LA VOCE DEL PADRONE. Comunicato sulla sentenza di primo grado del processo sui maltrattamenti alla Stella Maris
LA VOCE DEL PADRONE
“Assolti” i dirigenti al processo sui maltrattamenti alla Stella Maris
Il processo di primo grado per i maltrattamenti nei confronti degli ospiti della struttura per persone con disabilità di Montalto di Fauglia, gestita dalla fondazione Stella Maris in provincia di Pisa, si è concluso, dopo 7 anni di dibattimento, il 4 novembre scorso con 10 condanne agli operatori e alle operatrici e 5 assoluzioni. Due operatori sono stati assolti. Assolti anche il direttore sanitario e le due dottoresse responsabili della struttura.
Hanno vinto i potenti.
Il dispositivo applica quasi appieno la tesi che la Stella Maris aveva caldeggiato sin dall’inizio. La giudice Messina ha condannato penalmente solo gli esecutori materiali delle violenze, ed evidentemente non poteva farne a meno: le immagini degli abusi e dei maltrattamenti erano e restano inequivocabili. L’assoluzione dei dirigenti medici, figure apicali, vorrebbe rappresentare un segnale chiaro: i piani alti non si toccano.
Ma, d’altro lato, alla Stella Maris è stata riconosciuta una responsabilità civile da quantificare in un futuro processo civile, qualora lo decideranno le famiglie.
E, si badi bene, non è poco.
Innanzitutto perché per molti mesi si è rischiato che tutto rimanesse impantanato sino all’arrivo della prescrizione, tanto era stata lenta e rallentata all’inizio la successione delle udienze. Poi perché, almeno in primo grado, una qualche forma di responsabilità, anche se solo civile, è stata comunque riconosciuta alla Stella Maris. Alla Fondazione spetta cioè il pagamento delle spese processuali, anche di quelle spettanti agli operatori condannati qualora non fossero in grado di sopperire autonomamente. Una parte di coinvolgimento anche per l’istituzione Stella Maris risulta dunque stabilita dai meccanismi della sentenza. Il “noi non c’entriamo nulla” che trapela dal conciliante comunicato del presidente della Fondazione (che si conclude con uno goffo appello al «Bene» con la “B” maiuscola) andrebbe perlomeno riconsiderato in questa prospettiva. Rimane lì a testimoniare solamente un malcelato imbarazzo nei confronti di una vicenda che ha gettato non poco discredito sulla sbandierata “eccellenza” dell'”Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico”.
Rimane il fatto che la sentenza non soddisfa la richiesta di giustizia che le famiglie si sarebbero aspettate dopo anni di attesa. La tesi del pubblico ministero, che assegnava alle dottoresse la responsabilità maggiore per le violenze perpetrate all’interno della struttura, è stata di fatto ribaltata.
Colpevole non è chi aveva assunto personale non qualificato, chi aveva la gestione della struttura, chi doveva vigilare. Colpevole è, ancora una volta, solo la manovalanza, chi si è sporcato le mani in prima linea. Rimangono impuniti i responsabili delle assunzioni. È andato assolto chi doveva occuparsi della formazione del personale. È stata considerata non colpevole penalmente tutta la filiera della gestione e dell’organizzazione che avrebbe dovuto occuparsi della presa in carico e della cura dei ragazzi con disabilità, su su fino alle rappresentanze più alte.
Il primo a uscire di scena è stato il direttore generale Roberto Cutajar: dapprima condannato a due anni e otto mesi, poi assolto in appello con la motivazione che “le responsabilità della gestione e delle assunzioni andavano ricercate altrove”, con il cavillo che lui era il responsabile dell’intera Stella Maris e non solo del presidio di Montalto. Le responsabili effettive della sede Stella Maris di Montalto sono state in seguito individuate nelle due dottoresse. Ma anch’esse alla fine sono risultate non condannabili. Siamo curiosi di conoscere quali argomentazioni saranno addotte nella motivazione della sentenza.
Perché rimane al momento inevasa una domanda cruciale: ma allora chi gestiva Montalto? Chi ne presiedeva l’organizzazione, la gestione, il controllo?
Un sottile velo di omertà ha coperto sin dall’inizio le vicende di un processo di per sé clamoroso e che avrebbe dovuto avere una ribalta nazionale. Si è trattato del più grande processo per maltrattamenti a persone con disabilità nella storia d’Italia. Eppure le telecamere sono state tagliate fuori sin dalla prima udienza. Con la motivazione che, secondo la giudice, non sussisteva alcuna rilevanza sociale per un evento di questa portata: 24 famiglie, 17 imputati, 284 episodi di violenza registrati dalle impietose microcamere (posizionate esclusivamente negli spazi comuni) in tre mesi. E per finire, la stessa giudice ha pensato bene di emettere la sentenza a porte chiuse. Erano presenti solamente alcune famiglie. Come se per i 7 lunghi anni della durata del processo l’aula fosse stata assediata da orde di parenti scomposti e irrispettosi. Eppure, mai un urlo di sdegno, mai un commento sopra le righe si è levato nell’aula.
Non davanti alle immagini delle sevizie sui propri cari, quando qualche genitore ha preferito uscire dall’aula piuttosto che inveire.
Non di fronte alle testimonianze di chi con arroganza parlava di “buffetti di simpatia”, “linguaggio colorito”, “strumenti inadeguati di relazione” da parte degli operatori.
Neanche di fronte a un consulente di parte che si permetteva impunemente di affermare che “quelle persone non sono neanche in grado di provare dolore”.
E neppure quando, come se fosse una cosa normale, è venuta a galla l’aberrazione dei “tappeti contenitivi”, comprati all’Ikea, spacciati come “un presidio di civiltà” per “evitare i lividi sui pazienti” prodotti dai consueti strumenti di contenzione fisica. Strumenti di contenzione che intanto continuavano a essere utilizzati, producendo fratture e traumi vari.
Di fronte a questa galleria degli orrori il pubblico e i parenti hanno mantenuto sempre un atteggiamento fin troppo rispettoso. Solo lacrime e dolore soffocato, nel rispetto di chi avrebbe dovuto assicurare loro una parvenza di giustizia.
Solo al termine della requisitoria del PM Pelosi, nella quale erano state individuate motivazioni e responsabilità di tanta violenza, a partire dalle figure apicali, si è levato dai banchi in fondo (luogo di costante presenza delle parti civili) un applauso lungo e liberatorio.
Eppure la Stella Maris sapeva. Risultano agli atti violenze compiute in quella struttura sin dal 2002. E nel 2009 un altro operatore aveva mandato al pronto soccorso un ospite per una ecchimosi e una frattura a un dito. E ancora nel 2014, quando lo stesso operatore avrebbe schiaffeggiato e schiacciato con le ginocchia un adolescente. Davanti a questa denuncia il direttore Cutajar sospenderà il responsabile, ma senza licenziarlo. Dalle intercettazioni telefoniche nei colloqui le dottoresse responsabili della struttura lamentavano di aver denunciato più volte i dipendenti violenti. «Questi quattro stronzi dovevano essere mandati via illo tempore perché noi abbiamo fatto tutte le segnalazioni all’istituzione, la quale si è ben guardata dal procedere…».
Ancora più inquietanti i messaggi dei genitori alla giornalista Maria Elena Scandaliato della Rai che provava a intervistarli: «Io ho paura. Me lo dico da sola che è una cosa sbagliata, ma io c’ho mio figlio lì dentro…». D’altronde il tono degli scambi telefonici tra i dirigenti della Stella Maris, intercettati, era questo: «I genitori sono ambigui, però io voglio dimettere tre persone, per dare un segnale ai genitori eh… Perché loro devono stare attenti!».1
E tutto questo accadeva mentre la struttura di Montalto di Fauglia propagandava sé stessa con queste parole tratte dalla sua “Carta dei servizi”:
«La nostra filosofia di intervento è ‘prenderci cura’ oltre che curare, ascoltare e coinvolgere sia il paziente che i familiari. […] La nostra organizzazione è centrata sul modello del piccolo gruppo di pazienti condotto da educatori professionali e da assistenti con funzioni educative, che fungono da ‘io’ ausiliario o ‘compagni adulti’ dei pazienti, che li supportano concretamente e psicologicamente in ogni atto della vita quotidiana. I diversi programmi di trattamento sono differenziati sia sulla base dei protocolli che sulla base delle caratteristiche individuali di ogni ragazzo che è visto come portatore di affetti, bisogni emotivi, aspirazioni, competenze».
Hanno vinto i potenti.
Medici e sanitari dei reparti psichiatrici (e non solo) hanno avuto l’ennesima conferma di quella sorta di scudo penale che da sempre li protegge nell’esercizio delle loro funzioni. Troppe volte come Collettivo Artaud abbiamo assistito alla cerimonia inconcludente della giustizia dei tribunali. Questa sentenza assolutoria è solo l’ennesima di una lunga serie, con la conseguenza che all’aumento della presunzione di intoccabilità dei sanitari corrisponde un incremento del ricorso agli strumenti più controversi della pratica psichiatrica, di derivazione manicomiale: elettroshock, contenzioni, TSO.
La Fondazione (privata) Stella Maris continuerà a ricevere contribuzioni di milioni di euro da parte della Regione Toscana, che da parte sua si era guardata bene dal costituirsi parte civile al processo. E, al contrario, si era premurata di premiare l’eccellenza Stella Maris con il Gonfalone d’argento, massima onorificenza toscana, proprio nel 2021, quando il processo era nelle sue fasi più calde.
D’altronde non si può condannare chi sta spostando ulteriori decine e decine di milioni di euro. 27.830 mq su quattro livelli, 44 camere per la degenza, altrettanti ambulatori, 50 sale per l’osservazione terapeutica, 24.000 mq di parco. Sono le cifre del nuovo ultramoderno ospedale Stella Maris che sorgerà a Pisa, zona Cisanello. L’inizio dei lavori è stato inaugurato poco tempo fa in pompa magna da sindaco, vescovo e autorità varie, compreso il presidente della Regione. Quelle autorità che non hanno rivolto nemmeno una parola alla famiglie, di fronte allo scempio del dolore e delle immagini dei maltrattamenti e di un processo che è andato avanti per anni.
Non si può sospettare di chi agisce per conto del “Bene”. «Nei nove anni che sono trascorsi dai fatti di Montalto di Fauglia», afferma ancora il comunicato di Stella Maris emesso dopo la sentenza di primo grado, «abbiamo impegnato tutte le nostre energie per migliorare sempre più le nostre attività riabilitative. Il nostro compito è sempre quello di dare il meglio con professionalità e soprattutto con il cuore, imparando dagli errori». A Marina di Pisa, la struttura che sostituisce Montalto di Fauglia da quando è stata chiusa, il personale è cambiato. Ma a Marina non può entrare nessun visitatore, neanche i genitori o i parenti dei ragazzi. Gli ospiti vengono accompagnati all’esterno dal personale quando i familiari vanno a prenderli.
Nel frattempo, all’interno di altre strutture chiuse, dove nessuno entra, dove non è previsto alcun tipo di controllo sociale, storie simili a quelle successe alla Stella Maris continuano a ripetersi, riproponendo intatti i dispositivi delle istituzioni totali. Imperia (Villa Galeazza), Manfredonia (Stella Maris), Foggia (Opera Don Uva), Como (Comunità Sacro Cuore), Cuneo (Cooperativa Per Mano), Ivrea (Ospedale di Settimo Torinese), Siracusa (strutture per disabili e anziani), Bologna (Villa Donnini), Perugia (Centro Forabosco), Decimomannu (Centro AIAS), Brescia (Comunità Shalom), tanto per citare solamente le più recenti. Botte, violenze, contenzioni meccaniche, maltrattamenti, insulti, umiliazioni.
Giustizia non è fatta.
Le pratiche manicomiali sopravvivono intatte e, malgrado le promesse della legge 180, continuano a seminare dolore. E le strutture che le utilizzano continuano a presentarsi all’esterno come paradisi di accoglienza e cura.
Troppe volte come collettivo Artaud ci siamo trovati a interagire con persone abusate dalla psichiatria. Troppe volte la giustizia dei tribunali si è girata dall’altra parte di fronte agli abusi perpetrati da un modello di psichiatria obsoleto e fallimentare.
Il potere giudiziario si è rivelato per l’ennesima volta connivente con il potere psichiatrico.
E noi continuiamo a pensarla come Fabrizio De André.
«Per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti»
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38, 56100 Pisa
3357002669 antipsichiatriapisa@inventati.org
artaudpisa.noblogs.org
1La Storia di Mattia https://www.raiplay.it/video/2023/09/Spotlight-Storia-di-Mattia-Il-piu-grande-processo-per-maltrattamenti-ai-disabili-in-Italia-b5372d41-d112-4d88-afee-6545decb78fb.html?wt_mc=2.app.share.raiplay_prg_Spotlight
SESTRI LEVANTE: 30/11 presentazione di SOCIALMENTE PERICOLOSO di Luigi Gallini

SESTRI LEVANTE domenica 30 novembre c/o circolo Matteotti via per Santa Vittoria 121
alle ore 13 pranzo sociale, alle ore 15 presentazione del libro di Luigi Gallini
SOCIALMENTE PERICOLOSO La triste ma vera storia di un ergastolo bianco
con il collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud e Collepsikoattivə
Arriva nelle sale la vita di Bobò, dal manicomio al palcoscenico.
Arriva nelle sale la vita di Bobò, dal manicomio al palcoscenico. Quando l’arte restituisce luce e diventa Politica
Dal 27 novembre 2025 arriva nelle sale italiane “Bobò”, un film-documentario di Pippo Delbono sulla vita di Vincenzo Cannavacciuolo, in arte Bobò, attore e anima silenziosa del teatro contemporaneo, uomo sordomuto, analfabeta e microcefalo che ha vissuto per 46 anni nel manicomio di Aversa (Caserta), sino a quando, nel 1995, un incontro con Pippo Delbono darà inizio ad un legame umano e artistico destinato a cambiare per sempre le loro vite. Dopo il trionfo all’anteprima mondiale di Locarno e la partecipazione al DocLisboa di Lisbona, Bobò è tra i protagonisti del 43° Torino Film Festival ed è stato selezionato per l’IDFA di Amsterdam.
Bobò, il film-documentario di Pippo Delbono, è tra i protagonisti del 43° Torino Film Festival e arriverà nelle sale italiane il 27 novembre. Dopo il trionfo all’anteprima mondiale di Locarno e la partecipazione al DocLisboa di Lisbona, il documentario prosegue il suo viaggio internazionale con la selezione imminente all’IDFA di Amsterdam (il trailer, della durata di 1.31 minuti, è visibile a questo link https://www.mimmomorabito.it/film_uscita_2025/BOBO/Bobo_Trailer.mp4). Un racconto toccante e potente che dalla vita al manicomio di Aversa (Caserta) conduce ai più prestigiosi riflettori europei. La storia di Vincenzo Cannavacciuolo (1936-2019), attore e anima silenziosa del teatro contemporaneo, un viaggio di arte, umanità e resistenza, un atto d’amore e memoria.
«Bobò era un poeta del silenzio, un’anima pura che ci ha insegnato l’umanità. Questo film l’ho fatto per lui, per farlo conoscere al mondo e dargli quello che si merita. È un gesto d’amore per custodirne la luce», racconta Pippo Delbono.
C’è un silenzio che non svanisce, ma resta. Risuona. È la traccia lasciata da Bobò, anima muta e visibile del teatro contemporaneo, protagonista dell’omonimo film documentario diretto da Pippo Delbono che, dopo la straordinaria accoglienza al Festival di Locarno 78, sarà presentato in concorso al prestigioso 43° Torino Film Festival (23 novembre). Subito dopo, arriverà nelle sale cinematografiche italiane dal 27 novembre 2025, con la distribuzione affidata a Luce Cinecittà. Presentato in anteprima mondiale il 7 agosto nella Selezione Ufficiale Fuori Concorso del Festival di Locarno, Bobò ha conquistato critica, pubblico e professionisti internazionali con la sua profondità, umanità e radicalità dello sguardo. Un’opera definita “atipica”, “potente e personale”, capace di restituire dignità a un’esistenza emarginata e di toccare temi universali come la diversità, l’inclusione e la forza trasformatrice dell’arte. Dopo l’anteprima a Locarno, Bobò ha proseguito il suo percorso internazionale approdando, lo scorso ottobre, al DocLisboa — festival interamente dedicato al cinema documentario — e, tra qualche settimana, nella sezione internazionale “Best of Fests”, all’IDFA di Amsterdam, il più importante appuntamento mondiale per il documentario.
Una storia straordinaria
Il film racconta la vita di Bobò (Vincenzo Cannavacciuolo), uomo sordomuto, analfabeta e microcefalo che ha vissuto per 46 anni nel manicomio di Aversa. La sua esistenza prende una svolta inaspettata nel 1995, quando Pippo Delbono lo incontra durante una visita nella struttura e ne rimane profondamente colpito. Da quell’incontro nasce un legame umano e artistico destinato a cambiare per sempre le loro vite.
«Eravamo due vite distrutte che si sono scoperte» racconta Delbono. «Avevamo tutti e due bisogno di uscire dal buio. Eravamo due persone ferite, che volevano vivere».
Attraverso questo incontro, Bobò – fino a quel momento invisibile al mondo – diventa figura centrale nel teatro e nel cinema di Delbono per oltre vent’anni, rivelandosi interprete sorprendente, capace di comunicare con forza e poesia anche senza parole. La sua presenza ridefinisce il linguaggio artistico del regista, trasformando il suo modo di raccontare, di guardare, di creare.
Per «Le Monde» è stato «l’incomparabile attore microcefalo e sordomuto, un piccolo re incerto»; «Avvenire» lo ha definito «icona poetica di libertà e resistenza»; «Doppiozero» ha scritto che «trasforma il caos in archetipo»; mentre «Il Manifesto» ha parlato di «linguaggio silenzioso che tocca l’essenza della vita». E come ha ricordato Teatro.it, «era l’anima del teatro di Delbono, capace di trasformare la fragilità in forza universale».
L’accoglienza della critica internazionale
L’opera ha ricevuto consensi unanimi dalla critica internazionale presente al Festival di Locarno, che ne ha sottolineato:
la profondità e l’umanità: il film scava nella condizione umana, mostrando la forza e la dignità di Bobò nonostante le sue difficoltà;
lo sguardo politico e personale: un’opera fortemente personale che affronta con coraggio temi come l’emarginazione, la diversità e la resistenza;
il linguaggio universale di Bobò: la straordinaria capacità di comunicare ed esprimersi attraverso il corpo e lo sguardo, anche senza l’uso della parola;
un’eredità artistica preservata: il tentativo riuscito di custodire l’eredità artistica di Bobò attraverso materiali d’archivio e registrazioni teatrali.
La critica ha anche accostato il cinema di Delbono a quello di Fellini per la visionarietà e la fascinazione per il “circo” umano, pur sottolineando l’originalità e l’unicità dell’approccio del regista.
Il film
Bobò (regia, soggetto e sceneggiatura di Pippo Delbono) si compone di materiali d’archivio raccolti lungo oltre vent’anni: riprese originali, estratti di spettacoli, interpretazioni teatrali e momenti di vita quotidiana che restituiscono con delicatezza e intensità la figura di Bobò. La digitalizzazione di oltre 300 ore di repertorio s’intreccia con nuove riprese realizzate tra Napoli e Aversa, nei luoghi dove tutto è cominciato. La voce narrante è quella dello stesso Delbono, guida sensibile in un dialogo profondo tra memoria e presente.
«Bobò ballava a ritmo di musica, ma era sordo. È un mistero», racconta Delbono a «Il Venerdì». «Mettevi dal pop a Chopin e lui cambiava danza. Bobò toccava molto il senso del sacro. Lo toccava nella profondità della sua presenza, anche se inconsapevole. Lui non aveva idea del prima e del dopo, era lì, nell’attimo presente, concentrato solo nella vita di ogni piccolo istante. Qualcosa di sacrale, ma anche vicino all’arte dell’attore».
Un gesto d’amore
Bobò si è spento il 1° febbraio 2019 ad Aversa, all’età di 83 anni. Questo film ne restituisce lo sguardo e l’eredità artistica, arrivando nelle sale in un momento simbolicamente significativo, subito dopo la Giornata Mondiale della Salute Mentale, che si celebra ogni anno il 10 ottobre.
«Siamo orgogliosi dell’accoglienza ricevuta da questa storia al pubblico internazionale di Locarno», affermano i produttori Renata Di Leone e Giovanni Capalbo. «È la testimonianza viva del potere dell’arte di restituire dignità e voce a chi è stato dimenticato, e ora siamo felici di portarla al pubblico italiano».
Con le musiche originali di Enzo Avitabile, la fotografia di Cesare Accetta e il montaggio di Marco Spoletini, Bobò è una produzione Fabrique Entertainment, Luce Cinecittà, Inlusion Creative Hub, Vargo, con Rai Cinema.
L’opera è stata realizzata con il contributo del Fondo per lo sviluppo degli investimenti nel cinema e nell’audiovisivo, Ministero della Cultura – Direzione generale Cinema e Audiovisivo. Con il contributo ex L.R. 30/2016 della Regione Campania e Film Commission Regione Campania.
Produttori sono: Renata Di Leone, Giovanni Capalbo, Fabio Volpentesta, Marco Garavaglia, Gianluca Varriale e Alessandro Riccardi. Mentre la distribuzione è di Luce Cinecittà.
Nota sulla distribuzione nelle sale di Pisa e Livorno
Impegnati rispettivamente sui temi dello stop all’istituzionalizzazione e dell’antipsichiatria, Informare un’h – Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli e il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud invitano caldamente quante più persone possibile ad andare a vedere Bobò, per lo straordinario valore artistico dell’opera, per omaggiare l’uomo e per il dirompente messaggio politico che il suo percorso di vita riesce a trasmettere a chiunque sappia mettersi in ascolto.
Bobò sarà proiettato a Pisa al Cinema Arsenale dal 4 al 07 dicembre 2025 ed a Livorno al Cinema Teatro 4 Mori il 12, 14 e 17 dicembre 2025 (per dettagli, orari di programmazione e acquisto biglietti consultare il sito del cinema).
(S.L.)
GENOVA 29/11 presentazione del libro SOCIALMENTE PERICOLOSO di Luigi Gallini

GENOVA sabato 29 novembre c/o Libera Collina di Castello
in piazza Santa Maria in Passione alle ore 18
presentazione del libro di Luigi Gallini
SOCIALMENTE PERICOLOSO La triste ma vera storia di un ergastolo bianco
con il collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud e Collepsikoattivə
a seguire Apericena
Puntata n. 238 Il Diritto Fragile STELLA MARIS: MALTRATTAMENTI, ABUSI E L’ENNESIMA IMPUNITÀ DEI VERTICI
https://www.facebook.com/DirittiallaFollia/videos/1386726653168070
A questo link potete vedere la puntata di Il Diritto Fragile, a cui abbiamo partecipato come collettivo Artaud insieme a Sondra Cerrai, madre di Mattia Giordani
STELLA MARIS: MALTRATTAMENTI, ABUSI E L’ENNESIMA IMPUNITÀ DEI VERTICI
Nella puntata 238 de Il Diritto Fragile abbiamo parlato di uno dei casi più duri e rivelatori della violenza istituzionale in questo Paese. Parliamo della Stella Maris di Montalto di Fauglia, struttura per persone con autismo considerata “eccellenza” della sanità toscana.
Il 4 novembre, dopo anni di processi, denunce e telecamere installate dalle forze dell’ordine, arriva la sentenza di primo grado:
10 condanne tra operatori e operatrici
5 assoluzioni, tutti i vertici fuori da ogni responsabilità
280 episodi di maltrattamento in 4 mesi.
E nessuno ai piani alti “ha visto niente”. Sempre lo stesso schema.
Nel frattempo a Firenze, un’altra ferita: la Corte d’Appello conferma l’assoluzione per la morte di Mattia Giordani, morto nel 2018 dopo un soffocamento legato – con ogni probabilità – all’uso prolungato ed eccessivo di psicofarmaci.
Anche qui, nessuno responsabile.
FIRENZE: 26/11 presentazione del libro RESISTERE A GAZA c/o CPA Fi-sud

FIRENZE mercoledì 26 novembre c/o CPA Fi-sud via di Villamagna 27/A alle ore 18:30
GENOCIDE in PALESTINE vivere e morire all’ombra dello sterminio presentazione del libro
RESISTERE A GAZA . Storie di tre famiglie palestinesi nella Striscia.
Di Brian Barber edizioni Sensibili alle Foglie
Brian Barber è professore emerito all’Università del Tennessee. Il suo lavoro riguarda le modalità in cui il contesto – dalla genitorialità ai sistemi politici – impatta sullo sviluppo individuale e sociale.
SIENA: venerdì 21/11 L’ANTIPSICHIATRIA COME PRATICA QUOTIDIANA c/o Ex- Cappella del San Niccolò

SIENA VENERDì 21 NOVEMBRE c/o Ex- Cappella del San Niccolò alle ore 16:30 via Roma 56
L’ANTIPSICHIATRIA COME PRATICA QUOTIDIANA: contro lo stigma, verso la rivoluzione delle relazioni
dialogo con: Brigata Basaglia – Firenze e Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud – Pisa
a seguire laboratorio antipsichiatrico
organizza Collettiva Frog
FORLì: domenica 16/11 parliamo di ANTIPSICHIATRICA c/o E’ Circulèt (Circolo Asyoli)

FORLI’ DOMENICA 16 NOVEMBRE 2025 E’ Circulèt (Circolo Asyoli) C.so Garibaldi 280
ANTIPSICHIATRIA: NE PARLEREMO CON LE COMPAGNX DEL COLLETTIVO ANTIPSICHIATRICO ANTONIN ARTAUD DI PISA E CON ANGELO DEL COLLETTIVO C.A.M.A.P.
ore 13:00 pranzo conviviale buffet vegan
ore 14:30 chiacchierata su il TSO come strumento di Tortura, Sopruso e Oppressione: rischi legati a questa misura costrittiva e autodifesa legale e pratica.
A seguire decompressione e convivialità
ore 16:00 la psichiatria a scuola: come le aule sono sempre più e sempre più precocemente laboratori di psichiatrizzazione delle nostre vite
ore 17:30 la psichiatria nella vita quotidiana: perchè patologizzare i nostri comportamenti è uno strumento di dominio da parte del potere? perchè siamo antipsichiatricx per una idea di cura radicalmente altra?!
Per info:
Collettivo SAMARA samara@inventati.org
CREARE una ASSEMBLEA PERMANENTE dei PAZIENTI PSICHIATRICI
Riceviamo e volentieri pubblichiamo…
Vorrei mi aiutaste a pubblicizzare la proposta di creare una “Assemblea Permanente dei Pazienti Psichiatrici”. Chi fosse interessato a sostenere e partecipare a questa assemblea può scrivere a:cantodellesirene@gmail.com
Mi chiamo Luigi Gallini e sono nato nel 1964. Sono in trattamento psichiatrico da circa 40 anni. Da 5 anni compiuti sono internato all’ergastolo bianco, ovvero in stato libertà vigilata senza limite massimo di privazione della libertà. Ho iniziato da settembre scorso il 6° anno di internamento. Attualmente sono recluso agli arresti domiciliari presso una “Struttura Psichiatrica Residenziale a Media Intensità” del Torinese.
Dal 2005 partecipo ad attività anti-psichiatriche legate al mutevole contesto dei diversi movimenti spontanei dei pazienti psichiatrici che si sono succeduti in italia: “No Pazzia”, “Osservatorio Italiano Salute Mentale” e “Torino Mad Pride”.
Non sono sempre stato giudicato dalla società un pericolosissimo “pazzo criminale” come da 6 anni a questa parte.
Ho 23 anni di scolarizzazione: sono in possesso di una maturità tecnica agraria, una scuola estiva per tecnico e dirigente di società cooperative, una laurea magistrale in scienze della terra, un dottorato in chimica e mineralogia del suolo e una sorta di post-dottorato all’italiana in geo-microbiologia svolto presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche. Da 2 anni seguo il corso di laurea in Scienze Politiche e Sociali presso il polo carcerario dell’università degli studi di Torino. Dal 1999 al 2021 vita ho insegnato nelle scuole secondarie della provincia di Torino Matematica,
Geometria, Chimica, Biologia, Scienze Naturali e Geografia Astronomica; sia come titolare di cattedra sia come insegnante di sostegno. Sono autore di una dozzina di pubblicazioni scientifiche e ho firmato il testo autobiografico: “Socialmente Pericoloso. La triste ma vera storia di un
ergastolo bianco”, edito dalla Contrabbandiera Editrice per conto del Collettivo Informacarcere del Centro Evangelico Valdese di Firenze.
Scrivo questo appello in quanto vorrei il vostro aiuto per trovare un gruppetto di internati psichiatrici decisi ad impegnarsi in un collettivo focalizzato a svolgere attività politiche e sociali. In particolare, a lavorare per creare le basi di una ampia “Assemblea Permanente dei Pazienti Psichiatrici”, autonoma e indipendente dai poteri economici e politici.
Attualmente, dal panorama associativo italiano, sono assenti le organizzazioni indipendenti di pazienti psichiatrici. Le uniche associazioni di pazienti psichiatrici che esistono, sono emanazioni di
interessi politici ed economici forti e sono gestite da fondazioni bancarie o dalle Aziende Sanitarie Locali.
Gli obiettivi dell’Assemblea Permanente dei Pazienti Psichiatrici per la quale cerco collaboratori, sono molteplici, ma fondamentalmente il suo scopo sarebbe quello di costituire una struttura associativa atta a rappresentare politicamente, e a difendere in modo corporativo, i diritti dei pazienti psichiatrici; atta a rappresentare socialmente e politicamente la voce dei pazienti psichiatrici in modo indipendente dalle Banche e dalle Aziende Sanitarie Locali.
Attualmente, in questo progetto sono solo. Se fosse possibile, vorrei il vostro aiuto per poter raggiungere e contattare altri internati psichiatrici, come me interessati a lavorare ad un progetto di associazione nazionale.
Chi fosse interessato ad aiutare a far nascere una Assemblea Permanente dei Pazienti Psichiatrici, può scrivere a: cantodellesirene@gmail.com.
Grato dell’attenzione fin qui dimostrata e confidando in un vostro gentile riscontro, vi porgo i miei migliori auguri di buona prosecuzione di tutte le vostre attività.
Con preghiera di diffusione,
Luigi Gallini
Link per ascoltare intervista a radio Onda D’Urto con il commento sulla sentenza del processo per il maltrattamenti
https://www.radiondadurto.org/2025/11/06/pisa-maltrattamenti-e-abusi-su-persone-autistiche-10-condanne-alla-stella-maris-assolti-i-vertici/
Questo è il link per ascoltare l’intervista che abbiamo fatto, come collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud, a radio Onda D’Urto per commentare la sentenza di primo grado del processo sui maltrattamenti alla Stella Maris. Abbiamo approfondito anche altri aspetti: la lotta antipsichiatrica, l’orizzonte e il significato sociale di una sentenza del genere.
PISA: MALTRATTAMENTI E ABUSI SU PERSONE AUTISTICHE. 10 CONDANNE ALLA STELLA MARIS, ASSOLTI I VERTICI
Martedì 4 novembre si è concluso il processo di primo grado in merito all’inchiesta che vedeva imputata la Fondazione Stella Maris per i maltrattamenti e gli abusi subiti dagli utenti ospitati nella struttura per persone autistiche a Montalto di Fauglia (PI). 15 le persone coinvolte, tra operatori e figure apicali della Fondazione.
Il Tribunale di Pisa – presieduto dalla giudice monocratica Susanna Messina – ha condannato 10 tra operatori e operatrici, ma assolto i vertici della Fondazione.
Un esito che ha lasciato l’amaro in bocca, soprattutto alle famiglie delle persone che hanno subito abusi e maltrattamenti, e che arriva dopo un lunghissimo proccesso iniziato a seguito della denuncia dei genitori di un assistito e alla conseguente introduzione di telecamere, da parte delle forze dell’ordine, all’interno della struttura. Riprese che alzeranno poi il velo sugli abusi e i maltrattamenti a lungo sospettati da alcuni famigliari, facendo emergere pratiche contenitive inaccettabili, come il tappeto contenitivo, e dando il via all’inchiesta.
In occasione dell’udienza, il Collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud ha organizzato il 22esimo presidio solidale davanti al Tribunale di Pisa, in sostegno e solidarietà alle famiglie delle vittime dei maltrattamenti”.
Per il collettivo l’obiettivo è offrire una supporto solidale a chi ha attraversato questa vicenda dolorosa, ma anche mantenere alta l’attenzione sia sui meccanismi e le dinamiche che regolano queste strutture psichiatriche – vere e proprie “istituzioni totali“, al pari di carceri e Cpr, finanziate da fondi pubblici – sia sul fenomeno della “psichiatrizzazione sociale, che avanza un po’ ovunque nel silenzio generale”.