CIAO SALVATORE! CI MANCHERAI…
Apprendiamo con dolore che ieri 9 aprile ci ha lasciato Salvatore Ricciardi …
Salvatore, ti ricordiamo con affetto, ci ricordiamo delle tante iniziative fatte insieme per le varie edizioni di Scarceranda, delle discussioni sul carcere, sulla psichiatria e le istituzioni totali. L’ultima qua a Pisa nel dicembre 2019, dove avevi presentato anche il tuo ultimo libro “Esclusi dal consorzio sociale”.
Ci ricordiamo del tuo carattere tenace e combattivo … ci mancherai e ci mancheranno le chiacchierate con te! Ti ricorderemo e ti porteremo dentro nella nostra lotta!
Un ultimo caro e forte abbraccio! Ciao Salvatore!
Un caro e affettuoso saluto a Tania…
Le compagne e i compagni del collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud – Pisa
LINK a INTERVISTA su RADIO BLACKOUT: La PSICHIATRIA ai TEMPI del COVID 19
questo è il link per ascoltare l’ intervista su radio Blackout al collettivo Artaud:
LA PSICHIATRIA AI TEMPI DEL COVID 19
https://radioblackout.org/2020/04/58821/
Il Collettivo Antipsichiatrico Artaud di Pisa cerca di dare una continuità al proprio lavoro di ascolto attraverso uno sportello telematico, telefonico o virtuale. Non solo per chi già seguiva un percorso di terapia, ma anche a tutti/e coloro che vivono la quarantena in isolamento o con condizioni familiari difficili.
Oggi i CIM (centri di igiene mentale) si limitano alla distribuzione di psicofarmaci, mentre tutti i servizi d’ascolto e di assistenza sono sospesi. Mentre sulle residenze psichiatriche è calato un silenzio totale, non si sa qual’è la reale condizione dei detenuti, se vengono applicate o meno le misure di sicurezza e, soprattutto, se c’è una possibilità di farli uscire.
Questa auto-detenzione forzata ha forti ripercussioni sulla stabilità mentale delle persone e in tanti/e si affidano agli psicofarmaci (soprattutto antiansiolitici e antidepressivi) per sostenere questa situazione. Al contempo aumentano i casi di TSO, dunque di somministrazione forzata di psicofarmaci, anche in chiave repressiva come s’è palesato a Salerno, dove ad un pestaggio da parte delle forze armate è conseguito il Trattamento Obbligatorio per il fermato. L’uso di psicofarmaci crea una forte dipendenza, le prospettive della “cura” all’epidemia potrebbero essere più nefaste della malattia stessa. Gli psicofarmaci oltre ad essere un business delle case farmaceutiche sono un vero e proprio strumento di controllo. Questo paradigma si amplifica nei luoghi di reclusione, dove l’isolamento forzato e la volontà repressiva delle guardie, favorisce l’uso dei medicinali pschiatrici come strumento di sopportazione e contenimento.
In questo momento è negata la radice umana della vita: sono preclusi il tempo, lo spazio e le relazioni sociali, mentre siamo bombardati da informazioni terroristiche imperniate da un linguaggio bellico e costretti nello svago, nell’intrattenimento e nel lavoro a relazionarci unicamente con degli schermi che, oltre ad essere causa di svariati disturbi, celano anche un sofisticato controllo.
Spesso le leggi d’emergenza diventano norma, il pericolo è vedere prorogate le limitazioni alla libertà. Probabilmente i primi luoghi a ripartire saranno i luoghi di lavoro, specialmente le fabbriche, per cui le prime forme di relazioni saranno mediate dal rapporto lavorativo e dai ritmi e le gerarchie insite in queste. Oltretutto questa quarantena ha creato sfiducia e sospetto verso il proprio vicino, recidendo ancor di più i legami sociali già logorati dall’isolamento.
Le opportunità dobbiamo costruircele a partire dall’ascolto, dal creare relazioni e percorsi di solidarietà, solo in questo modo potremo combattere l’isolamento a cui ci voglio confinare e i disturbi che da esso derivano.
Ne parliamo con il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud, in seguito riportiamo anche il link della campagna d’ascolto:
https://artaudpisa.noblogs.org/post/2020/03/29/raccontaci-la-tua-esperienza-di-questi-giorni/
RACCONTACI LA TUA ESPERIENZA di QUESTI GIORNI
RACCONTACI LA TUA ESPERIENZA DI QUESTI GIORNI
Chi in questi gironi non si è sentito solo/a, privato/a della propria libertà e dei propri affetti?
Tuttavia è proprio in questa condizione che collettivamente abbiamo perso ogni connessione con l’altro/con gli altri. L’emergenza pesa come una cappa di fumo che ci isola nella nostra esperienza personale di dolore e preoccupazione, nascondendo quello che succede al di fuori delle quattro mura in cui ci troviamo ad affrontare questi fatti preoccupanti.
Come collettivo antipsichiatrico siamo preoccupati per l’aumento dei TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio), del possibile aumento del consumo di psicofarmaci e per le persone che sono obbligate ad andare ai CIM (Centri Igiene Mentale) solamente a prendere la terapia; ci segnalano infatti che in questi giorni i CIM si limitano alla sola distribuzione di psicofarmaci. Un altro fattore di preoccupazione è l’aumento di conflittualità familiare dovuto alla convivenza forzata; ci auguriamo che questa non sfoci in un ulteriore aumento della medicalizzazione.
Mai come oggi c’è l’esigenza di utilizzare tutti i canali possibili per ricostruire i legami tra le persone, in particolar modo con chi vive situazioni di difficoltà e trova minor sostegno a causa della mancanza di momenti di incontro in questo momento emergenziale. Pur nell’impossibilità di muoverci fisicamente, come collettivo abbiamo deciso di offrire il nostro supporto in quello che da sempre facciamo: raccogliere il grido di chi vuole raccontare la propria sofferenza e vuole condividere le proprie difficoltà nel modo più diretto possibile.
RACCONTACI LA TUA ESPERIENZA DI QUESTI GIORNI
Puoi farlo condividendo storie, pensieri, eventi, o quant’altro ti sembra adatto a esprimere la tua esperienza.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
Mettiti in contatto con noi tramite i seguenti canali:
pagina fb: antipsichiatria Antonin Artaud
email: antipsichiatriapisa@inventati.org
telefono: 335 7002669
per un 8 MARZO DI LOTTA!!
Come collettivo impegnato nella critica al potere psichiatrico siamo solidali con tutte le donne e tutte le soggettività non conformi che scelgono di scendere in piazza con Non Una di Meno per dire basta al ricatto della violenza domestica, istituzionale, economica, mediatica e giuridica.
Oggi ci sentiamo particolarmente vicini a tutte le numerose soggettività femminili le cui storie hanno attraversato la nostra esperienza politica e umana con i loro racconti di dolore e umiliazione. Storie, come quelle di Antonia Bernardini e Elena Casetto. Antonia Bernardini è morta il 31 dicembre del 1974, dopo giorni di agonia, a causa di ustioni riportate da un incendio da lei stessa provocato. Era legata al letto da 43 giorni, nel manicomio giudiziario femminile di Pozzuoli. Elena Casetto è morta arsa viva nel letto al quale è tenuta legata il 13 agosto 2019 nel reparto psichiatrico dell’ospedale Papa Giovanni XIII di Bergamo, durante un incendio. La contenzione non le ha permesso di fuggire.
Storie capaci di mostrare il vero volto del potere psichiatrico come violenza istituzionalizzata. Storie, inoltre, capaci di mostrare l’alleanza tra potere medico e potere patriarcale. Come la storia di Charlotte Perkins Gilman, costretta nel 1887 a una cura di sei settimane legata a letto in una stanza buia, alimentata a forza, e privata di ogni socialità e stimoli intellettuali. La “malattia” veniva individuata nell’esaurimento e nell’apatia associata alla maternità, ai lavori domestici e al rapporto col proprio marito. Sintomi, a dire dello psichiatra, esacerbati dal desiderio di approcciarsi alla vita intellettuale al di fuori delle mansioni domestiche previste dal proprio ruolo.
Se dai manicomi vittoriani, in cui le donne venivano internate per non aver aspettato il proprio turno per prendere parola o per non incarnare il ruolo di una femminilità docile e casalinga, ci spostiamo agli spazi più asettici dei reparti psichiatrici odierni la situazione non cambia di molto. Secondo lo studio *Genere e salute mentale della donna* dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, non ci sono differenze legate al genere nell’incidenza di patologie psichiatriche gravi, ma ci sono evidenti differenze nell’incidenza dei “disturbi” più diffusi: depressione, ansia e disturbi somatoformi. Questi disturbi, in cui le donne predominano, colpiscono approssimativamente 1 persona su 3. Da sola la depressione unipolare costituisce una delle maggiori cause di disabilità nel mondo, ed è il doppio più frequente nelle donne che negli uomini.
Oggi come ieri le storie di queste soggettività femminili ci raccontano di una psichiatria impegnata a produrre discorsi, tecnologie e politiche atte a medicalizzare il dolore e a disciplinare il desiderio femminile. La ricerca di basi ormonali e genetiche dietro l’ondata di disturbi dell’umore femminili è solo l’ultima versione della teoria dell'”utero mobile” e delle molte che si sono succedute nell’individuare nel corpo femminile un corpo biologicamente inferiore e animato da umori ingovernabili, capaci di offuscare la ragione. Teorie a cui rispondono dati come l’alto tasso di incidenza della violenza sulle donne, che le rende il gruppo sociale col più alto rischio di sviluppo di disturbo post-traumatico e di tentativo di suicidio.
Crediamo infatti che la via d’uscita da una società della depressione diffusa non possa essere puramente farmacologica, ma debba passare attraverso la costruzione di una società più inclusiva. Dobbiamo criticare la psichiatra come meccanismo del potere che ci vuole assoggettati all’identità, che usa la diagnosi come strumento per definire l’altro rispetto alla società e impone, con la violenza dei trattamenti, un’ideale di conformità alla norma. La nostra risposta è la valorizzazione delle differenze di genere, l’emancipazione delle donne nel mondo attraverso la formazione intellettuale, cognitiva ed emotiva, come quella professionale, sono per noi gli strumenti attraverso cui liberarsi del dolore che limita l’autonomia femminili.
“La maggior parte delle donne del ventesimo secolo etichettate psichiatricamente, curate privatamente e ospedalizzate pubblicamente non sono matte… Possono essere profondamente infelici, autodistruttive, economicamente e sessualmente impotenti ma essendo donne non potrebbe essere altrimenti” Phyllis Chesler, Women and madness, 1972
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
antipsichiatriapisa@inventati.org 335 7002669 via San Lorenzo 38 – Pisa
RINVIATO il LAB di ASCOLTO PROFONDO
Il gruppo d’ascolto profondo fissato per il 6 marzo alla sede del collettivo Artaud di via S. Lorenzo 38 è sospeso a data da definirsi . Vi arriverà comunicazione del prossimo incontro.
per ulteriori info scrivete a: antipsichiatriapisa@inventati.org
RIPRENDE il LAB di ASCOLTO PROFONDO venerdì 6/03
Riprende il gruppo di ascolto profondo c/o la sede del collettivo Artaud in via S. Lorenzo 38 a Pisa. Per info: 338/2251723 (Anna).
Chi è interessato può iscriversi a questo indirizzo: antipsichiatriapisa@inventati.org
Il primo incontro è fissato per venerdì 6 marzo 2020 c/o la sede del collettivo Artaud
L’ascolto profondo è nato nella seconda metà degli anni ottanta dall’esperienza terapeutica
dello psichiatra e psicoterapeuta americano Jerome Liss come espressione del “Self-help” terapeutico a suo tempo da lui sperimentato nelle comunità antipsichiatriche inglesi e si
è diffuso ben presto in ventidue paesi del mondo.
Il metodo” biosistemico” a cui fa riferimento questo tipo di ascolto ci viene delineato così
da J. Liss: “Nel sistema-uomo io posso agire, pensare o pulsare, lasciando indipendenti
questi tre sistemi, ma quando essi si saranno incontrati, io entrerò in una nuova dimensione: un’emozione”. Se aggiungiamo all’attività di pensiero ed esplorazione del significato anche l’aspetto viscerale e muscolare delle emozioni, arriviamo a “pensare con il nostro corpo” come nella pratica Zen. A differenza della psicanalisi che individua nella terapia il momento di recupero individuale o della psichiatria che grazie ai due aspetti psicoterapeutico e psicofarmacologico costruisce il suo anello di Saturno intorno al “paziente”, la Biosistemica pone l’auto-aiuto come metodo non-invasivo di auto-superamento e soluzione dei conflitti, esplorazione profonda di sé ed esternazione di nuove prospettive di cambiamento. Con il gruppo come catalizzatore “attivo” il soggetto protagonista delle proprie emozioni sperimenterà via via nuove capacità relazionali e comunicative utilizzando varie tecniche: la vitalizzazione guidata della curva energetica, la comunicazione ecologica, l’apprendimento attivo, l’utilizzo della parola-chiave, il role-playing, l’identificazione verbale e non-verbale. Le mappe di pensiero e gli input di facilitazione della conduttrice, insieme alla “sospensione del giudizio” nel rispetto reciproco, contribuiranno alla costruzione di una nuova critica costruttiva e conoscitiva della comunicazione di gruppo e intraindividuale.
VICOPISANO: sab 29/02 presentazione di DIVIETO D’INFANZIA c/o Circolo Arci ORTACCIO
a VICOPISANO SABATO 29 FEBBRAIO 2020 c/o Circolo Arci ORTACCIO
in via Loris Baroni, 14 alle ore 17:30
il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud Presenta il libro:
“DIVIETO D’INFANZIA. PSICHIATRIA, CONTROLLO, PROFITTO”
di Chiara Gazzola e Sebastiano Ortu , Edizioni BFS.
A seguire APERITIVO
Per info: antipsichiatriapisa@inventati.org
sab 8/02 DJ SET ELETTRO TECNO con WANAGANA RED NOYZE c/o S.A. Newroz
PISA SABATO 8 FEBBRAIO c/o Spazio Antagonista NEWROZ in via Garibaldi 72
Dopo lo spettacolo “LA TERAPIA DEL FULMINE” di WU MING CONTINGENT
DJ SET ELETTRO TECNO con WANAGANA RED NOYZE
Per info: antipsichiatriapisa@inventati.org
LA CONTENZIONE FARMACOLOGICA DELL’INFANZIA
LA CONTENZIONE FARMACOLOGICA DELL’INFANZIA
a cura del COLLETTIVO ANTIPSICHIATRICO ANTONIN ARTAUD appendice al libro di Wiliam Frediani “Seduti e zitti! Invettiva sull’istituzione scolastica.” edizioni Sensibili alle foglie gennaio 2020
C’è qualcosa che deve essere ancora scoperto che possa identificare che cosa è l’ADHD e cosa non lo è. (Keith Conners)[1]
Il campo nel quale, negli ultimi anni, si è registrato il maggiore aumento di diagnosi psichiatriche e prescrizioni di psicofarmaci è senz’altro quello dell’infanzia e dell’adolescenza. Oggi a scuola sono sempre di più i bambini che hanno diagnosi psichiatriche, in particolare disturbo dell’adattamento, dell’attenzione, iperattività̀, depressione, disturbo bipolare. L’introduzione di nuove patologie infantili, nell’ultimo Manuale Diagnostico e Statistico (DSM) del 2013, allarga i confini diagnostici tra ciò che è normale e ciò che non lo è, favorendo l’entrata in psichiatria di un numero sempre più alto di bambini, a cui sono prescritti psicofarmaci per periodi più o meno lunghi della loro vita.
Il DSM è oggetto di profonde critiche di metodo e di merito, accusato di aver ampliato a dismisura lo spettro delle patologie psichiatriche. Si tratta di un aumento percentuale, senza precedenti in Italia, e che pone più di un dubbio sull’attuale boom terapeutico a cui sono sottoposte le giovani generazioni nel nostro Paese. Tutti i dati statistici confermano una sensazione diffusa tra chi passa la propria vita, professionale e non, nelle aule della scuola italiana: siamo di fronte a un aumento esponenziale di diagnosi e certificazioni di disabilità, di patologie psichiatriche, disturbi e difficoltà.
L’esplosione delle diagnosi (passate da 1,4% del 1997/98 a 3,1% del 2017/18), mostra come in venti anni esse siano più che raddoppiate: da 123.862 a 268.246. Salta agli occhi il fatto che attualmente la tipologia più diffusa è quella delle disabilità intellettive che da sole rappresentano il 68,4% del totale.[2]
L’attuale tendenza dell’insegnamento e della pedagogia è quella di farsi coadiuvare dalla neuropsichiatria ogni qualvolta un bambino disturba o contrasta i programmi formativi. Il “disagio” comportamentale, invece di essere valutato come un campanello d’allarme nella relazione con l’adulto, viene incasellato come un problema mentale del bambino, dispensando così l’educatore o l’insegnante dal modificare l’approccio educativo e delegando il problema a un neuropsichiatra. “L’educatore così – deresponsabilizzato e dispensato dal dover modificare il proprio approccio educativo – delegherà̀ a un esperto il problema (reale o apparente che sia), il quale lo affronterà̀ dal punto di vista della salute mentale. La pedagogia di stampo più repressivo si rinnova nel tentativo di contenere chimicamente quelle condotte non riconducibili alla norma; così si elimina la soggettività̀, si disciplina quella potenziale libertà presente nell’infanzia che, attraverso desideri e aspirazioni, porterebbe a una personale interpretazione dell’esistenza”.[3]
Vince così il paradigma biologico secondo cui questi bambini hanno qualcosa che non va nel loro cervello e per questo dovranno assumere psicofarmaci. Molti psichiatri trovano più semplice dire ai genitori e agli insegnanti che il bambino ha un disturbo mentale anziché́ suggerire dei cambiamenti rispetto alla genitorialità̀ o all’educazione. Il comportamento considerato deviante e non conforme ai canoni prestabiliti di normalità̀ viene isolato, fotografato, trasformato in diagnosi, strappato al rapporto relazionale insegnante-alunno e, sempre più spesso, curato con i farmaci. La medicalizzazione della scuola è inquadrabile all’interno dell’esigenza di ridurre a una risposta semplice e immediata l’interazione complessa dei diversi fattori che determinano i comportamenti in età̀ evolutiva.[4]
A partire dal 2012 una serie di circolari e direttive ministeriali ha imposto nelle scuole l’individuazione degli alunni con BES (Bisogni Educativi Speciali). I BES sono un immenso calderone che comprende, suddivisi in tre macro categorie, “disabilità”, “disturbi”, “disagi e svantaggi”. Di solito l’acronimo viene usato per indicare solamente i BES di terzo tipo, quelli del “disagio” o dello “svantaggio”.[5] A otto anni dall’avvio della farraginosa macchina dei BES, il MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università̀ e della Ricerca) non ha ancora fornito cifre attendibili sui cosiddetti BES di terzo tipo; ci sono comunque dati che stimano intorno a un milione la cifra totale, fra cui sarebbero compresi 80.000 studenti con ADHD (Disturbo da Deficit dell’Attenzione e Iperattività̀) e circa 400.000 con funzionamento intellettivo ridotto, con un’incidenza pari al 5% sull’intera popolazione studentesca italiana. In mancanza di statistiche più attendibili, sembrerebbe che proprio le difficoltà momentanee, come la timidezza, l’ansia, i dissesti economici, il lutto, i problemi di lingua conseguenti alle migrazioni, e le circostanze avverse della vita siano i principali protagonisti dei pervasivi meccanismi medicalizzanti e psichiatrizzanti che stanno scuotendo dalle fondamenta la scuola italiana.[6] È significativo il fatto che in Italia gli alunni stranieri siano 815.000, il 9,2% dell’intera popolazione scolastica e di questi il 12% sia stato certificato.[7]
Oggi, a scuola, si mira sempre più a un addestramento alla produttività̀, all’efficienza e alla centralità̀ del risultato. Molti insegnanti sono stati convinti dall’autorità̀ dello psichiatra che i bambini che esprimono comportamenti sofferenti abbiano bisogno di farmaci stimolanti per cui i maestri e le maestre hanno rinunciato alla ricerca di soluzioni in classe per risolvere i problemi. In realtà̀ questi docenti dovrebbero essere incoraggiati a cercare e trovare nuovi metodi nell’educazione.
Insegnare dovrebbe dare priorità̀ alla relazione, sapere e poter sperimentare approcci didattici e pedagogici a seconda della persona con la quale ci si rapporta. Esistono approcci didattici e pedagogici che, anziché́ sopprimere la spontaneità̀, aiutano gli studenti che manifestano “disagio” ed evitano di trattare il loro cervello in crescita con sostanze altamente tossiche come gli stimolanti. Insegnare è un’attività̀ fluida, cangiante, sfumata, che cambia da persona a persona, da situazione a situazione, proprio perché́ basata sull’interazione e non sui dogmi. L’attività̀ dell’insegnamento ha tante caratteristiche, ma non dovrebbe avere quella dell’assolutezza, dell’indiscutibilità̀, della categoricità̀. Non esistono metodi validi in assoluto: insegnare è un’attività̀ che fa interagire soggettività̀, singole e di gruppo. Significa condividere pezzi di vita, conoscenze ed esperienze. Non indottrinare, ma interagire; non preparare al lavoro, ma preparare alla vita.[8]
Una delle diagnosi fra le più diffuse a scuola è quella di ADHD, che raggruppa un insieme di comportamenti considerati inadeguati e anormali dello scolaro, che possono essere causati da innumerevoli fattori, come l’ansia per la scuola o per le verifiche, l’impreparazione scolastica, una classe noiosa, un insegnamento inadeguato, problemi e conflitti a casa o a scuola, cattiva alimentazione e insonnia. La diagnosi di ADHD non mette in relazione lo stato mentale, l’umore e i sentimenti del bambino e non dà luogo a una valutazione completa dei suoi bisogni reali per migliorare l’educazione e la genitorialità̀.
Tale diagnosi ha determinato il ricorso sempre più massiccio all’utilizzo di sostanze psicotrope come il Ritalin, uno stimolante a base di metilfenidato prodotto dalla Novartis Farma Spa, che ha effetti simili a quelli delle anfetamine. Il Ritalin agisce principalmente sulla ricaptazione della dopamina, ma non sono chiare né la gamma completa delle sue interazioni biochimiche, né la modalità̀ d’azione.[9]
Un altro farmaco utilizzato è lo Strattera (atomoxetina), un inibitore della ricaptazione della noradrenalina. La casa produttrice Ely Lilly non è riuscita a farlo approvare per la depressione, ma lo vende come trattamento “non stimolante” per l’ADHD. Molti bambini hanno sviluppato impulsi suicidi e omicidi sotto l’effetto dell’atomoxetina, che può̀ inoltre provocare insufficienza epatica.[10] Negli Stati Uniti, negli ultimi anni, ai bambini piccoli con diagnosi di ADHD viene somministrato l’Adderall, un composto di sali di anfetamina precedentemente utilizzato per la riduzione di peso con il nome di Obetrol, screditato e ritirato dal mercato poiché́ creava dipendenza. Questo farmaco è stato ritirato dal mercato canadese nel 2005 dopo che quattordici bambini sono morti improvvisamente e due hanno avuto un ictus.[11]
Di certo gli stimolanti a qualcosa servono: aiutano il contenimento di comportamenti considerati anormali. I farmaci per l’ADHD sono popolari tra gli insegnati perché́ rendono il loro lavoro più facile, ma è giusto dare farmaci ai bambini per renderli meno disturbanti? Gli stimolanti non producono miglioramenti duraturi rispetto all’aggressività̀, al disturbo della condotta, agli atteggiamenti violenti, all’efficacia negli apprendimenti, alle relazioni.[12]
Ebbene, anche nel caso in cui gli psicofarmaci producessero risultati positivi dal punto di vista del comportamento a scuola, sarebbero d’aiuto per il bambino? Oltre ad agire solo sui sintomi e non sulle cause della sofferenza della persona, gli psicofarmaci alterano il metabolismo e le percezioni, rallentano i percorsi cognitivi e ideativi contrastando la possibilità̀ di fare scelte autonome, generando fenomeni di dipendenza e assuefazione del tutto pari – se non superiori – a quelli delle sostanze illegali classificate come droghe pesanti. Presi per lungo tempo, possono portare a danni neurologici gravi che faranno del bambino un disabile.
È compito degli adulti difendere le nuove generazioni tornando a riflettere sull’importanza dell’ambito sociale, comunitario e relazionale per la loro educazione. È necessario che genitori, insegnanti, educatori e tutti coloro che hanno a che fare con i bambini, non cedano al riduzionismo psichiatrico, non psichiatrizzino ogni comportamento disturbante e/o sofferente, affinché́ la fantasia, il senso critico e la libertà di scelta possano continuare a caratterizzare l’infanzia.[13]
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud-Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org – www.artaudpisa.noblogs.org 335 7002669 via San Lorenzo 38 Pisa
[1] Keith Conners, psicologo americano, storico pioniere degli studi sull’ADHD e “padre” del test Conners Rating Scale, uno degli strumenti diagnostici più utilizzati nelle scuole per accertare l’ADHD.
[2] http://www.giornale.cobas-scuola.it/ossessione-diagnostica/
[3] Gazzola C., Ortu S., Divieto d’infanzia, BFS Edizioni, Pisa, 2018, p. 11.
[4] http://www.giornale.cobas-scuola.it/richiamo-allordine/
[5] Gazzola C., Ortu S., Divieto d’infanzia, op. cit.
[6] http://www.giornale.cobas-scuola.it/ossessione-diagnostica/
[7] Santerini M., “Diamo a ciascuno il tempo di cui ha bisogno”, in: Conflitti. Rivista italiana di ricerca e formazione psicopedagogica, n. 3, 2017, p. 32.
[8] http://www.giornale.cobas-scuola.it/richiamo-allordine/
[9] Esposito A., Le scarpe dei matti, Ad Est dell’Equatore Editore, Napoli, 2019.
[10] Whitely M., “Strattera a sad story (warning it may make you want to kill your- self)”, 2015, su http://www.speedupsitstill.com/strattera/
[11] Gotzsche P.C., Psichiatria letale e negazione organizzata, Fioriti Editore, Ro- ma, 2017.
[12] Whitaker R., Indagine su un’epidemia, Fioriti Editore, Roma, 2013. 13 Gazzola C., Ortu S., Divieto d’infanzia, op. cit.
[13] Gazzola C., Ortu S., Divieto d’infanzia, op. cit.
PISA: sab 8/02 LA TERAPIA DEL FULMINE di WU MING CONTINGENT c/o S.A. Newroz
PISA SABATO 8 FEBBRAIO c/o Spazio Antagonista NEWROZ in via Garibaldi 72 alle ORE 21:30
Il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud e il Newroz presentano:
LA TERAPIA DEL FULMINE lettura concerto del WU MING CONTINGENT
<<Lo spettacolo, a cura del Wu Ming Contingent, racconta il rapporto tra elettricità e follia, dai tempi delle streghe fino ai giorni nostri, passando per la Prima Guerra Mondiale, lo studio di Cerletti, le idee di Basaglia, le parole di Lou Reed, Ernest Hemingway, Janet Frame, i documenti d’archivio.>>
Alle ore 20 APERICENA
Per info: antipsichiatriapisa@inventati.org