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TRATTAMENTI SANITARI O SEQUESTRI DI PERSONA? IL CASO DEL SIGNOR L.

  • July 30, 2020 5:18 pm

TRATTAMENTI SANITARI O SEQUESTRI DI PERSONA?

 Il signor L. giovedì 16 luglio è stato prelevato dalla sua abitazione da infermieri e vigili urbani con la forza senza nessun provvedimento di TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) nei suoi confronti, senza nessuna notifica e senza nessuna visita psichiatrica. Il provvedimento di TSO è stato firmato dal sindaco solo dopo che è stato ricoverato in ospedale; infatti attualmente L. si trova da 2 settimane nel reparto SPDC (Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura) dell’ Ospedale Le Molinette di Torino.

Il signor L. vuole esercitare il proprio diritto di libera scelta fra proposte terapeutiche differenziate e concordate col medico curante, preferendo una somministrazione di tipo orale a quella per via intramuscolare del farmaco neurolettico Haldol, da anni somministrato con cadenza mensile. La somministrazione di tale farmaco provoca indesiderabili effetti collaterali di danno neurologico di cui il signor L. non è stato sufficientemente informato, ciò nonostante ha potuto lavorare al CNR, all’Università, al comune di Torino, alla Regione Piemonte, al MEPAEGE, al NeZZS, alla NASA-Astrobiology Istitute.

Poiché il consenso deve sempre essere personalizzato, basato sulla valutazione dell’informazione, sulle possibili conseguenze di trattamento e di non trattamento, e sempre attualizzato, e che il paziente ha il diritto di decidere circa la propria salute, non sussistono gli estremi che legittimino il ricorso al TSO, visto che non viene minimamente espresso un rifiuto della terapia farmacologica. Il consenso del signor L. al trattamento psichiatrico non è stato ricercato in nessun modo e nessuna informazione gli è stata fornita circa i farmaci somministrati per via intramuscolare ed orale all’interno del SPDC. Il signor L., oltre a non aver mai rifiutato le cure, non è mai stato trovato (né durante l’esecuzione del provvedimento da parte delle forze dell’ordine, né in reparto) in uno stato di alterazione mentale da rendere necessario il ricovero. Qualunque sia stato il problema che ha fatto innescare il trattamento (ad esempio una mancata presentazione alla mensile somministrazione di Haldol intramuscolare), lo si poteva risolvere diversamente.

Giovedì 23 luglio è scaduto il primo provvedimento di TSO e ad oggi non è stata né consegnata né firmata da L. nessuna richiesta di proroga del provvedimento. Pertanto denunciamo che il signor L. è, ad oggi giovedì 30 luglio, trattenuto in modo coatto. Ci auspichiamo che non sia ulteriormente trattenuto contro la sua volontà all’interno del reparto e che possa far rientro presso la sua abitazione al più presto.

Negli ultimi giorni di degenza in reparto è stato prospettato al signor L. il ricovero in una clinica privata convenzionata senza la sua approvazione. Un vero e proprio ricatto che sempre più spesso viene rivolto alle persone che dovrebbe essere invece dimesse senza condizioni.

Se, in teoria, la legge prevede il ricovero coatto solo in casi limitati e dietro il rispetto rigoroso di alcune condizioni, la realtà testimoniata da chi la psichiatria la subisce è ben diversa. Con grande facilità le procedure giuridiche e mediche vengono aggirate: nella maggior parte dei casi i ricoveri coatti sono eseguiti senza rispettare le norme che li regolano e seguono il loro corso semplicemente per il fatto che quasi nessuno è a conoscenza delle normative e dei diritti del ricoverato.

Perché molto spesso prima arriva l’ ambulanza per portare le persone in reparto psichiatrico (SPDC) e poi viene fatto partire il provvedimento? Perché la persona non viene informata di poter lasciare il reparto dopo lo scadere dei sette giorni ed è trattenuto inconsapevolmente in regime di TSV (Trattamento Sanitario Volontario) ? Perché i pazienti che si recano in reparto in regime di TSV sono poi trattenuti in TSO al momento in cui richiedono di andarsene?

Perché i gravi danni dovuti alla somministrazione prolungata degli psicofarmaci non vengono presi in considerazione a livello sanitario?

Diffusa è la pratica di far passare, tramite pressioni e ricatti, quelli che sarebbero ricoveri obbligati per ricoveri volontari: si spinge cioè l’individuo a ricoverarsi volontariamente minacciandolo di intervenire altrimenti con un TSO. La funzione dell’ASO (Accertamento Sanitario Obbligatorio) è generalmente quella di portare la persona in reparto, dove sarà poi trattenuta in regime di TSV o TSO secondo la propria accondiscendenza con gli psichiatri.

Il TSO è usato, presso i CIM (Centri Igiene Mentale) o i Centri Diurni, anche come strumento di minacce quando la persona chiede di interrompere il trattamento o sospendere/scalare la terapia; infatti oggi l’ obbligo di cura non si limita più alla reclusione in una struttura, ma si trasforma nell’impossibilità effettiva di modificare o sospendere il trattamento psichiatrico per la costante minaccia di ricorso al ricovero coatto cui ci si avvale alla stregua di uno strumento di oppressione e punizione.

 

Collettivo Antipsichiatrico Antonino Artaud

antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org 335 7002669

AGGIORNAMENTI SULLA VICENDA di ALICE DI VITA

  • July 23, 2020 3:24 pm

Sotto trovate una lettera di Antonio Di Vita con gli ultimi aggiornamenti sulla vicenda di Alice. Antonio da tempo lotta per la libertà di scelta terapeutica, contro l’obbligo di cura e per la liberazione di sua figlia Alice. Ad Antonio è negato il diritto di visitare sua figlia, infatti da quando è stato nominato un Amministratore di Sostegno ogni volontà di Alice e suo padre è stata calpestata. Vi chiediamo di pubblicare la storia di Antonio e sua figlia sui vostri canali e sui vostri siti, di inoltrarla il più possibile nella speranza che altri si uniscono alla sua battaglia per la liberazione di Alice.

 

Collettivo Antipsichiatrico Antonino Artaud

antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org 335 7002669

 

AGGIORNAMENTI SULLA VICENDA di ALICE DI VITA

Il giorno 15/07/20 alle 18:16 Alice è stata ricoverata al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Bibbiena, per dislocazione della nuova cannula tracheostomica. La cannula in questione era stata inserita dal pneumologo dell’ Istituto La Consolata di Serravalle di Bibbiena, nella trachea di mia figlia il giorno 14/07/20 in sostituzione di quella che già aveva. Fin dai primi momenti mia figlia ha manifestato irritazione, irrequietezza e sintomi di rigetto di questa nuova cannula. Sintomi che si sono aggravati e che ne hanno determinato il ricovero presso il Pronto Soccorso di Bibbiena.

Non riuscendo a reinserire la cannula, dal Pronto Soccorso di Bibbiena Alice è stata trasferita al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Arezzo, con richiesta urgente di visita otorinolaringoiatrica.

Sono stato contattato telefonicamente durante il tragitto verso l’Ospedale di Arezzo e mi sono recato immediatamente là. Raggiunto il Pronto Soccorso ho parlato con la Dr.ssa De Giorgi G. la quale, prima di visitare Alice, mi ha chiesto informazioni riguardo alla storia clinica di mia figlia. Dopo aver visitato Alice la Dr.ssa mi ha informato sulle condizioni di mia figlia e mi ha chiesto se conoscevo chi seguiva il problema della cannula e da quanto tempo Alice non era stata visitata. Io ho risposto che Alice era seguita da un medico pneumologo e che proprio il giorno 14/07/20 aveva sostituito la cannula a mia figlia.

La Dr.ssa De Giorgi, irrigidendosi e scura in volto, ha espresso una considerazione: “Strano che il pneumologo non si sia accorto del cercine nella trachea di Alice”. La dottoressa mi ha quindi richiesto il perché ad Alice non era stata tolta la cannula dopo così tanto tempo, visto e considerato che non c’è malacia. A seguito delle mie spiegazioni date sulla base dei fatti che ho constatato di persona, la dottoressa è rimasta esterrefatta da tutto quanto è stato fatto, o meglio non fatto.  Mi ha spiegato che la situazione attuale di Alice è molto critica e mi ha anche detto che avrebbe esposto il caso al suo responsabile, Dr Guido Ciabatti, per intervenire chirurgicamente al più presto per la rimozione del cercine e della cannula,   per rimettere Alice in condizioni di tornare a respirare in modo autonomo senza più bisogno di protesi.

La Dr.ssa De Giorgi ha espresso anche un’altra perplessità riguardo al fatto che, sebbene le corde vocali di Alice siano parzialmente paralizzate, Alice riesca a parlare. Perché le corde vocali sono solo parzialmente e non del tutto paralizzate come avviene nella stragrande maggioranza dei casi? L’ho messa al corrente di fatti e cose delle quali sono a conoscenza e il suo sbalordimento è divenuto ancora maggiore.

Le tante richieste rivolte al giudice tutelare sia tramite istanze, sia attraverso lettere da me stesso scritte, affinché io potessi prendermi cura di mia figlia e farla curare presso centri altamente specializzati che avevo personalmente contattato e che si erano dimostrati pronti ed ottimisti per la risoluzione del caso di mia figlia si sono rilevate ad oggi vane. Il giudice tutelare e l’amministratore di sostegno di Alice hanno sempre rigettato le mie richieste, spesso con meschine giustificazioni, incuranti del dolore e disagio fisico e morale arrecato ad Alice. Possibile che in oltre tre anni nessuno si sia preoccupato minimamente di far visitare Alice da persone veramente competenti nella materia?  D’altra parte il giudice ha eluso la legge del 2009 (citata nelle istanze poste dal mio avvocato, Dr.ssa Malune) non prendendo in considerazione la volontà espressa da mia figlia di voler tornare a vivere con suo padre. Questa precisa volontà di mia figlia è stata da lei esternata ben tre volte in date differenti: la prima durante l’udienza del 19/11/18, la seconda in una lettera del 18/03/19 indirizzata al giudice tutelare e la terza nella relazione della C.T.U., Dr.ssa Biagi, del gennaio 2020.

Il giorno 21/07/20 mi sono recato, accompagnato dal collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud, dal garante dei diritti delle persone private di libertà della regione Toscana e dal difensore civico regionale. Hanno ascoltato il mio racconto della storia di Alice e il difensore civico si è dimostrato interessato ad approfondire la vicenda.

Vi chiedo di sostenermi nella mia battaglia per ridare la vita ad Alice che si torva reclusa senza aver commesso alcun reato e senza alcuna prospettiva di vita nel vero senso della parola.

Antonio Di Vita

Intervista su Radio Onda Rossa: racconto sul presidio per Alice e sui TSO in generale

  • July 18, 2020 3:21 pm

http://www.ondarossa.info/newsredazione/2020/07/psichiatria-presidio-alice

dai microfoni di Radio Onda Rossa come collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud torniamo sulla vicenda di Alice una ragazza di 26 anni rinchiusa che il padre non riesce a vedere dal giorno del ricovero. Con lui abbiamo organizzato un presidio. Commentiamo anche la proposta del ministro Speranza di fare il TSO a chi non vuole sottoporsi al ricovero causa Covid.

 

APPELLO per il MANTENIMENTO DEFINITIVO e GARANTITO dei COLLOQUI AUDIO-VISIVI negli ISTITUTI PENITENZIARI.

  • July 3, 2020 3:11 pm

PER IL MANTENIMENTO DEFINITIVO E GARANTITO DEI COLLOQUI AUDIO-VISIVI NEGLI ISTITUTI PENITENZIARI.

APPELLO ALLE ISTITUZIONI, ALLA SOCIETÀ CIVILE, AI DETENUTI, ALL’ASSOCIAZIONISMO E AI LIBERI CITTADINI

FIRMA ANCHE TU SU https://www.change.org/p/alfonso-bonafede-firma-per-mantene…

Covid-19: la sospensione dei colloqui, le rivolte, la rappresaglia.

La dichiarazione di emergenza sanitaria, a seguito della pandemia di covid-19, ha comportato come prima misura la sospensione dei colloqui nelle carceri.
In prigione, il rischio di contagio è alto, dato che – in condizioni “normali” – oltre la metà dei detenuti ha tra i quaranta e gli ottant’anni e che è altissima la percentuale di coloro che presentano almeno una malattia cronica o un sistema immunitario compromesso. Tuttavia, più che la paura di fare la “fine del topo” in caso di contagi, è stata la sospensione delle visite dei familiari a fare male e a dare il via alle rivolte di inizio marzo 2020. Da sempre, la letteratura carceraria e le testimonianze dei reclusi confermano che il colloquio è l’unica boccata d’aria vitale che permette di sentirsi ancora umani.
Dopo quarant’anni, i detenuti sono tornati sui tetti delle carceri, hanno occupato i corridoi, sono insorti contro un provvedimento che tagliava il loro unico contatto col mondo, coi figli, con i partner, coi genitori. Nelle molte rivolte – a Modena, Foggia, Salerno, Napoli, etc. – sono stati incendiati materassi e alcune suppellettili. Almeno seimila detenuti ne hanno preso parte. Quattordici hanno drammaticamente perso la vita. A corpi ancora caldi, senza alcuna autopsia, senza alcun esame tossicologico, istituzioni e organi di stampa si sono affrettati a dichiarare che tutti i decessi sono avvenuti per overdose da cocktail di droghe pesanti.
In molti istituti si sono registrate segnalazioni di vere e proprie rappresaglie, con trasferimenti in massa punitivi e violenze da parte del personale di polizia penitenziaria. In alcuni casi gli agenti avrebbero agito anche contro detenuti che non avevano preso parte alle rivolte, anziani e malati. I fatti di cronaca sono numerosi. Alcuni esempi:
− nel carcere di Opera gli agenti avrebbero usato manganelli sulle braccia e sulle mascelle dei prigionieri e avrebbero inferto calci nei testicoli;
− nel carcere di Melfi i detenuti sarebbero stati denudati, picchiati, insultati, messi in isolamento e costretti a firmare fogli in cui dichiaravano di essere accidentalmente caduti;
− nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, dopo una pacifica battitura delle sbarre (sistema non violento per fare rumore in segno di protesta), quattrocento agenti in tenuta antisommossa sarebbero entrati con volti coperti e mani guantate per reprimere violentemente i “rivoltosi”.
Decine di agenti hanno ricevuto avvisi di garanzia per il reato di tortura. I fatti sono ancora al vaglio degli inquirenti, ma destano grande angoscia e preoccupazione in ogni sincero cittadino democratico.

Cosa significa fare un colloquio in carcere.

Fare un colloquio di persona in carcere non è così semplice da sopportare né piacevole come si pensa. I detenuti sono perquisiti, denudati e osservati nell’ano. Anche i familiari sono perquisiti, sebbene in modo meno invasivo. Moltissimi prigionieri risiedono in istituti lontani dal luogo di residenza: per fargli visita, le famiglie devono percorrere centinaia di chilometri, moltissime ore di viaggio, con una spesa economica spesso insostenibile per l’aereo, il traghetto, il treno o l’automobile. Donne, anziani e bambini stanchi e provati dal lungo viaggio entrano in carcere per riabbracciare il loro congiunto, senza che nessuno offra loro un po’ d’acqua. Il colloquio avviene sotto l’occhio vigile dell’autorità, che interviene per impedire un bacio solo un po’ passionale tra marito e moglie, o per richiamare un bambino troppo vivace che ha il desiderio di alzarsi e correre qua e là. Terminato il breve tempo del colloquio, i saluti devono essere rapidi e i blindati si richiudono rinnovando ogni volta, senza pietà, la separazione.
Molti detenuti non hanno famiglia in Italia; moltissimi risiedono in regioni distanti da casa; per una moltitudine di famiglie il costo dello spostamento per un colloquio diretto è insostenibile.
Eppure, nonostante questo, il colloquio in carcere rimane l’unica cosa per cui valga la pena lottare, sebbene l’istituzione faccia il possibile per renderlo il meno appetibile possibile.

Perché tutto non vada perso.

Le dimostrazioni dei detenuti hanno ottenuto un risultato imprevisto e importante: la possibilità di accedere ai colloqui via Skype.
I colloqui via Skype non sono una novità legata alla pandemia. Erano stati avviati in via sperimentale in alcuni istituti e, con una circolare del 19 gennaio 2019, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e la Direzione Generale Detenuti e Trattamento hanno tratto un bilancio della sperimentazione dando il via alla possibilità del colloquio telematico ai detenuti di “media sicurezza”. La Circolare stabilisce che i collegamenti audio-visivi sono paragonabili ai colloqui ordinari e che li sostituiscono, per un massimo di sei collegamenti al mese della durata di un’ora. La piattaforma usata è Skype for business, che si avvale della rete intranet del Ministero della Giustizia e che pertanto “fornisce le garanzie necessarie in termini di sicurezza”. Il collegamento è visibile al personale incaricato da una postazione remota. In caso di comportamenti “non corretti del detenuto” o dei familiari, la comunicazione viene interrotta, con la conseguenza della interruzione del diritto alla video-chiamata da parte del detenuto coinvolto. Il collegamento telematico è dunque sicuro, controllato e pensato dall’Amministrazione Penitenziaria per “facilitare le relazioni familiari”.
Questo era lo stato dell’arte, rimasto sperimentale, fino allo scoppio della pandemia.
La novità è che molti detenuti hanno potuto accedere per la prima volta ai colloqui via Skype, finalmente introdotti in molti penitenziari italiani.
L’introduzione dei collegamenti audiovisivi – dice il garante dei detenuti di Livorno Giovanni De Peppo – alleggerisce “il clima di preoccupazione per la sospensione delle visite” e ha stemperato le tensioni. Questo conferma che le rivolte sono rientrate a seguito dell’introduzione dei contatti telematici con le famiglie, e che tale introduzione è da ritenersi una conquista.
L’emergenza scatenata dal covid-19 ha messo in luce l’importanza vitale dei colloqui per i prigionieri. Come evidenziato dai garanti per i detenuti, i colloqui via Skype dovrebbero essere estesi a tutti i detenuti, al di là della sezione di appartenenza. Non solo a quelli in media sicurezza, ma anche a quelli in Alta Sicurezza e in tutti gli altri reparti. In gioco ci sono i diritti all’affettività, all’amore familiare, alla genitorialità e al coniugio, che sono diritti inviolabili dell’Uomo e devono pertanto essere garantiti e protetti.
L’accelerazione dell’uso di collegamenti audio-visivi, in sostituzione dei colloqui di persona sospesi, è una vittoria dei detenuti: il sistema penitenziario si era infatti limitato in un primo momento a sospendere le visite ampliando il numero di telefonate, ed è stato grazie alle dimostrazioni che si è riusciti a strappare questa importante apertura.
L’ottenimento del colloquio via Skype permette a molti detenuti di evitare le profanazioni corporali della perquisizione integrale, di evitare il carico di fatica, di giornate lavorative perse e di aggravio economico delle famiglie. Ma non solo. Attraverso il monitor il detenuto ha potuto per la prima volta dopo molti anni rivedere la cucina di casa, la camera da letto, i giochi che i figli non possono portare in carcere. Ha potuto rivedere i colori e sentire i rumori della vita domestica che la memoria aveva cominciato a cancellare.
È il momento di ascoltare e di dare la parola agli “ultimi”. Da alcuni penitenziari si leva la voce che chiede di mantenere i colloqui audiovisivi anche una volta usciti dall’emergenza. Lo hanno chiesto, per esempio, i detenuti di Livorno in una lettera al Presidente della Repubblica e al Ministro della Giustizia. È importante raccogliere il loro appello perché è dalla sinergia tra “dentro” e “fuori” che si possono estendere diritti e si può far sì che le conquiste non vengano cancellate con un colpo di spugna.

Troppo spesso si dimentica che anche la popolazione detenuta è tutelata dalla nostra Costituzione e dalle carte internazionali dei diritti umani.
Troppo spesso si dimentica che ogni nostro diritto non è stato generosamente elargito, ma è stato conquistato con un carico di sangue e lotta, anche in condizioni estreme.
Troppo spesso si dimentica che i diritti costituzionali sono il risultato del sangue versato dalla lotta partigiana contro il nazifascismo. Che i diritti sindacali sono il risultato delle lotte dei lavoratori e del loro tributo di vite umane. Che i diritti di genere sono il risultato della mobilitazione di milioni di donne liberatesi dalla persecuzione e dalla discriminazione del patriarcato. Che il miglioramento delle condizioni di vita dei detenuti sono il risultato di una mobilitazione per i diritti civili da parte di quei settori della società che sono stati in grado di ascoltare le ragioni degli “ultimi”.

SI FACCIA NOSTRO L’APPELLO, PROVENIENTE DALLE CELLE, A CHI HA RUOLI E COMPETENZE PER INTERVENIRE, AFFINCHÉ I COLLOQUI AUDIOVISIVI VIA SKYPE NON CESSINO, SIANO ESTESI E GARANTITI A TUTTI I DETENUTI SENZA DISCRIMINAZIONI E SIA PERMESSO AL PRIGIONIERO DI SCEGLIERE TRA IL COLLOQUIO DI PERSONA E QUELLO AUDIO-VISIVO.

Perché tutto non vada perso; perché chi è morto, chi ha subito violenze e torture e chi ha avuto il coraggio di manifestare le proprie preoccupazioni sappiano che non tutto è stato vano; perché il nostro sentirci vicini ai “dannati della terra” sia fruttuoso di risultati in termini di solidarietà e di contributo al miglioramento delle condizioni di vita di tutti.

PRIMI FIRMATARI:
William Frediani, scrittore,
Silvia Fruzzetti, resp. CARC Toscana,
Yairaiha onlus,
Sandra Berardi, Pres. Yairaiha onlus,
Carlo Alberto Romano, docente Università di Brescia,
Samuele Ciambrello, garante regionale dei detenuti Campania,
Francesca de Carolis, giornalista,
Mario Spada, architetto,
Vincenzo Scalia, criminologo University of Winchester,
Caterina Calia, avvocato,
Gerardo Pastore, docente Università di Pisa,
Francesco Maisto, garante dei detenuti Milano,
Simonetta Crisci, avvocato,
Giuristi Democratici,
Eleonora Forenza, ex deputato, dirigente nazionale del Partito della Rifondazione Comunista,
Fabio Mugnaini, docente Università Siena,
Francesca Vianello, docente Università di Padova,
Giuseppe Mosconi, docente Università di Padova in pensione,
Francesco Ceraudo, ex Pres. Associazione Medici Penitenziari,
Nicoletta Dosio, attivista no TAV,
Giusy Torre, Yairaiha onlus,
SenzaConfine,
Antonio Perillo, PRC-SE,
Giuseppe Lanzino, avvocato Yairaiha onlus,
Aurora d’Agostino, avvocato,
Mario Pontillo, volontario penitenziario,
Carmelo Musumeci, scrittore e attivista per l’abolizione dell’ergastolo,
Damiano Aliprandi, giornalista,
Mario Arpaia, pres. Ass. Memoria Condivisa,
Gianluca Schiavon, resp. naz. giustizia PRC,
Lisa Sorrentino, avvocato Yairaiha onlus,
Grazia Paletta, volontaria penitenziaria,
Pietro Ioia, garante detenuti di Napoli,
Ex DON, ex Detenuti Organizzati Napoli,
Francesco Cirillo, giornalista e scrittore,
Maurizio Nucci, ex pres. Camera Penale Fausto Gullo CS,
Domenico Bilotti, docente Università Magna Grecia,
Giovanni Russo Spena, PRC,
Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea,
Italo Di Sabato, Osservatorio sulla Repressione,
Osservatorio sulla Repressione,
Giuseppe Ferraro, docente Università Federico II Napoli,
Francesca Rinaldi, Milano,
Francesca Montalto, docente,
Paolo Conte, avvocato,
Fortunato Maria Cacciatore, docente Università della Calabria,
Carla Gueli, insegnante e dottore di ricerca,
Sara Manzoli, operatrice Sociale coop. Aliante Modena,
Giorgio Canali, musicista,
Giuseppe Milazzo, avvocato,
Maria Grazia Caligaris, Ass. Socialismo, diritti e riforme,
Frank Cimini, giornalista,
Vittorio Da Rios,
Pasquale De Masi, Yairaiha onlus,
Valerio Guizzardi, Papillon Rebibbia – sez. Bologna,
Brunella Bertucci, comitato Piazza Piccola Cosenza,
Partito Risorgimento Socialista,
Maurizio Neri, part. Risorgimento Socialista Roma,
Ugo Maria Tassinari, scrittore,
Ilario Ammendolia, scrittore,
Antonio Esposito, scrittore,
Yasmine Accardo, Campagna LasciateCIEntrare,
Valentina Colletta, avvocato,
Rocco Altieri, Centro Gandhi Pisa,
Gianfranco Castellotti, Centro Culturale Berkin Elvan,
Maria Grazia Vanelli, operaia, Centro Culturale Pablo Neruda,
Gea Tahiri, Assistente sociale,
Ass. Il Viandante, Roma,
Genny Federigi, Pres. Ass. Gabbia/No Roma,
Ass. Gabbia/No, Roma,
MGA sindacato nazionale forense,
Beppe Battaglia, volontario penitenziario,
Elisabetta Della Corte, docente Università della Calabria,
Bruno Monzoni, Redazione Ristretti Orizzonti,
Pietro Vangeli, Segretario Nazionale del P.CARC,
Pablo Bonuccelli, Direttore di Resistenza (P.CARC),
Igor Papaleo, Direttore delle Edizioni Rapporti Sociali,
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud, Pisa.