Condividiamo e diffondiamo il volantino scritto dal collettivo antipsichiatrico SenzaNumero riguardo la morte per contenzione meccanica di Abdel Latif avvenuta nel reparto psichiatrico dell’Ospedale San Camillo di Roma.
BASTA MORTE NEI REPARTI PSICHIATRICI!!
ABOLIAMO LA CONTENZIONE!!
Abdel Latif, ragazzo tunisino di 26 anni. Era arrivato in Italia tramite una delle tante navi che cercano di approdare, fortunate per non essere state respinte. L’ “accoglienza” che gli è stata riservata, a lui come a tanti/e altre, è stata quella di essere rinchiuso in un CPR, un centro di detenzione per migranti nel quale vieni portato per un reato terribile: non avere il documento “giusto”.
Abdel rimane nel CPR svariati giorni; a un certo punto, da quanto appreso dai giornali, gli viene diagnosticato un disturbo psichiatrico (di cui non aveva mai avuto segni in Tunisia) e gli vengono dati dei farmaci. Dopo pochi giorni la “cura” pare vada rafforzata e Abdel viene trasferito al reparto di psichiatria prima del Grassi di Ostia, poi al San Camillo.
Qui viene tenuto legato al letto per 3 giorni, dal 26 al 28 novembre giorno in cui muore.
Le autorità mediche parlano di arresto cardiaco, non facendo alcun riferimento né ai farmaci somministrati né al fatto che fosse stato contenuto per almeno 72 ore.
Questa storia ci riporta a due verità purtroppo già note: nei reparti psichiatrici italiani si continua a morire di contenzione meccanica, sia in regime di degenza che durante le procedure di TSO. IL CPR è un luogo di detenzione e come tale si fonda sulla violenza e sulla sopraffazione.
La morte di Abdel non è una storia isolata, molti/e hanno subito la sua stessa sorte. Citiamo solo gli ultimi di cui siamo a conoscenza: Guglielmo Antonio Grassi morto nel reparto psichiatrico dell’ospedale di Livorno; Elena Casetto, arsa viva perché legata… sempre in un reparto psichiatrico.
Ma la l’elenco sarebbe lungo nonostante di molte persone non si conoscano neanche i nomi.
Contenzione meccanica e farmacologica sono pratiche diffuse anche nei CPR, nelle carceri, nelle strutture che ospitano persone anziane e/o non autosufficienti, negli ospedali. In nessun caso la carenza di personale può giustificare il ricorso a pratiche coercitive. La logica dei “motivi di sicurezza”, dello “stato di necessità” o delle “persone aggressive”, a cui sovente si fa appello nei reparti, deve essere respinta poiché fondata sul pregiudizio ancora diffuso della potenziale pericolosità della “pazzia”. Molti ritengono, per atteggiamento culturale o per formazione, che sia giustificabile sottoporre persone diagnosticate come “malate mentali” a mezzi coercitivi, che sia nell’ordine delle cose e corrisponda al loro stesso interesse (!), rimuovendo dal loro orizzonte il valore imprescindibile della libertà della persona. Tanto più rilevante quanto più attinente alle libertà minime, elementari e naturali, come quella di movimento.
Oltre al ricorso alla contenzione meccanica e farmacologica, continua ancora oggi a prevalere nei servizi psichiatrici un atteggiamento custodialistico e l’impiego sistematico di pratiche e dispositivi manicomiali: obbligo di cura, porte chiuse, grate alle finestre, sequestro dei beni personali, limitazione e controllo delle telefonate e di altre relazioni e abitudini. Lo stato di pandemia ha inoltre rafforzato l’isolamento e la distanza tra chi è tenuto rinchiuso/a e chi non lo è, accrescendo le violenze perpetrate all’interno di quelle mura (siano esse del carcere, del CPR, dei reparti di psichiatria).
Ribadiamo la necessità di eliminare, senza alcuna eccezione, la contenzione meccanica nelle istituzioni sanitarie, assistenziali e penitenziarie italiane.
Continueremo a lottare con forza contro ogni dispositivo manicomiale e coercitivo (obbligo di cura, trattamento sanitario obbligatorio, uso dell’elettroshock, contenzione meccanica, farmacologica e ambientale, ecc.) e per il superamento e l’abolizione di ogni pratica lesiva della libertà personale.
Continueremo a lottare contro i respingimenti, i rimpatri, le espulsioni, le frontiere, per la libera circolazione di tutte le persone.
PER UN MONDO SENZA FRONTIERE, SENZA PSICHIATRIA, SENZA COERCIZIONI
senzanumero.noblogs.org/
hurriya.noblogs.org/
pubblichiamo questo articolo da Hurriya:
https://hurriya.noblogs.org/post/2021/12/06/contenzioni-ed-espulsioni-ingranaggi-nella-societa-dellesclusione/
Contenzioni ed espulsioni: ingranaggi nella società dell’esclusione
Mentre mettevamo insieme i pezzi per questo articolo la realtà ha superato le atrocità che ci apprestavamo a raccontare: Abdel Latif, un giovane proveniente dalla Tunisia, viene ucciso il 28 novembre, dopo tre giorni in stato di contenzione meccanica nell’ospedale San Camillo di Roma.
Il razzismo di stato è tentacolare e Abdel Latif dell’Italia ha visto la segregazione in un hotspot a Lampedusa, la prigionia su una nave quarantena, la reclusione nel Centro di espulsione di Ponte Galeria a Roma, la contenzione nel reparto psichiatrico del San Camillo.
Due delle prigionie che hanno portato alla morte di Abdel Latif hanno come sfondo il sistema sanitario italiano, per il resto come garanzia ci sono gli attori dell’accoglienza umanitaria.
Le recenti mobilitazioni contro la contenzione psichiatrica ci hanno suggerito alcune riflessioni e abbiamo cercato informazioni riguardo il dibattito sulla contenzione meccanica, pratica che lo Stato dichiara di voler abolire con un percorso triennale che dovrebbe terminare nel 2023.
È da notare come negli stessi carteggi istituzionali le valutazioni partano da dati e note risalenti al 2001 e come dalle stesse analisi si arrivi a “raccomandazioni” e “suggerimenti” che, da allora e dopo 20 anni, non hanno avuto alcun riscontro pratico: si continua a morire nella violenza.
Ogni documento istituzionale è costretto a prendere in considerazione la lesione delle libertà individuali, la tortura, l’inefficacia in termini di miglioramento delle condizioni di salute e il peggioramento della persona sottoposta a contenzione meccanica fino a determinarne la morte. Protocolli che partono dall’assunto che “non è un atto sanitario, né un atto medico, non avendo nessuna finalità terapeutica, diagnostica o lenitiva del dolore”, confermano “la natura violenta della cura psichiatrica” e l’aumento dello stigma sociale per chi ha delle difficoltà ma al giorno d’oggi non esiste alcun monitoraggio di queste pratiche di tortura nelle strutture psichiatriche (figuriamoci nelle carceri, nelle RSA o nei CPR).
Già in passato veniva suggerito, non imposto, un registro per tenere nota delle ragioni, delle modalità e delle tempistiche dietro ogni contenzione.
Non serve grande immaginazione per credere che il tutto avvenga con la violenza fisica, la sedazione e l’abbandono perché i sostenitori della contenzione meccanica ritengono che il pericolo per l’incolumità degli operatori sanitari e la mancanza di personale siano delle buone ragioni per torturare e ammazzare le persone.
Convinzioni che le istituzioni non hanno neanche modo di paragonare ad altre strutture sanitarie che non utilizzano la contenzione meccanica perché la discrezionalità è immensa e senza controllo.
Nelle linee guida che lo Stato dichiara di voler adottare per superare la contenzione meccanica, oltre alla formazione del personale, c’è la trasparenza e l’accessibilità agli affetti e ai famigliari delle persone trattenute nelle strutture psichiatriche poiché, parte della contenzione, consiste nella reclusione.
Ora, guardando all’ultima persona uccisa dalla contenzione, probabilmente questa vicinanza affettiva sarebbe stata comunque impossibile data la blindatura delle frontiere.
Che il controllo psichiatrico – attraverso la somministrazione coatta, volontaria e involontaria di psicofarmaci – riguardi la vita delle persone detenute nei Centri di espulsione non siamo di certo i primi a saperlo. [Vedi anche 1 oppure 2]
Le persone recluse hanno sempre denunciato la presenza di psicofarmaci nel cibo e gli stessi farmaci come unica “cura” proposta oltre la tachipirina: un opuscolo recentemente pubblicato da nocprtorino.noblogs.org ricapitola la gestione sanitaria attuale nei CPR e fa un chiaro riferimento al controllo psichiatrico.
In passato abbiamo anche raccontato di iniezioni forzate di psicofarmaci nel CPR di Ponte Galeria e una querela da parte della cooperativa Auxilium ha comportato il sequestro preventivo della pagina che riportava l’articolo: ma quali altri aspetti del controllo psichiatrico riguardano le violenze a cui vengono sottoposte le persone immigrate?
Oltre ai sedativi, la contenzione meccanica è utilizzata nelle procedure di espulsione in molti paesi europei e non.
Fascette di plastica, scotch per legare mani, piedi e chiudere la bocca, caschi, cinghie, sedie con legacci… un inventario agghiacciante che ha portato alla morte di diverse persone, alcune conosciute per le proteste avvenute in seguito come Semira Adamu – ammazzata con un cuscino in faccia su un volo AirFrance mentre veniva deportata dal Belgio in Nigeria – e Jimmy Mubenga – soffocato su un volo di espulsione UK diretto in Angola.
Conclusioni
Le mobilitazioni contro la contenzione meccanica descrivono chiaramente la tendenza riformatrice a nascondere la violenza psichiatrica e il pericolo della sostituzione con una maggiore contenzione farmacologica in un paese convinto che l’elettroshock e i manicomi appartengano al passato.
Mentre la delegazione del Garante entrata a Ponte Galeria si dice intenzionata a fare chiarezza sulle cause di morte di Abdel Latif e si domanda se la contenzione porti alla morte, noi crediamo che la chiarezza ci sia già.
Tutti muoiono per “arresto cardiaco” ma lo stigma e la criminalizzazione spingono all’isolamento e nell’assenza di relazioni si è sottoposti a qualsiasi trattamento.
Sappiamo, dalle voci e dai racconti delle persone coinvolte, che sono gli stessi meccanismi di controllo delle frontiere e poi gli stessi luoghi istituzionali di segregazione e isolamento (navi, hotspot, centri di accoglienza, Cpr, reparti psichiatrici) che creano le condizioni di una forte sofferenza psichica. Creano una immane sofferenza lo stress di non riuscire a partire per migliorare la propria vita, il dover reperire migliaia di euro per pagarsi un viaggio, con la responsabilità di non deludere familiari e amici e la speranza di inviare presto soldi a casa, la paura durante una traversata dove si rischia la vita e si vedono morire compagnx, le torture subite nei lager, e all’arrivo in Italia, quando si pensava di avercela fatta, altre procedure rese ancora più incomprensibili perché in una lingua diversa, altre galere e violenze, nell’isolamento più assoluto, come nei CPR dove non è possibile nemmeno sentire telefonicamente la voce dei propri cari.
I tentativi di protesta contro questo sistema disumano spesso sono repressi ricorrendo appunto a motivazioni sanitarie, etichettando chi reclama libertà come un folle da sottoporre a trattamento sanitario obbligatorio e contenzione.
Davanti all’ennesima uccisione non deve cadere il silenzio.
pubblichiamo il volantino e una lettera diffusi dagli amici e dai compagni di Matteo Tenni alla fiaccolata che si è tenuta venerdì 26 novembre scorso per ricordare Matteo.
una luce per Matteo
Matteo uno di Noi
Sotto il link per ascoltare l’ intervista a radio BlackOut sulla situazione del reparto psichiatrico Sestante nel carcere di Torino.
https://radioblackout.org/2021/11/il-sestante-carcere-e-manicomio/
La recente denuncia dell’associazione Antigone sulle condizioni inumane di detenzione al Sestante, il repartino psichiatrico del carcere delle Vallette, ha riaperto la questione dei manicomi criminali, poi ospedali psichiatrici giudiziari, chiusi per far posto alle REMS – residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza. Formalmente, pur essendo strutture chiuse, le REMS non sono più carceri, perché la competenza è passata dal ministero di giustizia a quello della sanità.
La chiusura degli OPG e la nascita delle REMS non ha tuttavia reciso il legame tra psichiatria e reclusione. Anzi.
I prigionieri delle REMS sono sedati chimicamente, non possono uscire, spesso sono legati ai letti.
In carcere, già prima della nascita delle REMS, sono stati aperti repartini dedicati alle persone psichiatrizzate. Veri e propri manicomi all’interno delle carceri. Come i vecchi manicomi criminali sono luoghi dove, ancor più che nei reparti “normali”, vige l’arbitrio e la violenza delle guardie. Celle buie, materassi marci, gabinetti intasati, persone incapaci di muoversi e parlare perché sedate con dosi massicce di psicofarmaci. La gabbia chimica e quella di mattoni si uniscono in questi nuovi manicomi. Il manicomio si è polverizzato in tante e diverse strutture più piccole, ma la reclusione psichiatrica resta l’orizzonte concreto per moltissime persone.
Oggi un detenuto su quattro è in terapia psichiatrica, nel 2020 c’erano 174 persone rinchiuse in carcere in attesa di venire imprigionate in una REMS.
La contenzione fisica, dentro e fuori dal carcere è aumentata, mentre si allunga l’elenco delle persone morte, dopo essere rimaste legate mani, piedi e spalle al letto. L’ultimo morto di cui si ha notizia è rimasto per quasi tre settimane crocefisso alla sua branda nel repartino dell’ospedale di Livorno. Due anni fa Elena Casetto, inchiodata da legacci al suo letto, morì atrocemente, bruciata viva, prima che qualcuno intervenisse. Per questa vicenda atroce sono indagati i vigili del fuoco: gli psichiatri non sono mai entrati nell’inchiesta.
La contenzione fisica, che, assieme alla gabbia chimica, è una vera forma di tortura, è stata abolita in numerosi paesi europei. In Italia solo 17 ospedali su 320 hanno deciso di buttare legacci e corde.
Ne abbiamo parlato con Alberto del Collettivo antipsichiatrico “Antonin Artaud” di Pisa
La prossima assemblea del Collettivo Antipsichiatrico Antonino Artaud prevista per martedì prossimo è spostata a MERCOLEDI’ 1 DICEMBRE. Si svolgerà come sempre presso lo Spazio Antagonista Newroz in via Garibaldi 72 a Pisa alle ore 21:30
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38, 56100 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org 3357002669
alla TRASMISSIONE RADIO “MEZZ’ORA D’ARIA” PUNTATA SULLA CONTENZIONE
Sulla contenzione meccanica in psichiatria. Pratica di tortura nel servizio sanitario.
A Mezz’ora d’aria, trasmissione radio anticarceraria bolognese su Radio Città Fujiko, a ridosso del presidio contro la contenzione a Livorno, una puntata dedicata alla contenzione fisica nei reparti psichiatrici e una testimonianza sulla contenzione ospedaliera. Sotto il link per ascoltare la trasmissione.
https://www.autistici.org/mezzoradaria/puntata-del-13-novembre-2021/
SU RADIO ONDAROSSA INTERVISTA al Collettivo SENZANUMERO
Con una compagna del Collettivo SenzaNumero raccontiamo la due giorni avvenuta a Livorno contro la contenzione, partendo dalla situazione nei reparti ospedalieri e passando in rassegna le vecchie riforme in campo psichiatrico alla luce delle dichiarazioni del Ministro Speranza sulla fine della contenzione meccanica nel 2023. Sotto il link per ascoltare la trasmissione.
http://www.ondarossa.info/newstrasmissioni/silenzio-assordante/2021/11/dalle-giornate-lotta-contro
a questo link trovate il podcast della chiacchierata con radio OndaRossa che abbiamo fatto come collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
https://www.ondarossa.info/redazionali/2021/11/livorno-6-e-7-novembre-basta-morire
Livorno, 6 e 7 Novembre: basta morire di contenzione!
Nei reparti psichiatrici italiani si continua a morire di contenzione meccanica, sia in regime di degenza che durante le procedure di TSO. Contenzione meccanica e farmacologica sono praticate diffusamente anche nelle strutture che ospitano persone anziane e/o non autosufficienti. In nessun caso la carenza di personale e di strutture può giustificare il ricorso a pratiche coercitive. Anche la logica dei “motivi di sicurezza”, dello “stato di necessità” o delle “persone aggressive” a cui sovente si fa appello nei reparti, deve essere respinta poiché fondata sul pregiudizio ancora diffuso della potenziale pericolosità della “pazzia”. Molti ritengono, per atteggiamento culturale o per formazione, che sia giustificabile sottoporre persone diagnosticate come “malate mentali” a mezzi coercitivi, che sia nell’ordine delle cose e corrisponda al loro stesso interesse. Chi condivide questa opinione non considera adeguatamente, sia in termini esistenziali che giuridici, il valore imprescindibile della libertà della persona, tanto più rilevante quanto più attinente a libertà minime, elementari e naturali, come la libertà di movimento. Sabato 6 novembre si terrà un presidio a Livorno contro la contenzione e domenica sempre a Livorno un’assemblea antipsichiatrica. Di seguito il programma dettagliato della due giorni.
Qui tutte le info: https://artaudpisa.noblogs.org/post/2021/10/30/livorno-sab-6-e-dom-7-no…
A LIVORNO:
Sabato 6 Novembre:
– PRESIDIO CONTRO LA CONTENZIONE piazza Damiano Chiesa davanti l’Ospedale nel pomeriggio dalle ore 16
Domenica 7 novembre:
– ore 10 all’ Ex Caserma Occupata inizio assemblea antipsichiatrica
– ore 13 Pranzo a cura di Cucina IppoOasi
nel pom proseguimento assemblea
È uscita su Umanità Nova la recensione, che abbiamo scritto come collettivo Artaud, del libro “il potere della parola” di Sara Manzoli edizioni Sensibili Alle Foglie. Sotto trovate il link.
https://umanitanova.org/il-potere-della-parola-recensione/
“IL POTERE DELLA PAROLA. La carenza dialogica nelle relazioni tra utenti e operatori nell’istituzione psichiatrica” di Sara Manzoli edizioni Sensibili Alle Foglie, 2021.
Questo libro è frutto di un cantiere di socioanalisi narrativa svolto dall’autrice Sara Manzoli con persone che sono seguite dai servizi psichiatrici di Modena e provincia.
Nella socioanalisi la narrazione dell’esperienza su cui si vuole portare l’attenzione diventa un dispositivo di ricerca che consente, attraverso il lavoro di gruppo, di fare emergere i molti non detti, ovvero quei dispositivi occulti e totalizzanti che, per le persone implicate, risultano alienanti, mortificanti e fonte di malessere. Attraverso le narrazioni d’esperienza, con l’intervento socioanalitico, si cerca di mettere a fuoco le varie modalità attraverso cui le persone si adattano o resistono in modo creativo all’azione dei dispositivi di potere. La narrazione e il racconto sono potenti strumenti di elaborazione del proprio vissuto, servono per crescere, per migliorarsi, per mettersi in discussione e per andare avanti nel viaggio della vita; questa è l’ottica con cui le persone che hanno partecipato al cantiere si sono approcciate a questa esperienza collettiva.
Gli ambiti emersi dai racconti e presi in considerazione in questo lavoro sono la mancanza di dialogo fra paziente e psichiatra, i ricoveri psichiatrici, i Trattamenti Sanitari Obbligatori (TSO), i dispositivi di controllo che vengono applicati nei reparti ospedalieri e nei contesti residenziali, la terapia psicofarmacologica, lo stigma.
In questo testo abbiamo trovato spunti di riflessione e meccanismi della psichiatria che da anni denunciamo come collettivo antipsichiatrico. I colloqui troppo brevi dove ti tengono giusto il tempo per darti la terapia e non c’è la possibilità di essere ascoltati o di esprimere i dubbi e le difficoltà. La parola della persona diagnosticata (marchiata) malata di mente non viene presa in considerazione, anzi spesso, considerata sintomo della malattia. Le persone protagoniste del cantiere raccontano che sono obbligate a frequentare i servizi psichiatrici e costrette ad assumere psicofarmaci e che devono continuare a prenderli per il resto della vita, proprio come un “diabetico prende l’insulina”. L’unico interesse della psichiatria non sembra essere quello dichiarato della “cura”, ma la progressiva cronicizzazione del malessere: tutte le altre discipline mediche hanno come obiettivo la dimissione del malato, il sistema psichiatrico, invece, ti prende in carico a vita.
L’inganno maggiore di questo sistema sta nel credere che un Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) duri in fondo solo sette giorni, o quattordici nel caso peggiore; e nel pensare che, sì, in effetti è un sequestro di persona legalizzato. La verità è che il Trattamento Sanitario Obbligatorio implica una coatta presa in carico della persona da parte dei Servizi di salute mentale del territorio che può durare per decenni, proprio come è successo a vari partecipanti al cantiere. Una volta entrato in questo meccanismo infernale, una volta bollato con l’infamia della malattia mentale, il paziente vi rimane invischiato a vita, costretto a continue visite psichiatriche e soprattutto, a trattamenti con farmaci obbligatori pena un nuovo ricovero. Per i pazienti ricoverati in TSO e considerati “agitati” si ricorre ancora al”isolamento e alla contenzione fisica, mentre i cocktails di farmaci somministrati mirano ad annullare la coscienza di sé della persona, a renderla docile ai ritmi e alle regole ospedaliere. Il grado di spersonalizzazione ed alienazione che si può raggiungere durante una settimana di TSO ha pochi eguali, anche per il bombardamento chimico a cui si è sottoposti. Ecco come l’obbligo di cura oggi non significhi più necessariamente la reclusione in una struttura, ma si trasformi nell’impossibilità di modificare o sospendere il trattamento psichiatrico sotto costante minaccia di ricorso al ricovero coatto sfruttato come strumento di ricatto e repressione.
Un altro capitolo del libro è dedicato all’obbligo di cura e di assunzione di psicofarmaci. Gli psicofarmaci, oltre ad agire solo sui sintomi e non sulle cause della sofferenza della persona, se presi per lunghi periodi alterano il metabolismo e le percezioni, rallentano i percorsi cognitivi ed ideativi contrastando la possibilità di fare scelte autonome, generano fenomeni di dipendenza ed assuefazione del tutto pari, se non superiori, a quelli delle sostanze illegali classificate come droghe pesanti. Sappiamo bene che le persone trattate con psicofarmaci aumentano la probabilità di trasformare un episodio di sofferenza in una patologia cronica. La maggior parte di coloro che ricevano un trattamento farmacologico va incontro a nuovi e più gravi sintomi psichiatrici, a patologie somatiche e a una compromissione cognitiva. Quello che finora ci ha proposto la psichiatria è la centralità degli “squilibri chimici” nel funzionamento del cervello, ha cambiato il nostro schema di comprensione della mente e messo in discussione il concetto di libero arbitrio. Come collettivo, non condanniamo a priori l’utilizzo di psicofarmaci ma pensiamo che spetti all’individuo deciderne in libertà e consapevolezza l’assunzione.
Poiché la risposta psichiatrica è sempre la stessa per tutte le situazioni: diagnosi, etichetta e cura farmacologica crediamo che rivendicare il diritto ad avere parola e all’autodeterminazione in ambito psichiatrico significhi riappropriarsi delle proprie esperienze, delle difficoltà, delle sofferenze e della molteplicità di maniere per affrontarle. La logica psichiatrica sminuisce le sofferenze delle persone, riducendo le reazioni dell’individuo al carico di stress cui si trova sottoposto a sintomi di malattia e medicalizzando gli eventi naturali della vita.
È necessario operare contro l’invalidante stigma psichiatrico affinché l’Istituzione psichiatrica dia ascolto e credito alle parole delle persone. La restituzione sociale del cantiere proposta nel libro si pone come obiettivo il mettere in luce quanto a livello di ascolto e scambio dialogico sia ancora necessario fare per poter arrivare a un reale processo di condivisione del percorso terapeutico. Dalle narrazioni emerge una precisa richiesta di un maggior dialogo tra utenti e operatori, di sviluppare pratiche alternative alla cura farmacologica, nella prospettiva di elaborare un metodo che modifichi radicalmente, sovvertendole, le Istituzioni psichiatriche nel loro complesso.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org
355 7002669
BASTA MORIRE DI CONTENZIONE!!
ABOLIAMO LA CONTENZIONE!!
Sono ancora scarse le informazioni riguardanti la morte della persona, originaria della Val di Cornia, ricoverata nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Livorno deceduta a inizio aprile di quest’anno dopo essere stato legata al letto per oltre una settimana. Le generalità non sono ancora state rese pubbliche. Non sappiamo se è stata fatta un’autopsia e se c’è un indagine della magistratura in corso. Non sappiamo quante contenzioni vengono fatte nel reparto di Livorno.
Di sicuro nei reparti psichiatrici italiani si continua a morire di contenzione meccanica, sia in regime di degenza che durante le procedure di TSO.
Il 13 agosto del 2019, nel reparto psichiatrico dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo è morta durante un incendio Elena Casetto, 19 anni, bruciata viva nel letto al quale era legata: la contenzione non le ha permesso di fuggire. A oggi per quel terribile evento sono indagati solo i due addetti della ditta che aveva in appalto il servizio antincendio dell’ospedale.
Un episodio simile era accaduto nel Manicomio Giudiziario di Pozzuoli nel 1974, quando Antonia Bernardini morì per le ustioni riportate dopo l’incendio che l’aveva avvolta nel letto di contenzione al quale era stata legata ininterrottamente per 43 giorni.
Il 4 agosto del 2009 Francesco Mastrogiovanni è morto per edema polmonare dopo 87 ore consecutive di contenzione nel reparto di psichiatria dell’Ospedale di Vallo della Lucania, provincia di Salerno. Era stato ricoverato in TSO, trattamento sanitario obbligatorio, senza rispettare le procedure previste dalla legge; sedato e legato con fascette ai polsi e alle caviglie, è rimasto senza mangiare, senza bere e senza nessuno che si preoccupasse di lui fino alla morte.
Nel caso Mastrogiovanni la Corte di Cassazione ha definito l’uso della contenzione meccanica un presidio restrittivo della libertà personale che non ha né una finalità curativa né produce l’effetto di migliorare le condizioni di salute del paziente. La contenzione non è un atto medico e non ha alcuna valenza terapeutica: è un evento violento e dannoso per la salute mentale e fisica di chi la subisce; offende la dignità delle persone e compromette gravemente la relazione terapeutica.
Purtroppo contenzione meccanica e farmacologica sono praticate diffusamente anche nelle strutture che ospitano persone anziane e/o non autosufficienti. In nessun caso la carenza di personale e di strutture può giustificare il ricorso a pratiche coercitive. Anche la logica dei “motivi di sicurezza”, dello “stato di necessità” o delle “persone aggressive” a cui sovente si fa appello nei reparti, deve essere respinta poiché fondata sul pregiudizio ancora diffuso della potenziale pericolosità della “pazzia”. Molti ritengono, per atteggiamento culturale o per formazione, che sia giustificabile sottoporre persone diagnosticate come “malate mentali” a mezzi coercitivi, che sia nell’ordine delle cose e corrisponda al loro stesso interesse. Chi condivide questa opinione non considera adeguatamente, sia in termini esistenziali che giuridici, il valore imprescindibile della libertà della persona, tanto più rilevante quanto più attinente a libertà minime, elementari e naturali, come la libertà di movimento.
Oltre al ricorso alla contenzione meccanica e farmacologica, continua ancora oggi a prevalere nei servizi psichiatrici un atteggiamento custodialistico e l’impiego sistematico di pratiche e dispositivi manicomiali: obbligo di cura, porte chiuse, grate alle finestre, sequestro dei beni personali, limitazione e controllo delle telefonate e di altre relazioni e abitudini.
Sappiamo inoltre, di numerose esperienze in Italia e all’estero dove viene evitata la contenzione. In solo 15 reparti italiani su 320 viene praticata la terapia no restraint, la contenzione è stata abolita e le porte sono aperte.
Sappiamo che questi dispositivi sono strutturali ai luoghi di reclusione e abbandono, ma ribadiamo la necessità di proibire, senza alcuna eccezione, la contenzione meccanica nelle istituzioni sanitarie, assistenziali, penitenziarie italiane e in tutti i luoghi di reclusione.
Continueremo a lottare con forza contro ogni dispositivo manicomiale e coercitivo (obbligo di cura, trattamento sanitario obbligatorio, uso dell’elettroshock, contenzione meccanica, farmacologica e ambientale, ecc) e per il superamento e l’abolizione di ogni pratica lesiva della libertà personale.
BASTA MORIRE DI CONTENZIONE !! STOP ALLA CONTENZIONE!!
a LIVORNO:
Sabato 6 Novembre:
– PRESIDIO CONTRO LA CONTENZIONE piazza Damiano Chiesa davanti l’Ospedale nel pomeriggio dalle ore 16
– alle ore 20 PANINI VEGAN + MUSICA all’ Ex Caserma Occupata in via Adriana 16
Domenica 7 novembre:
– ore 10 all’ Ex Caserma Occupata inizio assemblea antipsichiatrica
– ore 13 Pranzo a cura di Cucina IppoOasi
nel pom proseguimento assemblea