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MOUSTAFÀ FANNANE: ENNESIMA VITTIMA DEL SISTEMA CPR
MOUSTAFÀ FANNANE: ENNESIMA VITTIMA DEL SISTEMA CPR
ovvero una morte sospetta per abuso di psicofarmaci dopo la detenzione in un Centro Per il Rimpatrio
Il 19 Dicembre 2022 a Roma è venuto a mancare Moustafà Fannane, classe 84, originario della città marocchina di Fqih Ben Salah. Ennesima morte sospetta per abuso di psicofarmaci.
Moustafà era giunto in Italia nel 2007, come molti suoi conterranei alla ricerca di un futuro migliore, e per un periodo di tempo aveva svolto una vita regolare fatta di lavoro al fine di aiutare la famiglia in Marocco in grave difficoltà economica. Descritto dai suoi conoscenti come persona gentile e educata, nel 2014 comincia ad avere delle difficoltà, perde il lavoro e l’alloggio. Come se non bastasse in questa situazione drammatica e precaria nel 2015 viene raggiunto da un decreto di espulsione, circostanza che non sarebbe mai stato in grado di affrontare dal punto di vista legale viste le condizioni in cui versava.
Nel 2019 viene trattenuto per sei mesi presso i Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) di Roma e Torino. Nell’estate 2020 nonostante la sua condizione di disagio psicologico e socio-economico verrà nuovamente condotto nel CPR. Molti residenti, nel quartiere Torpignattara a Roma dove viveva, hanno giudicato tale misura del tutto ingiusta e inappropriata nei confronti di una persona che aveva bisogno di cure e sostegno. Nell’agosto 2022 viene nuovamente arrestato e condotto nuovamente nel CPR. Verrà ritenuto idoneo a rimanere recluso. Durante questo ultimo trattenimento, in contatto con una sua conoscenza lamenterà di essere affetto da un gonfiore a carico del volto di cui non sa spiegare il motivo, circostanza notata poi da molte altre persone una volta uscito le quali sono rimaste molto sorprese dalle sue condizioni definite come qualcosa di simile a un abuso di psicofarmaci, apatia, pallore. Nella documentazione rilasciata dal centro ai legali dei familiari non risultano fogli di dimissioni, pertanto dopo 3 mesi di terapia basata sulle 25 – 50 gocce giornaliere di Diazepam, Moustafà viene rilasciato senza nessuna indicazione terapeutica o prescrizione di visita specialistica. Verrà rinvenuto in strada privo di sensi e troverà la morte nell’ospedale Vannini a sole tre settimane dal rilascio dal CPR.
Sappiamo bene che sono gli psicofarmaci lo strumento principale di gestione delle persone recluse nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio dei migranti. Antiepilettici, antipsicotici, antidepressivi e metadone: “servono per stordire donne e uomini in modo che mangino di meno, restino più tranquilli e resistano di più al sovraffollamento, nelle gabbie in cui vengono stipati. All’ente gestore gli psicofarmaci costano meno del cibo e permettono di riempire maggiormente i CPR e allungare il tempo di permanenza di ciascun migrante nella struttura, in modo da aumentare i guadagni”. Presso i CPR “non sono previste attività, le giornate sono tutte uguali; un operatore ci ha raccontato che gli psicofarmaci sono usati per stordire le persone così “mangiano di meno, fanno meno casino, rivendicano di meno i loro diritti”. La spesa per gli psicofarmaci è altissima mentre la tutela della salute all’interno dei CPR non è affidata a figure specialistiche che lavorano per il Ssn bensì da assunti da enti gestori che mirano a risparmiare”. Sui numeri: rispetto all’esterno, su una popolazione di riferimento simile, la spesa in antidepressivi, antipsicotici e antiepilettici nella struttura di via Corelli a Milano è di 160 volte più alta, al CPR di via Brunelleschi a Torino 110, a Roma 127,5, a Caltanissetta 30 e a Macomer 25. Addirittura a Roma, in cinque anni, sono state acquistate 154.500 compresse di Buscopan su un totale di 4.200 persone transitate. In media, 36 pastiglie a testa quando un ciclo ‘normale’ ne prevede al massimo 15. A Torino la spesa in Clonazepam (Rivotril) dal 2017 al 2019 è di 3.348 euro, quasi il 15% del totale (22.128 euro) mentre a Caltanissetta tra il 2021 e il 2022 sappiamo che sono state acquistate 57.040 compresse: 21.300 solo nel 2021, a fronte di 574 persone trattenute. Significa mediamente 37 a testa. Anche a Milano il Rivotril rappresenta la metà del totale della spesa in psicofarmaci con 196 scatole acquistate in soli cinque mesi.1
Questa triste vicenda dai molti punti ancora oscuri ci invita a interrogarci come sia stato possibile che una persona in difficoltà come Moustafà sia potuto essere stato soggetto a numerosi arresti e trattenimenti presso dei CPR; se le Istituzioni abbiano mai realmente provato a fare qualcosa per questa persona. Ci domandiamo anche se il rispetto e la tutela della salute dei reclusi dentro i CPR siano garantiti a partire dalle visite mediche.
Per il momento per la morte di Moustafà è stato aperto un procedimento presso la Procura di Roma. Ci auguriamo che venga fatta chiarezza sulle reali cause del decesso di Moustafà che cercava solo una vita migliore.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38, 56100 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org 3357002669
1https://altreconomia.it/rinchiusi-e-sedati-labuso-quotidiano-di-psicofarmaci-nei-cpr-italiani/
UN GIORNO TIPO NELLA RESIDENZA PSICHIATRICA AD ALTA PROTEZIONE. “CURA”, O “CONTENIMENTO”?
Riceviamo e pubblichiamo questo scritto su come i reclusi in una residenza psichiatrica ad alta protezione trascorrono le giornate. Sotto il link dove potete trovare il racconto con i disegni.
UN GIORNO TIPO NELLA RESIDENZA PSICHIATRICA AD ALTA PROTEZIONE. “CURA”, O “CONTENIMENTO”?
Come sono trascorse le giornate dai detenuti in una residenza psichiatrica ad alta protezione? E’ presto detto; sebbene la detenzione in ospedale sia assai meglio rispetto a quella sperimentata in carcere, la vita in una struttura psichiatrica forense, è essenzialmente sonno e attesa. Una estenuante attesa di ciò che forse arriverà mai più per nessuno dei detenuti: il ritorno alla vita “normale”.
Le strutture psichiatriche ad alta protezione, più che dei luoghi di cura, sembrano cronicari senza via d’uscita. I servizi di salute mentale di zona, muovono intense resistenze a riprendere in cura sul territorio il folle una volta che questo è entrato nel circuito forense. Vi sono folli detenuti nel circuito forense da 4, 8 o 12 anni, talvolta a causa di reati bagatellari.
Tra le 08:00 e le 08:30 c’è la sveglia. Si può fare la doccia, cambiarsi d’abito, e riordinare il letto. Alle 08:30 noi detenuti siamo ammassati nel locale di disimpegno dell’area notte, per essere quindi tradotti nei locali dell’area giorno. Osservarci deambulare attraverso il cortile del comprensorio medico è patetico. Ci spostiamo alla spicciolata, ciondolando e strascicando i piedi, come un gruppo sparuto di folli dimenticati dal mondo. I ventri, prominenti come botti, ballonzolano su piedi che paiono sfuggire la presa del terreno come se sferici, oscillando attaccati a gambette che paiono di gomma. Ci muoviamo muti, tristi, contriti e avviliti, come vergognosi della nostra misera condizione. La struttura ci omaggia gli abiti, nel caso che noi non si abbia una famiglia che possa provvedere. Siamo ben vestiti, degli abiti sicuramente non ci possiamo lamentare! Quanto ai farmaci, il discorso è diverso: non c’è nessuno di noi che scampi i pesanti effetti collaterali degli psicofarmaci che ci somministrano con abbondanza. Questi abbracciano tutto lo spettro ammissibile: sindrome metabolica, diabete, discinesia, tremori Parkinson-simili, acatasia.
Molti detenuti all’ergastolo bianco hanno la sensazione di essere caduti in un pozzo nero senza uscita. Senza prospettive di vita innanzi, è facile abbandonare ogni speranza e ogni velleità. Autostima e fiducia in se stessi crollano presto.
Negli ampi e spaziosi locali dell’area giorno, puntualmente, tra le 08:30 e le 09:30 è distribuita la colazione: latte, the, caffè d’orzo e fette biscottate. Pare di essere ad un punto di ristoro della Croce Rossa. Nell’infermeria attigua al refettorio che svolge anche funzioni d soggiorno, ci somministrano gli psicofarmaci del mattino, e scegliamo cosa mangiare per il pranzo e la cena dell’indomani. Dopo due o tre anni di reclusione, il vitto, sempre uguale a se stesso, non si gusta più: si ingurgita come per dovere. Nella struttura ospedaliera in cui siamo reclusi comunque il cibo è assai meglio di quello scadente somministrato in carcere. Abbiamo anche la possibilità di scelta tre tre diverse portate!!! Una volta alla settimana, il sabato, un gruppo di detenuti cucina per tutti i reclusi. Possiamo allora sperimentare per vitto qualcosa di diverso e saporito, di insolito e vivificante.
Tra detenuti della struttura forense ad alta protezione si tende a socializzare poco. Forse in quanto ristretti in spazi limitati e privati delle libertà, tendiamo a mantenere fra di noi detenuti la massima riservatezza.
Tra le 09.30 e le 12:00, non sappiamo cosa fare e come impegnare il tempo; assonnati e intontiti dai farmaci, deambuliamo nell’area giorno. Qualche recluso talvolta cerca di sdraiarsi a dormire sul pavimento dei locali, o d’estate sul prato, ma questo non è consentito dal regolamento. Spesso, in molti, appoggiano il capo al tavolo del refettorio, sulle braccia conserte, e dormono seduti. I meno sedati fanno qualche partita a carte, seguono qualche trasmissione televisiva, o leggono il giornale.
Diversi detenuti della comunità hanno contatti scarsi o nulli con il mondo esterno a quello reclusorio. Guardare la televisione o ascoltare musica sui cellulari sono le principali vie di evasione e di contatto con il mondo.
Alle ore 12:00 puntuale, arriva cigolando il carrello con i contenitori termici del pranzo, inviato dalla cucina dell’ospedale. Per me il pranzo è il momento più triste della giornata. Per non disturbare gli operatori che lo somministrano, siamo incolonnati davanti al gabbiotto del cibo, zitti, muti, avviliti. Una volta avuto il vitto, silenziosi trasciniamo i piedi e ci spostiamo a sedere ai tavoli del refettorio. Consumiamo il pasto in silenzio, senza parlare, e senza convivialità. Come chi deve. I farmaci mettono fame: mangiamo con fretta e voracità, ingurgitando i bocconi ma senza gustare. Alle 12:30, puntualissimi, sparecchiamo. I detenuti di turno lavano le stoviglie, puliscono tavoli e pavimento del refettorio. I detenuti che non sono di turno nelle pulizie attendono in cortile, deambulando muti su gambe che paiono molle di gomma, oppure seduti ai tavoli di plastica del cortile, ascoltando musica. Tra le 13:30 e le 14:00 ci somministrano gli psicofarmaci. Siamo quindi aggruppati sullo spiazzo asfaltato, e spinti a muoverci dagli operatori attraverso il cortile del comprensorio medico verso l’area notte, come una dolente mandria di barcollanti e tremebondi ebeti sconfitti.
Nel rapporto con il detenuto, l’operatore dedica molta energia a spiegare opportunità e necessità della reclusione. Nel disegno, una operatrice che spiega come per tornare liberi è necessario “molto tempo”.
Tra le 14:00 e le 16:00, dormiamo. Non più accasciati con la testa reclinata sulle braccia conserte appoggiate sui tavoli, ma nei comodi letti. Capita raramente di non avere sonno o di avere voglia di muoversi nella struttura, blindata e chiusa, dell’area notte. Per lo più, il soggiorno dell’area notte è quasi completamente deserto: i farmaci che ci somministrano paiono dosati per farci dormire tutti 14 ore al giorno abbondanti, nessuno escluso. Alle 16:00, a fatica, gli operatori psichiatrici ci svegliano e ci fanno scendere dai letti. Ci riuniscono nei locali di disimpegno per condurci nuovamente all’area giorno. La raggiungiamo attraverso il cortile inerbito e alberato del complesso ospedaliero. Ci muoviamo silenziosi e scuri, ombrosi, barcollanti, ancora una volta in muta attesa di qualcosa che non arriva, quale mandria dolente di umanità dolente e sconfitta.
Il gioco delle carte è uno dei pochi passatempi socializzanti praticati nella struttura forense ad alta protezione. Al gioco delle carte partecipano anche infermieri ed OSS. I detenuti della struttura forense sono comunque poco inclini a socializzare: forse per socializzare c’è bisogno di gioia e libertà!!!
Tra le ore 16:00 e ore 19:00 attendiamo nell’area giorno, senza sapere come occupare il tempo. I più intontiti dai farmaci dormono con la testa reclinata sulle braccia conserte, seduti ai tavoli del refettorio; quelli meno sedati giocano a carte, leggono il giornale o seguono spettacoli televisivi.
Nel corso dei colloqui e delle terapie di gruppo, è facile che l’argomento scelto dal “terapeuta” sia l’attualità. In questo caso è utile, per sostenere la conversazione, aver letto il giornale o guardato la televisione. Sulla vita passata dal detenuto, sulla sua vita pregresse e sulle sue aspettative di vita sono poste poche attenzioni.
Alle ore 19:00, puntuale, arriva sferragliante e tintinnante il carrello con le razioni della cena Vengono spente la televisione e tutti i dispositivi elettronici; si mangia in silenzio, ai nostri tavoli abituali, quelli decisi dagli operatori psichiatrici al nostro arrivo in struttura. Alle ore 19:30 abbiamo finito e consumato il pasto. Sparecchiamo i tavoli, e chi è di turno pulisce le stoviglie, i tavoli e il pavimento del refettorio. Alle ore 20:00 gli operatori psichiatrici della struttura ci riportano nell’area notte, dove ci somministrano gli psicofarmaci della sera e andiamo quindi a dormire.
Nell’area notte della struttura, c’è un ampio soggiorno in cui troneggia la televisione. Per chi si alza presto il mattino o che tarda ad addormentarsi la sera, è una occasione per guardare film o telegiornali in solitudine.
Dalle ore 20:00 alle ore 08:00 dormiamo nelle nostre stanza un sonno nero, greve, sudato e senza sogni, percorso come dalle scosse elettriche della discinesia tardiva, o accartocciati su noi stessi, o comunque accasciati nei letti in posizioni innaturali e bizzarre. A vederci sdraiati tutti insieme, a colpo d’occhio, sembriamo birilli lanciati per aria e lasciati cadere a terra da un gioco cosmico senza senso alcuno.
LINK per vedere il reportage “La STORIA DI MATTIA – Il più grande processo per maltrattamenti ai disabili in Italia ”
https://www.rainews.it/rubriche/spotlight/video/2023/07/Spotlight-del-25072023-d08c6796-2baf-4725-aec4-d6ec2d18133d.html
Questo è il link per vedere il reportage andato in onda domenica 23 luglio su Rainews24 dal titolo “La STORIA DI MATTIA – Il più grande processo per maltrattamenti ai disabili in Italia ” a cura di Maria Elena Scandaliato. Un’ indagine sulla morte di Mattia Giordani e sui maltrattamenti avvenuti nel 2016 nella struttura per disabili di Montalto di Fauglia in provincia di Pisa gestita dalla fondazione della Stella Maris.