ELETTROSHOCK: MA QUALE CURA?
In merito all’articolo pubblicato sul “Il Tirreno” nella pagina di Pisa
il 14 ottobre scorso abbiamo scritto un nostro articolo.
ELETTROSHOCK: MA QUALE CURA?
Come Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud da anni siamo impegnati sul territorio per contrastare gli abusi della psichiatria, ponendo particolare attenzione alle modalità e ai meccanismi attraverso i quali essa si espande sempre più capillarmente e trasversalmente.
A quasi ottanta anni dalla sua invenzione, possiamo affermare che l’elettroshock è l’unico trattamento, che prevede come cura una grave crisi organica dei soggetti indotta a tale scopo, mai dichiarato obsoleto.
Anzi, si è cercato di modernizzarlo, sin dai primi anni, infatti già nel 1943 il professor Delay mise a punto una nuova tecnica: l’elettroshock sotto narcosi, anche detta elettroshock terapia modificata.
L’elettroshock oggi viene chiamato TEC (terapia elettroconvulsiva) ma rimane la stessa tecnica inventata nel 1938 da Cerletti e Bini. Cambiare nome all’elettroshock ha aperto la via a due ordini di cambiamento: anzitutto si è assicurato il proseguimento del trattamento riducendo il dibattito alle linee guida per l’utilizzo, nei soli ambiti medici e politici; l’altro cambiamento è rappresentato dall’opinione diffusa che lo vede come pratica non più utilizzata, superata e obsoleta, allo stesso modo dei salassi per mezzo di sanguisughe. Invece si tratta sempre di far passare la corrente elettrica per la testa di un paziente, che passando attraverso il cervello, produce una convulsione generalizzata. Migliorandone le garanzie burocratiche, così come introducendo alcune modifiche nel trattamento, vedi anestesia totale e farmaci miorilassanti , non si cambia la sostanza della TEC.
Rimangono la brutalità, la sua totale mancanza di validità scientifica e l’assenza di un valore terapeutico comprovato. I meccanismi di azione della TEC non sono noti. Per la psichiatria «rimane irrisolto il problema di come la convulsione cerebrale provochi le modificazioni psichiche» e «non è chiaro quali e in che modo queste modificazioni (dei neurotrasmettitori e dei meccanismi recettoriali) siano correlate all’effetto terapeutico» (G. B. Cassano, Manuale di Psichiatria). Ma per chi subisce tale trattamento la perdita di memoria e i danni cerebrali sono ben evidenti e possono essere rilevati attraverso autopsie e variazioni elettroencefalografiche anche dopo dieci o venti anni dallo shock.
Relativamente all’attuale e globalizzato panorama d’impiego dell’elettroshock, poco trasparente e condiviso, continuiamo a porci domande come queste.
Perché questo trattamento medico – che per stessa ammissione di molti psichiatri che lo hanno applicato e che continuano ad applicarlo – utilizzato in passato come metodo di annichilimento dell’umano, come strumento di tortura, come mezzo repressivo contro la disobbedienza, non viene dichiarato superato dalla storia?
È sufficiente praticare un’anestesia totale per rendere più umana e dignitosa e legittima la sua applicazione?
Durante la sua applicazione pratica, si sta ancora immettendo corrente elettrica verso il cervello di un proprio simile oppure si effettua un intervento equiparato ad ogni altra operazione chirurgica peraltro senza usare bisturi?
Possono dei benefici temporanei, che per avere effetto devono comunque essere accompagnati dall’assunzione di psicofarmaci, essere un valido motivo per usare questo trattamento?
Si possono ignorare gli effetti negativi dell’elettroshock?
Ci teniamo a ribadire che nonostante le vesti moderne l’elettroshock rimane una terapia invasiva, una violenza, un attacco all’integrità psicologica e culturale di chi lo subisce. Insieme ad altre pratiche psichiatriche come il TSO, l’elettroshock è un esempio, se non l’icona, della coercizione e dell’arbitrio esercitato dalla psichiatria. Il percorso di superamento dell’elettroshock e di tutte le pratiche non terapeutiche deve essere portato avanti e difeso in tutti i servizi psichiatrici, in tutti i luoghi e gli spazi di cultura e formazione dove il soggetto principale è una persona, che insieme ai suoi cari, soffre una fragilità.
Per chiunque voglia approfondire l’argomento, come collettivo abbiamo scritto il libro “ELETTROSHOCK. La storia delle terapie elettroconvulsive e i racconti di chi le ha vissute.” Edizioni Sensibili alle foglie 2014. Questo libro propone un viaggio nella storia delle shock terapie, che precedono e accompagnano l’applicazione della corrente elettrica al cervello degli esseri umani e delle testimonianze di persone in carne ed ossa, che sono state sottoposte all’elettroshock. Lo trovate sul nostro sito scaricabile gratuitamente www.artaudpisa.noblogs.org
COLLETTIVO ANTIPSICHIATRICO ANTONIN ARTAUD, Via San Lorenzo 38 Pisa, tel. 3357002669 antipsichiatriapisa@inventati.org www.artaupisa.noblogs.org