, ad esempio, in questo articolo pubblicato su «Torino Cronaca» il 20 giugno 2025). Tuttavia, ai fini della presente riflessione, non è utile addentrarsi ulteriormente in questi terribili avvenimenti ancora in fase di definizione, è invece importante soffermarsi sul fatto che, davanti a vicende come questa, altre ad esprimere la giusta indignazione, spesso ci si limita a chiedere maggiori controlli, pene esemplari per i colpevoli, o altre misure repressive, senza però arrivare a mettere in discussione la stessa esistenza di queste strutture. Il sotteso – molto probabilmente inconsapevole – è che l’istituzionalizzazione sia necessaria, e che “l’unico” problema siano le condotte che configurano fattispecie di reati. Nella sostanza l’istituzionalizzazione in sé, col suo portato segregante, rimane fuori fuoco, non diviene l’oggetto della riflessione perché non è percepita come una violazione dei diritti umani, né come una forma di violenza ai danni delle persone con disabilità, come invece indicato dal Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ad esempio, nelle Linee guida sulla deistituzionalizzazione, anche in caso di emergenza del 2022 (si veda in particolare il punto 6). Purtroppo questo approccio sembra ancora largamente condiviso. Non è un caso che sino ad oggi nel nostro Paese non sia stato predisposto nessun piano nazionale o regionale per la deistituzionalizzazione, né risulta che la questione venga trattata come una priorità politica anche all’interno dell’associazionismo delle persone con disabilità (salvo pochissime eccezioni, che al momento sembrano minoritarie). Ma le tracce di questo approccio, a volerle cercare, sono rinvenibili anche nella normativa più recente.
«Il progetto di vita tende a favorire la libertà della persona con disabilità di scegliere dove vivere e con chi vivere, individuando appropriate soluzioni abitative e, ove richiesto, garantendo il diritto alla domiciliarità delle cure e dei sostegni socioassistenziali, salvo il caso dell’impossibilità di assicurare l’intensità, in termini di appropriatezza, degli interventi o la qualità specialistica necessaria»: recita così il primo comma dell’articolo 20 del Decreto Legislativo 62/2024, recante Definizione della condizione di disabilità, della valutazione di base, di accomodamento ragionevole, della valutazione multidimensionale per l’elaborazione e attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato. Il menzionato decreto, va ricordato, è uno di quelli emanati in attuazione della Legge 227/2021, ovvero la Legge Delega al Governo in materia di disabilità, comunemente individuata con l’espressione “riforma della disabilità”. Come risulta anche dalla denominazione, il decreto disciplina, tra le altre cose, anche il progetto di vita individuale personalizzato e partecipato, e la disposizione riportata fa riferimento proprio a questo strumento.
Quella citata è una disposizione che va letta con attenzione, perché nei fatti la previsione dell’eccezione – introdotta dalla dicitura «salvo il caso» – consente di negare alle persone con disabilità «la possibilità di scegliere, su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere e non siano obbligate a vivere in una particolare sistemazione», riconosciuta alla lettera a dell’articolo 19 (Vita indipendente ed inclusione nella società) della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Un trattato che, è bene sottolinearlo, è stato ratificato dall’Italia con la Legge 18/2009. Nella sostanza il decreto prevede che se lo Stato non è in grado di assicurare in modo appropriato interventi particolarmente intensi o una specialistica di qualità, allora la libertà della persona con disabilità di scegliere dove vivere e con chi vivere – che in realtà si configura come un diritto umano – può essere compressa o negata. E probabilmente è vero che attualmente lo Stato non è in grado di erogare certi servizi, ma la riforma della disabilità dovrebbe servire proprio per rimodulare il sistema dei servizi in modo da «promuovere, proteggere e garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità»: è esattamente questo lo Scopo della Convenzione ONU (indicato al primo comma, dell’articolo 1 della stessa). Pertanto, l’idea che i diritti umani si possano garantire ad alcune persone (con o senza disabilità) e non ad altre è incompatibile con lo stesso concetto di diritto umano.
Quella dell’articolo 20 è dunque una disposizione in contrasto con la Convenzione ONU perché quest’ultima non prevede eccezioni alla libertà della persona con disabilità di scegliere dove vivere e con chi vivere. Non solo, la persona disabile costretta a vivere in una struttura residenziale in ragione della propria disabilità, e per la mancata predisposizione di un’alternativa inclusiva, sta subendo un’arbitraria privazione della propria libertà che confligge anche con l’articolo 14 (Libertà e sicurezza della persona) della medesima Convenzione ONU, nonché con un stratificato complesso di norme, nazionali e internazionali, tutte orientate a prevenire l’istituzionalizzazione e promuovere la deistituzionalizzazione. Ulteriori considerazioni potrebbero poi essere fatte sull’impiego dell’espressione «tende a favorire», riferita alla «libertà della persona con disabilità di scegliere dove vivere e con chi vivere» – presente anch’essa, come abbiamo visto, nella menzionata disposizione dell’articolo 20 –, che, stando a una recente analisi sociologico-giuridica della riforma della disabilità, introdurrebbe nel nostro ordinamento giuridico «l’ambigua figura del “diritto tendenziale” che ripartisce pragmaticamente i soggetti giuridici fra coloro che sono titolari di diritti effettivi e coloro che dispongono di meri diritti tendenziali»*.
Già questi elementi dovrebbero essere sufficienti per chiedere con urgenza che il primo comma dell’articolo 20 del Decreto Legislativo 62/2024 venga interamente riscritto. Ma vi è anche un altro aspetto che pone interrogativi problematici. Il fatto è che il Decreto Legislativo 62/2024 si discosta anche dai principi e criteri direttivi enunciati nell’articolo 2 della Legge di delegazione.
Infatti, riprendendo in mano la Legge Delega 227/2021, notiamo che essa indica che nell’elaborazione del progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato, si debbano individuare «i sostegni e gli accomodamenti ragionevoli che garantiscano l’effettivo godimento dei diritti e delle libertà fondamentali, tra cui la possibilità di scegliere, in assenza di discriminazioni, il proprio luogo di residenza e un’adeguata soluzione abitativa, anche promuovendo il diritto alla domiciliarità delle cure e dei sostegni socio-assistenziali» (articolo 2 comma 2, lettera c, numero 4). La medesima Legge di delegazione prevede inoltre che l’individuazione dei sostegni e servizi per l’abitare in autonomia e dei modelli di assistenza personale autogestita a supporto della vita indipendente delle persone con disabilità in età adulta, sia attuata «favorendone la deistituzionalizzazione e prevenendone l’istituzionalizzazione» (articolo 2 comma 2, lettera c, numero 12).
Ebbene, come già argomentato, il Decreto Legislativo 62/2024, prevedendo un’eccezione alla libertà della persona con disabilità di scegliere dove vivere e con chi vivere, introduce un elemento di discriminazione che, stando alla Legge di delegazione, dovrebbe essere assente. Inoltre nella Legge di delegazione si fa esplicito riferimento alla promozione della deistituzionalizzazione e alla prevenzione dell’istituzionalizzazione, riferimento che nel Decreto Legislativo 62/2024 è completamente scomparso, mentre l’istituzionalizzazione è addirittura ammessa, sia pure come eccezione.
Dunque viene da chiedersi: perché nel Decreto Legislativo 62/2024 ci sono cose che non ci dovrebbero essere, e ne mancano altre che invece sono previste dalla Legge di delegazione? E ancora: chi ha la responsabilità politica di questo discostamento dalla Legge di delegazione e dalla Convenzione ONU?
Nei giorni scorsi Giampiero Griffo, membro del Consiglio Mondiale di DPI (Disabled Peopoles’ International) e condirettore del CeRC (Centre for Governmentality and Disability Studies Robert Castel) dell’Università suor Orsola Benincasa di Napoli, ha scritto un interessate testo nel quale ha intrapreso un’analisi dei decreti attuativi della Legge Delega 227/2021, soffermandosi, in questo primo contributo, sul tema delle valutazioni (attualmente in fase di sperimentazione) e rilevando alcune criticità, tra cui, in particolare, la mancanza di un chiaro riferimento ai diritti umani nel Decreto Legislativo 62/2024 (si veda: Il tema delle valutazioni nella “riforma della disabilità” e il mancato riferimento ai diritti umani, del 19 giugno 2025). Nel concludere la sua analisi, Griffo osserva come, sui differenti aspetti delle valutazioni, nel Decreto Legislativo 62/2024 possano essere apportate migliorie su tanti temi, «e il tempo della sperimentazione dovrebbe essere sufficiente, fino al giugno del 2026, per introdurre gli appropriati correttivi». Ci auguriamo, dunque, che anche la disciplina del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato, definita nel medesimo decreto legislativo, possa essere corretta esplicitando che detto progetto di vita debba mirare a prevenire l’istituzionalizzazione – senza eccezioni – e a promuovere – con convinzione – la deistituzionalizzazione delle persone con disabilità.
Simona Lancioni
Responsabile di Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa). L’autrice dichiara di non avere alcun conflitto di interessi, neanche indiretto, riguardo al tema dell’istituzionalizzazione.
Nota: tutti i grassetti nelle citazioni testuali sono un intervento della redazione, mentre la formattazione della citazione del testo di Griffo non corrisponde a quella originale.
* Ciro Tarantino e Cecilia M. Marchisio, Gli spiriti della legge. Sulle tensioni istituenti del decreto legislativo 62/2024 in tema di progetto personalizzato per le persone con disabilità. Uno studio di animismo giuridico, pubblicato nel Dossier Aspetti e aspettative della riforma della disabilità, in «Sociologia del diritto» (Vol. 52, Numero 1, 2025), pag. 367. In merito alla presente pubblicazione si segnala anche la seguente presentazione: Simona Lancioni, Un dossier che indaga le tensioni che animano la riforma della disabilità, «Infermare un’h», 15 giugno 2025.
LINK per ascoltare intervista dal presidio al processo Stella Maris di martedì 24 giugno
https://www.ondarossa.info/newsredazione/2025/06/presidio-pisa-stella-maris
A questo link potete ascoltare l’intervista che abbiamo fatto, come collettivo Artaud, a Radio Ondarossa in diretta dal presidio sotto il tribunale per il processo sui maltrattamenti alla Stella Maris martedì 24 giugno 2025.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
per info e contatti:
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38, 56100 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org 3357002669
https://www.youtube.com/@CollettivoArtaud
LINK per ascoltare INTERVISTA a Radio Popolare su TSO, CONTENZIONE e PRATICHE MANICOMIALI
https://www.radiopopolare.it/puntata/?ep=popolare-vieniconme/vieniconme_20_06_2025_17_35
A questo link potete ascoltare l’intervista che abbiamo fatto, come collettivo Artaud, durante la trasmissione “vieni con me” su radio Popolare venerdì 20 giugno. Abbiamo parlato di Trattamento Sanitario Obbligatorio, abusi psichiatrici, contenzione meccanica, psicofarmaci e pratiche manicomiali che si riproducano quotidianamente. L’intervista inizia al minuto 38 circa.