LA SANATORIA CICCIOLI
<< Occorre, in altre parole: un'attenzione particolare per le categorie di utenti caratterizzati da fragilità sociale in senso sanitario; la presa d'atto della necessità per lo psichiatra di farsi carico di nuovi o dismessi campi di attività che, comunque, continuano ad appesantire la quotidianità dell'assistenza ;il recepimento di prassi ormai consolidate da tempo in termini di esecuzione del trattamento sanitario obbligatorio (TSO)>> testo proposta di legge 2065/2008- onorevole Carlo Ciccioli LA SANATORIA CICCIOLI Collettivo Antipsichiatrico Antonino Artaud <<gli uomini possono salire sui propri cadaveri pur di salire in alto> “The alchemical marriage of Alistair Crompton”- Robert Sheckley- 1978 L’approvazione della XII Commissione affari sociali del Testo Unico di riforma dei trattamenti psichiatrici proposto dall’onorevole e psichiatra Carlo Ciccioli, passato alle cronache come la Legge che riaprirà i manicomi, , ha lasciato dietro di sé aspre critiche e compiute analisi ampiamente condivisibili. Ma che non colgono il segno. La condizione quotidiana di molti individui divenuti utenti psichiatrici è già quella che si trova descritta in questa nuova legge tutta riferita all’uso estensivo dei trattamenti sanitari senza consenso e che non sarebbe legittima stando ad una corretta applicazione delle tutele per i pazienti previste dalla Legge Basaglia. E’ dunque facilmente comprensibile l’urgenza di un condono all’edificazione abusiva della minaccia psichiatrica che rende la quasi totalità dei trattamenti sanitari psichiatrici volontari (TSV) di fatto obbligatori (TSO); all’architettura fatiscente delle terapie psichiatriche che permette lobotomie farmacologiche, contenzioni fisiche, terapie elettroconvulsive e relative sperimentazioni; ai muri sanitari sempre più alti ed estesi. I confini normativi attualmente in vigore si ritrovano nella cosiddetta legge Basaglia: la legge 13 maggio 1978 n.180 “Accertamenti e Trattamenti sanitari e volontari e obbligatori”. Lo stesso testo normativo che metteva fine all’internamento in manicomio istituendo, col primo articolo, il carattere volontario degli accertamenti e dei trattamenti sanitari, prevedendo, in caso di non ottemperanza, responsabilità penali per il personale medico. Lo stesso testo normativo che ha anche permesso per più di trent’anni un garantismo di facciata e che ha reciso la libertà personale e i diritti più elementari di migliaia di individui. Di certo questo aspetto abusivo che si manifesta già durante il trasferimento dai manicomi agli ospedali, se e dove questo passaggio avviene, non è sfuggito né al legislatore né agli staff medici. Già dal 1978 molte furono le richieste di intervento normativo, sia a favore della compiutezza della Legge Basaglia, che riguardo la sua inapplicabilità. Infatti c'era già stato un tentativo di riforma nel 2002 con la proposta Burani Procaccini poi bloccata dalla conferenza Stato-regioni e dalle contraddizioni interne alla stessa maggioranza di governo. Bisogna però attendere il secondo governo Berlusconi, frutto coagulato di forze politiche estremamente conservatrici, quando la figura del legislatore coincide perfettamente con quella di alcuni dirigenti e operatori psichiatrici, per andare a modificare la legge 180/78. Già nel 2008 le proposte di modifica della legislazione in vigore presentate sono 9: alla Camera le proposte Ciccioli (2065), Guzzanti (1423), Marinello (919); Barbieri (1984), Jannone (2831), Picchi e Carlucci (2927), Garagnani e altri (3038); al Senato le proposte Carrara (348) e Rizzi (1423). Tutti onorevoli proponenti del PdL, escluso il leghista Rizzi e aggiungiamo che tra i firmatari delle varie proposte si possono contare una decina di medici. Leggendole si trovavano gia questi dispositivi e concetti che si sono poi solidificati nel Testo Unico redatto dal Dr. Carlo Ciccioli: - si istituisce la prevenzione psichiatrica per l’intero ciclo di vita, in termini, però, non di informazione ma di individuazione precoce di patologie; (Ciccioli (2065), Guzzanti (1423), Marinello (919) Jannone (2831),Picchi e Carlucci (2927)Garagnani e altri (3038)Carrara (348) e Rizzi 1423)) - i trattamenti sanitari che andavano a limitare la libertà personale per un massimo di 8 giorni non si chiamano più obbligatori ma necessari (o urgenti come in altre proposte) e hanno durata minima di due settimane; in base al principio di necessità non è più solo il parere medico ha disporre tali trattamenti dunque si prevedere un ruolo attivo delle forze dell’ordine e di chiunque abbia interesse. Un restyling linguistico che va a presentare principi ispiratori altri – capofila quello di pericolosità - rispetto alla correttezza delle cure mediche per esercitare un potere segregante di cui si raddoppia la durata. (Ciccioli (2065) Guzzanti (1423), Picchi e Carlucci (2927) Carrara (348) e Rizzi (1423)) - si istituisce il Trattamento Sanitario Prolungato di cui non si indica la massima durata ma quella minima di 6 mesi prorogabili di altri 6, (la massima durata non viene indicata) senza il consenso del paziente, in strutture di lungodegenza accreditate e/o in tutto un vastissimo arcipelago istituzionale che va a sostituire l’ospedale pubblico Ciccioli (2065) Picchi e Carlucci (2927) Garagnani e altri (3038) Carrara (348) e Rizzi (1423)) - il Trattamento Sanitario Obbligatorio a domicilio o in regime extraospedaliero (Ciccioli (2065), Guzzanti (1423,) Carrara (348) - il contratto terapeutico vincolante o «contratto di Ulisse», per cui una volta autorizzata piena discrezione allo staff psichiatrico di mettere in pratica il trattamento ritenuto opportuno, non si può più tornare indietro sulla propria decisione (Ciccioli (2065)) - il sistema previsto per le dimissioni è sempre revocabile e sostituibile con un nuovo ricovero, perpetuando sia la necessità di un sistema obbligatorio di cura sia l’impossibilità di poter definire con certezza la durata e soprattutto il termine dei trattamenti medici coercitivi. Inoltre non si dà di conto del tipo di azioni volte a ottenere consenso e collaborazione al programma terapeutico previste dal nuovo testo unico. (Ciccioli (2065), Guzzanti (1423)) Le proposte guardano tutte all’individuazione già dalla prima infanzia dei soggetti che possono sviluppare patologie psichiatriche; questo porta con sé una possibilità d' interventi precoce, profonda e non priva di errori che ricorda l’eco non troppo lontano dei criteri di “selezione scolastica” ispirati al mito eugenetico della purezza della razza fortemente voluti e applicati nel ventennio dalla psichiatria istituzionale. Sotto un profilo sanitario si assiste a un investimento di potere relativo alla figura del medico psichiatra, senza sempre far comprendere le rispettive responsabilità, congiunto a un’ evidente perdita di centralità dei dipartimenti pubblici di salute mentale Sul quadro normativo si va a riedificare i dettami del testo unico del 1904 che regolamentava l’accesso in manicomio pubblici istituendo l’esclusione dai contesti familiari e sociali prolungata e discrezionale dettata principalmente dalla pericolosità del soggetto. Ci si “libera” del garantismo che animava la riforma Basaglia e del suo spirito deistituzionalizzante, senza prevedere come ci si può opporre al giudizio medico. Sul versante del linguaggio, opposto all’apertura che operava la legge 180/1978 vietando anche l’uso della parola “alienati”, qui si cerca di trasmettere l’idea di pericolosità del malato e quindi la necessità di alienarlo dal consorzio umano avvicinando, fino quasi alla sovrapposizione, il paziente col reo folle che peraltro si sta per andare a scarcerare dagli ospedali psichiatrici giudiziari ritenuti indegni proprio per legge dello Stato. Ma quel che più preme evidenziare è che nella realtà quotidiana di molti individui divenuti utenti psichiatrici il panorama è già questo. Dal momento che tutto questo e’ confluito nel testo unico approvato in commissione affari sociali ed è in attesa di passaggio alle Camere, è doveroso aprire un immaginario e un dialogo sulle conseguenze dell’entrata in vigore di questa sanatoria che moltiplica nel tempo e nello spazio i campi di intervento psichiatrici istituzionali senza consenso. E’ disperatamente noto che quanto si sta cercando di condonare con questo testo unico già avviene, è sempre avvenuto e avverrà vista l’ostinazione nel concepire la figura e il ruolo del malato di mente e dunque il suo allontanamento dal consorzio umano, dotandoci per questo di strumenti coercitivi e dimenticando che l’omologazione non porta con sé nessuna evoluzione. Avverrà se non si saprà accogliere l’alterità liberandoci dalla necessità dell’esclusione. Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud 335 7002669 artaudpisa.noblogs.org antipsichiatriapisa@inventati.org alcuni link utili: -link alla legge 180/78 http://www.tutori.it/L180_78.html -link alla legge 833/78 http://www.comune.jesi.an.it/MV/leggi/l833-78.htm -link al testo unico di riforma della legge 180 di Carlo Ciccioli http://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato5233721.pdf
Non vogliamo altri casi Mastrogiovanni! Lettera aperta agli abitanti della città di Pisa
Qualche anno fa, a Vallo della Lucania, un uomo venne braccato da un imponente schieramento di forze dell’ordine per aver commesso un’infrazione stradale. L’uomo era conosciuto dai servizi psichiatrici territoriali e si chiamava Francesco Mastrogiovanni e per questo scattò nei suoi confronti un Trattamento Sanitario Obbligatorio. Per chiunque altro sarebbe finito tutto con una multa o, nel peggiore dei casi, con un ritiro della patente. Ma per il maestro delle elementari la vicenda si concluse in un reparto di psichiatria dove trovò la morte dopo 4 giorni di contenzione forzata. Un’altra storia simile avvenne in Sardegna, dove Giuseppe Casu, venditore ambulante, mentre protestava per il diniego dell’autorizzazione a occupare il suolo pubblico veniva internato e moriva nel reparto psichiatrico di Cagliari dopo diversi giorni di letto di contenzione.
In realtà si tratta di storie dall’origine più disparata, che non avrebbero niente in comune tra di loro se non fossero accomunate dal ricovero in un reparto psichiatrico in seguito al quale è sopraggiunta la morte.
In Italia la detenzione psichiatrica, ovvero il Trattamento Sanitario Obbligatorio, è regolamentata dalla legge 180 del 1978. Questa per arginare gli abusi del sistema Manicomiale sancì tutta una serie di norme che resero l’internamento coatto un provvedimento amministrativo temporaneo, proposto da medici, autorizzato dal Sindaco, in qualità di autorità sanitaria locale e convalidato dal giudice Tutelare, entro tempi prestabiliti. Omissioni e ritardi producevano la nullità del provvedimento amministrativo da realizzarsi solo ed esclusivamente nei reparti psichiatrici di ospedali generali. La riforma Basaglia, come venne soprannominata, condusse gradualmente alla chiusura delle grandi strutture manicomiali e alla nascita degli SPDC (Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura), dove si sarebbero dovute internare persone solo per gravi ed urgenti motivi e per un periodo di tempo limitato ad una settimana, prolungabile con una richiesta di proroga e con la convalida del Giudice Tutelare. La legge Basaglia stabilì in sostanza una procedura formale che avrebbe dovuto funzionare da antidoto agli abusi manicomiali. Un tentativo di imbrigliare gli eventuali abusi psichiatrici nelle maglie di una burocrazia che dava, a chiunque ne avesse l’interesse, il diritto a ricorrere verso tale provvedimento, una sorta di controllo democratico sull’operato dell’istituzione psichiatrica che nel suo passato manicomiale si era contraddistinta per particolari violazioni ed atrocità.
A Pisa esiste il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud che si muove ormai da più di un decennio in difesa dei diritti fondamentali delle persone che diventano pazienti psichiatrici e vengono quindi sottoposti al TSO. Il Collettivo viene contattato dai diretti interessati quando sono in reparto, da familiari, da amici e vengono richiesti consigli, informazioni legali e sui farmaci, viene chiesto aiuto e sostegno o semplicemente di essere ascoltati per denunciare quello che per loro è un abuso. In questo modo pervengono all’orecchio del Collettivo molte storie di vita che quando vengono verificate e approfondite risultano complicate dalla psichiatria stessa.
Come la storia di un uomo, pervenuta di recente all’orecchio del Collettivo, a cui la psichiatria aveva intenzione di fare l’elettroshock. Il signore in questione è stato ricoverato per più di venti giorni all’ospedale Santa Chiara di Pisa senza essere oggetto di alcun provvedimento di trattamento sanitario obbligatorio. In maniera preventiva, non appena l’uomo arrivava al reparto di psichiatria veniva immediatamente legato. L’uomo era li perché non mangiava più da due settimane, ma fu immediatamente legato al letto e solo diversi giorni dopo alimentato. Questa storia è emblematica del fatto che gli psichiatri abbiano avuto immediata premura di legare la persona al letto e di proporre l’elettroshock, ma non di alimentarla. Negli stati di anoressia, quando necessita un’alimentazione forzata, si arriva spesso a legare al letto per prevenire il rischio che il paziente si tolga il sondino naso-gastrico, ma nel caso di quest’uomo la misura di sicurezza preventiva è stata antecedente addirittura all’alimentazione, prolungando così il suo digiuno.
Spesso durante i ricoveri psichiatrici vengono omessi gli obblighi di legge previsti dalla legge 180, procrastinando illegalmente nel tempo, anche per settimane, la formalizzazione del TSO. Re-legare a letto produce rischi per l’apparato respiratorio, mina le capacità motorie e compromette gravemente l’autonomia di una qualunque persona, specialmente per periodi prolungati. Inoltre la risposta omologante e uguale per tutti che si sostanzia nella somministrazione di psicofarmaci, presso il proprio domicilio, in day hospital, in casa famiglia o in reparto, rende la psichiatria pubblica come una sorta di dispositivo di controllo dal quale, una volta entrati, non è facile uscire, facendo sentire le persone completamente espropriate della facoltà di decidere della propria esistenza. In nome di una presunta e presupposta pericolosità sociale, che è sempre importante ricordare non proviene da una sentenza di un tribunale, ma di fatto dal semplice giudizio psichiatrico, vengono limitati i diritti costituzionali delle persone. Dalla esperienza del Collettivo questo approccio psichiatrico alla questione che fa della persona “malata” un nemico della società dal quale bisogna difendersi, produce una sorta di stato di guerra permanente che ad esempio porta alla contenzione al letto anche persone molto pacifiche. Tra l’istituzione e le persone coinvolte c’è una vera e propria guerra fredda in nome della sicurezza preventiva e questo conduce inevitabilmente all’innalzamento di muri di incomprensione e alla degenerazione delle vicende di cui la psichiatria si prende carico. Tutte le cure dovrebbero essere volontarie senza eccezione per le “patologie psichiatriche”, solo con l’abolizione del TSO si possono superare gli abusi che si sono perpetrati nei manicomi e che oggi continuano nei reparti di psichiatria. Per non avere altri casi Mastrogiovanni, bisognerebbe smetterla di legare persone, e capire che chiunque se viene maltrattato e forzato diventa pericoloso per chi lo maltratta e lo forza. Al di là di tanta bella teoria, nella realtà dei fatti, la psichiatria pubblica non cerca di conoscere la storia ed il vissuto delle persone, per tutti esiste una sola risposta terapeutica: quella farmacologica o tutto al più l’elettroshock. Chi non ha abbastanza denaro e non può permettersi uno specialista privato o scegliere liberamente una struttura dove ricoverarsi difficilmente sarà capace di sottrarsi ad un destino che altri hanno “prescritto” per lui.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud- Pisa
Collettivo Telefono Viola- Milano
CODICE IBAN PER SOSTENERE LE SPESE IN CARCERE DI MARINA
Marina Cugnaschi, compagna e collaboratrice del telefono viola di milano,
è stata condannata per i fatti di GENOVA-2001 a 11 e nove mesi.
sosteniamo Marina e non lasciamola sola!
sotto il CODICE IBAN per sostegno spese carcerarie e detenzione di Marina Cugnaschi
intestato a Valli Massimiliano
IT04U0100501660000000000594
chi vuole può anche scrivere a:
Marina Cugnaschi
c/o carcere di san vittore
via Filangieri 2 20100- Milano
NO ALLA PSICHIATRA, NO ALLA RIAPERTURA DEI MANICOMI!!
sotto il link a 2 interviste a radio blackout sul testo unico di Ciccioli
di riforma della legge 180/78 fatte dal collettivo antipsichiatrico a.artaud di Pisa
verso alla riapertura dei manicomi
http://radioblackout.org/2012/06/11/verso-la-riapertura-dei-manicomi-2/
riaprano i manicomi?
http://radioblackout.org/2012/06/11/riaprono-i-manicomi/
collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud-pisa
www.artaudpisa.noblogs.org
335 7002669
domani sab 29/10 al csa next emerson di firenze: presentazione di “il carcere manicomio”
sabato 29 ottobre al
CSA nEXt EMERSON
in via bellagio a castello FIRENZE
ore 19 – 21: apericena
ore 21.30 presentazione del libro “Il carcere manicomio”
di Salvatore Verde
con la presenza dell’autore
Questo libro denuncia la proliferazione di nuovi luoghi dell’internamento,
indotta dal precipitare verso la forma carcere/manicomio di quel vasto panorama di istituzioni sociali nate con l’affermarsi dello stato sociale, e che avevano il compito di governare il disagio, la sofferenza, la devianza, la diversità.
Poiché si tratta di una dinamica estesa, diffusa, tendenzialmente prevalente, che dalla prigione e verso la prigione costruisce nuovi saperi e poteri di gestione della crisi sociale contemporanea, bisogna moltiplicare le vigilanze democratiche,
le azioni di tutela, le pratiche di aiuto a tutta quella umanità che è vittima, parafrasando Franco Basaglia, dei “crimini di pace”.
PER INFO:
www.csaexemerson.it
antipsichiatriapisa@inventati.org
oggi ven 28/11 al Refugio di livorno : Nicola Valentino e Salvatore Verde presentano due libri sul carcere
Venerdì 28 ottobre al Refugio di livorno :
Nicola Valentino e Salvatore Verde presentano due libri sul carcere
ore 21,30 – teatrofficina refugio, scali del refugio,8 livorno
TEATROFFICINA REFUGIO + COLLETTIVO ANTIPSICHIATRICO A.ARTAUD + ZONE DEL SILENZIO
presentano
SENSIBILI ALLE FOGLIE
il racconto di un progetto editoriale indipendente
presentazione di “Ergastolo” di Nicola Valentino
presentazione di “Il Carcere Manicomio” di Salvatore Verde
saranno presenti gli autori/ ingresso libero
per info: teatrofficinarefugio@gmail.com/ antipsichiatriapisa@inventati.org
PRESENTAZIONE LIBRO “IL CARCERE MANICOMIO” DI S.VERDE
GIOVEDì 27 OTTOBRE 2011 c/o
SPAZIO ANTAGONISTA NEWROZ
via garibaldi 72 pisa
il COLLETTIVO ANTIPSICHIATRICO ANTONIN ARTAUD e
ZONE DEL SILENZIO
presentano
alle ore 20 APERICENA/BUFFET e alle ore 21
IL CARCERE MANICOMIO
le carceri in italia tra violenza, pietà, affari e camicie di forza
di SALVATORE VERDE ed.sensibili alle foglie
saranno presenti l’autore e NICOLA VALENTINO Direttore dell’Archivio di scritture, iscrizioni e arte irritata di Sensibili alle foglie. Svolge attività di ricerca socianalitica con particolare attenzione per le istituzioni sanitarie.
Questo libro denuncia la proliferazione di nuovi luoghi dell’internamento, indotta dal precipitare verso la forma carcere/manicomio di quel vasto panorama di istituzioni sociali nate con l’affermarsi dello stato sociale, e che avevano il compito di governare il disagio, la sofferenza, la devianza, la diversità.
collettivo antipsichiatrico antonin artaud
antipsichiatriapisa@inventati.org – www.artaudpisa.noblogs.org
UN CONTRIBUTO ANTIPSICHIATRICO E ANTIPROIBIZIONISTA
CONTRIBUTO ALLA ASSEMBLEA NAZIONALE ANTIPROIBIZIONISTA
che si terrà a PISA – 22.10.2011
COLLETTIVO ANTIPSICHIATRICO ANTONIN ARTAUD
Nel Rapporto della Commissione delle Politiche sulle Droghe dell’ONU si dichiara il fallimento delle politiche proibizioniste mondiali auspicando la fine della criminalizzazione e della repressione dei consumatori e la conseguente legalizzazione delle droghe.
Secondo questo Rapporto della questione se ne deve occupare la medicina e non i tribunali e le polizie. E’ necessario riservare ai consumatori di droghe adeguate cure mediche e non la reclusione. La repressione non ha fatto diminuire i consumi, nè la diffusione delle droghe, con il conseguente incremento dei fenomeni di abuso e di dipendenza oltre che dei volumi del mercato nero. I miliardi spesi per la War on Drug hanno contribuito ad aumentare i danni correlati alle droghe in termini sia economici che di sofferenza umana.
Il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud non può che accogliere positivamente la notizia che un’Istituzione Sovranazionale di questo livello affermi in questi termini il fallimento del proibizionismo e ne chieda il superamento, ma allo stesso tempo guarda con seria preoccupazione il suo rivolgersi agli apparati medici.
Questa preoccupazione deriva non da un pregiudizio antimedico, ma da un’attenta osservazione e ricerca con la quale il Collettivo si confronta da diversi anni. Cercheremo in questa sede di narrare brevemente l’esperienza di un gruppo antipsichiatrico geograficamente e storicamente determinato, con l’obbiettivo esplicito di contaminare positivamente tutti i movimenti sociali che lottano per i diritti fondamentali degli esseri umani.
La genesi di questo cammino particolare sta nella costituzione di un momento di discussione e di confronto sul tema della Psichiatrica avvenuto nel 2000 nei locali dell’università di Pisa, che condusse ad una prima iniziativa di dibattito dal titolo “Drugs: farmaci&droghe” con la partecipazione dei membri del Telefono Viola di Milano, della Comunità degli Elfi di Pistoia e della Società Italiana per lo Studio degli Stati di Coscienza. Questo incontro fondamentale portò all’inserimento nel manifesto della prima edizione di Canapisa del 2001 del NO al TSO e all’Elettroshock. Non è del tutto casuale che proprio a Pisa si facessero certi discorsi visto che ha sede in questa città la più importante scuola psichiatrica di matrice organicista e lombrosiana che pratica l’elettroshock e sostiene l’origine genetica dei disturbi mentali; questo specifico filone di pensiero psichiatrico è intimamente legato alle multinazionali del farmaco statunitensi e ne diffonde ampiamente i suoi ritrovati.
Nel 2001 nasceva quindi un discorso che valicò i confini dell’antiproibizionismo, dando vita ad laboratorio antipsichiatrico che nel 2005 prende il nome di Antonin Artaud, attore, poeta, scrittore, pittore, in due parole artista poliedrico francese morto negli anni quaranta dopo anni di segregazione manicomiale e di molteplici applicazioni di elettroshock.
Le fonti per questa ricerca oltre ad essere state quelle classiche, come la letteratura, la storia, i giornali, le leggi del parlamento, ecc.., sono state i partecipanti stessi al collettivo con i loro vissuti ed esperienze insieme a tutte quelle persone che ci hanno narrato la loro storia all’interno della psichiatria come utenti o come lavoratori a vario livello in questa istituzione.
Dall’attività di ricerca sono affiorate vicende che negli anni hanno fatto luce su un quadro della psichiatria sconcertante, dalle tinte inquietanti e dalle sfumature insopportabili. Tante testimonianze mostrano come questa disciplina entrata a far parte della medicina solo nel ‘900, sia interessata al controllo e alla neutralizzazione delle persone e non si adoperi per la loro autonomia, sostegno e benessere. Quello che caratterizza la psichiatria contemporanea è l’ uso di farmaci e ciò ha contribuito a stabilire un pericolo confine tra farmaci benefici che curano e droghe malefiche che ammalano. In questa ottica, se si viola questo confine, è legittimo l’uso della forza al fine di sostituire gli psicofarmaci alle droghe.
In Italia le politiche ultraproibizioniste hanno preso il posto ad ogni ipotesi di legalizzazione da far sembrare lontano anni luce il Rapporto della Commissione ONU, almeno sul versante della criminalizzazione e della repressione. Mentre sul versante della medicalizzazione assistiamo già da tempo ad un espandersi del numero dei consumatori di droghe che vengono psichiatrizzati. Se si auspica il superamento della criminalizzazione con la medicalizzazione possiamo assistere oggi alla coesistenza di questi due fenomeni. Le doppie diagnosi, per i Consumatori di sostanze stupefacenti illecite, crescono di numero insieme alle sanzioni amministrative e penali. Ma se da queste ultime esiste qualche possibilità di difesa, per le seconde questa possibilità si assottiglia e per le prime non esiste nessuno strumento reale di tutela contro eventuali abusi. Con la psichiatria abbiamo conosciuto un potere assoluto ed arbitrario, che si ammanta del discorso scientifico per giustificare il suo operato e dal quale una volta entrati dai suoi cancelli diventa impossibile uscirne, se non per casi singoli ed isolati, favorendo la cronicizzazione di particolari situazione di vita.
Nell’istituzione preposta al controllo della follia non ci sono avvocati e giudici, codici scritti a cui fare riferimento, processi che conducono all’accertamento dei fatti cercando di arrivare ad una qualche verità, esistono solo le diagnosi, provenienti da una miriade di manuali, che funzionano come sentenze di privazione della libertà personale; basta l’accordo di un medico qualunque ed un medico psichiatra del C.I.M. (Centro di Igiene Mentale) o di un SPDC ( Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura) di un qualunque Ospedale. Il coordinamento dei CIM e degli SPDC avviene nei DSM (Distretti di Salute Mentale), in questi enti la massima autorità é il giudizio medico psichiatrico. Quest’ultimo negli anni sessanta e settanta attraversò un forte periodo di crisi perchè psichiatri della stessa scuole accademica di un determinato paese non riuscivano a mettersi d’accordo sulle diagnosi e quindi sulla definizione stessa di malattia mentale, immaginate l’accordo che si poteva trovare tra psichiatri di scuole diverse od addirittura tra paesi diversi. Come lo conosciamo adesso in Italia, l’apparato psichiatrico proviene dalla riforma degli OPP (Ospedali Psichiatrici Provinciali) istituiti nel 1904 ed avvenuta tra il 1965 ed il 1978. Questa riforma fu impropriamente soprannominata legge Basaglia e venne accolta come l’abolizione dei manicomi. In sostanza tale riforma è risultata essere il superamento del vecchio sistema manicomiale di tipo asilare tramite l’affermarsi di un nuovo e più efficace modello di manicomio, che da noi è stato soprannominato manicomio diffuso. Quello che è avvenuto è stato il perfezionamento ed il potenziamento del dispositivo fondamentale di azione psichiatrica, la diagnosi, con il suo dilagare all’esterno dei manicomi, direttamente sui territori, in famiglia, a lavoro, a scuola, nella nostra stessa mente (si diffonde l’autodiagnosi e i termini psichiatrici diventano di uso comune), rendendo quindi obsolete ed inefficaci le strutture manicomiali, oltre che insopportabili agli occhi degli osservatori che ne scoprivano i raccapriccianti retroscena ( gli ultimi OPP sono stati chiusi nel 1995 dall’intervento dei carabinieri in seguito ad una inchiesta parlamentare). Il sistema manicomiale italiano nella sua evoluzione ha visto la scomparsa delle grandi strutture reclusive e la nascita e la diffusione di una miriade di piccole e medie strutture che costituiscono quell’arcipelago della contenzione non penale fatto di case famiglia, comunità e residenze protette per accogliere la vecchia e la nuova utenza manicomiale. In questo quadro storico hanno un ruolo centrale i farmaci che negli anni cinquanta vengono utilizzati con successo, tra virgolette, dagli psichiatri per il trattamento degli internati in manicomio. Da allora la loro diffusione non si è mai arrestata, rendendo l’industria farmaceutica un colosso imponente in continua espansione e consolidamento, che non conosce crisi (per fare degli esempi Solvay ha iniziato a produrre farmaci negli anni novanta e Siemens, l’anno prima della crisi mondiale dell’auto, vendeva questo suo comparto per investire in farmaceutica).
La confusione psichiatrica negli anni ottanta si attenua grazie al progetto del APA (Associazione Psichiatrica Americana) di produrre un manuale unico per gli psichiatri di tutto il mondo, il progetto prende il nome di DSM, un manuale diagnostico che tra un po’ arriverà alla sua quinta edizione e che ha visto lievitare vertiginosamente il numero dei sintomi psichiatrici al susseguirsi di ogni sua edizione.
Questo è il luogo adatto per cercare risposte concrete e praticabili ad uno stato di cose che troviamo inaccettabile. Quello che da potere all’istituzione, al di là della legge e della propaganda, siamo tutti noi con le nostre azioni e credenze, nel caso delle istituzioni totali la loro forza viene anche dalle nostre omissioni ed ignoranze.
E’ importante avere una visione ed un’analisi comune come punto di partenza per dar vita a pratiche efficaci in difesa dei diritti fondamentali. Quello che ci rende più deboli di fronte alle istituzioni Totali è l’isolamento e l’esclusione dei soggetti che vi si ritrovano coinvolti come utenti involontari. La ricomposizione di un tessuto di solidarietà che non lascia soli i soggetti rappresenta un fondamentale argine di difesa dagli abusi. Queste parole possono sembrare frasi fatte e di circostanza per avere facili consensi, ma quello che qui si cerca non è il consenso o un opinione favorevole, ma la collaborazione attiva, l’attivismo, l’iniziativa di sempre un maggior numero di persone che si adoperi per la tutela reale dai rischi che corre la propria stessa vista ed esistenza, consapevole del fatto che questa è intrinsecamente legata a quella degli altri che ci circondano come marinai sulla stessa barca.
Con la nostra attività abbiamo cercato in questi anni di difendere ed aiutare le persone internate od a rischio internamento, quelle che voglio smettere con i farmaci o che hanno bisogno di mediatori in famiglia, non senza insuccessi e fallimenti. Per fare una forte autocritica la nostra attività di azione diretta antipsichiatrica ha avuto solo piccoli e a volte brevi successi, il sistema istituzionale psichiatrico è un enorme essere contro il quale i singoli sono costretti a soccombere od ad adeguarsi ad esso, senza alternative. Ma questo non vale per i gruppi, i collettivi e le comunità, questi sono entità sovrumane verso cui la psichiatria ha meno potere. Per questo il nostro obiettivo è quello di creare reti sociali di discussione e di intervento che non facciano sentire sole ed abbandonate le persone che si connettono ed impediscono che un’etichetta definisca ogni aspetto della propria esistenza. Questo forse ridurrebbe i suicidi e la totale esclusione sociale che rende i soggetti proprietà delle istituzioni preposte al loro controllo.
collettivo antipsichiatrico a.artaud-pisa
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