LINK INTERVISTA a Radio OndaRossa: Livorno, 6 e 7 Novembre: BASTA MORIRE DI CONTENZIONE !
a questo link trovate il podcast della chiacchierata con radio OndaRossa che abbiamo fatto come collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
https://www.ondarossa.info/redazionali/2021/11/livorno-6-e-7-novembre-basta-morire
Livorno, 6 e 7 Novembre: basta morire di contenzione!
Nei reparti psichiatrici italiani si continua a morire di contenzione meccanica, sia in regime di degenza che durante le procedure di TSO. Contenzione meccanica e farmacologica sono praticate diffusamente anche nelle strutture che ospitano persone anziane e/o non autosufficienti. In nessun caso la carenza di personale e di strutture può giustificare il ricorso a pratiche coercitive. Anche la logica dei “motivi di sicurezza”, dello “stato di necessità” o delle “persone aggressive” a cui sovente si fa appello nei reparti, deve essere respinta poiché fondata sul pregiudizio ancora diffuso della potenziale pericolosità della “pazzia”. Molti ritengono, per atteggiamento culturale o per formazione, che sia giustificabile sottoporre persone diagnosticate come “malate mentali” a mezzi coercitivi, che sia nell’ordine delle cose e corrisponda al loro stesso interesse. Chi condivide questa opinione non considera adeguatamente, sia in termini esistenziali che giuridici, il valore imprescindibile della libertà della persona, tanto più rilevante quanto più attinente a libertà minime, elementari e naturali, come la libertà di movimento. Sabato 6 novembre si terrà un presidio a Livorno contro la contenzione e domenica sempre a Livorno un’assemblea antipsichiatrica. Di seguito il programma dettagliato della due giorni.
Qui tutte le info: https://artaudpisa.noblogs.org/post/2021/10/30/livorno-sab-6-e-dom-7-no…
A LIVORNO:
Sabato 6 Novembre:
– PRESIDIO CONTRO LA CONTENZIONE piazza Damiano Chiesa davanti l’Ospedale nel pomeriggio dalle ore 16
Domenica 7 novembre:
– ore 10 all’ Ex Caserma Occupata inizio assemblea antipsichiatrica
– ore 13 Pranzo a cura di Cucina IppoOasi
nel pom proseguimento assemblea
RECENSIONE del Libro “IL POTERE DELLA PAROLA” uscita su Umanità Nova
È uscita su Umanità Nova la recensione, che abbiamo scritto come collettivo Artaud, del libro “il potere della parola” di Sara Manzoli edizioni Sensibili Alle Foglie. Sotto trovate il link.
https://umanitanova.org/il-potere-della-parola-recensione/
“IL POTERE DELLA PAROLA. La carenza dialogica nelle relazioni tra utenti e operatori nell’istituzione psichiatrica” di Sara Manzoli edizioni Sensibili Alle Foglie, 2021.
Questo libro è frutto di un cantiere di socioanalisi narrativa svolto dall’autrice Sara Manzoli con persone che sono seguite dai servizi psichiatrici di Modena e provincia.
Nella socioanalisi la narrazione dell’esperienza su cui si vuole portare l’attenzione diventa un dispositivo di ricerca che consente, attraverso il lavoro di gruppo, di fare emergere i molti non detti, ovvero quei dispositivi occulti e totalizzanti che, per le persone implicate, risultano alienanti, mortificanti e fonte di malessere. Attraverso le narrazioni d’esperienza, con l’intervento socioanalitico, si cerca di mettere a fuoco le varie modalità attraverso cui le persone si adattano o resistono in modo creativo all’azione dei dispositivi di potere. La narrazione e il racconto sono potenti strumenti di elaborazione del proprio vissuto, servono per crescere, per migliorarsi, per mettersi in discussione e per andare avanti nel viaggio della vita; questa è l’ottica con cui le persone che hanno partecipato al cantiere si sono approcciate a questa esperienza collettiva.
Gli ambiti emersi dai racconti e presi in considerazione in questo lavoro sono la mancanza di dialogo fra paziente e psichiatra, i ricoveri psichiatrici, i Trattamenti Sanitari Obbligatori (TSO), i dispositivi di controllo che vengono applicati nei reparti ospedalieri e nei contesti residenziali, la terapia psicofarmacologica, lo stigma.
In questo testo abbiamo trovato spunti di riflessione e meccanismi della psichiatria che da anni denunciamo come collettivo antipsichiatrico. I colloqui troppo brevi dove ti tengono giusto il tempo per darti la terapia e non c’è la possibilità di essere ascoltati o di esprimere i dubbi e le difficoltà. La parola della persona diagnosticata (marchiata) malata di mente non viene presa in considerazione, anzi spesso, considerata sintomo della malattia. Le persone protagoniste del cantiere raccontano che sono obbligate a frequentare i servizi psichiatrici e costrette ad assumere psicofarmaci e che devono continuare a prenderli per il resto della vita, proprio come un “diabetico prende l’insulina”. L’unico interesse della psichiatria non sembra essere quello dichiarato della “cura”, ma la progressiva cronicizzazione del malessere: tutte le altre discipline mediche hanno come obiettivo la dimissione del malato, il sistema psichiatrico, invece, ti prende in carico a vita.
L’inganno maggiore di questo sistema sta nel credere che un Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) duri in fondo solo sette giorni, o quattordici nel caso peggiore; e nel pensare che, sì, in effetti è un sequestro di persona legalizzato. La verità è che il Trattamento Sanitario Obbligatorio implica una coatta presa in carico della persona da parte dei Servizi di salute mentale del territorio che può durare per decenni, proprio come è successo a vari partecipanti al cantiere. Una volta entrato in questo meccanismo infernale, una volta bollato con l’infamia della malattia mentale, il paziente vi rimane invischiato a vita, costretto a continue visite psichiatriche e soprattutto, a trattamenti con farmaci obbligatori pena un nuovo ricovero. Per i pazienti ricoverati in TSO e considerati “agitati” si ricorre ancora al”isolamento e alla contenzione fisica, mentre i cocktails di farmaci somministrati mirano ad annullare la coscienza di sé della persona, a renderla docile ai ritmi e alle regole ospedaliere. Il grado di spersonalizzazione ed alienazione che si può raggiungere durante una settimana di TSO ha pochi eguali, anche per il bombardamento chimico a cui si è sottoposti. Ecco come l’obbligo di cura oggi non significhi più necessariamente la reclusione in una struttura, ma si trasformi nell’impossibilità di modificare o sospendere il trattamento psichiatrico sotto costante minaccia di ricorso al ricovero coatto sfruttato come strumento di ricatto e repressione.
Un altro capitolo del libro è dedicato all’obbligo di cura e di assunzione di psicofarmaci. Gli psicofarmaci, oltre ad agire solo sui sintomi e non sulle cause della sofferenza della persona, se presi per lunghi periodi alterano il metabolismo e le percezioni, rallentano i percorsi cognitivi ed ideativi contrastando la possibilità di fare scelte autonome, generano fenomeni di dipendenza ed assuefazione del tutto pari, se non superiori, a quelli delle sostanze illegali classificate come droghe pesanti. Sappiamo bene che le persone trattate con psicofarmaci aumentano la probabilità di trasformare un episodio di sofferenza in una patologia cronica. La maggior parte di coloro che ricevano un trattamento farmacologico va incontro a nuovi e più gravi sintomi psichiatrici, a patologie somatiche e a una compromissione cognitiva. Quello che finora ci ha proposto la psichiatria è la centralità degli “squilibri chimici” nel funzionamento del cervello, ha cambiato il nostro schema di comprensione della mente e messo in discussione il concetto di libero arbitrio. Come collettivo, non condanniamo a priori l’utilizzo di psicofarmaci ma pensiamo che spetti all’individuo deciderne in libertà e consapevolezza l’assunzione.
Poiché la risposta psichiatrica è sempre la stessa per tutte le situazioni: diagnosi, etichetta e cura farmacologica crediamo che rivendicare il diritto ad avere parola e all’autodeterminazione in ambito psichiatrico significhi riappropriarsi delle proprie esperienze, delle difficoltà, delle sofferenze e della molteplicità di maniere per affrontarle. La logica psichiatrica sminuisce le sofferenze delle persone, riducendo le reazioni dell’individuo al carico di stress cui si trova sottoposto a sintomi di malattia e medicalizzando gli eventi naturali della vita.
È necessario operare contro l’invalidante stigma psichiatrico affinché l’Istituzione psichiatrica dia ascolto e credito alle parole delle persone. La restituzione sociale del cantiere proposta nel libro si pone come obiettivo il mettere in luce quanto a livello di ascolto e scambio dialogico sia ancora necessario fare per poter arrivare a un reale processo di condivisione del percorso terapeutico. Dalle narrazioni emerge una precisa richiesta di un maggior dialogo tra utenti e operatori, di sviluppare pratiche alternative alla cura farmacologica, nella prospettiva di elaborare un metodo che modifichi radicalmente, sovvertendole, le Istituzioni psichiatriche nel loro complesso.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
antipsichiatriapisa@inventati.org
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355 7002669
LIVORNO. sab 6 e dom 7 Novembre: BASTA MORIRE DI CONTENZIONE !! STOP ALLA CONTENZIONE!!
ABOLIAMO LA CONTENZIONE!!
Sono ancora scarse le informazioni riguardanti la morte della persona, originaria della Val di Cornia, ricoverata nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Livorno deceduta a inizio aprile di quest’anno dopo essere stato legata al letto per oltre una settimana. Le generalità non sono ancora state rese pubbliche. Non sappiamo se è stata fatta un’autopsia e se c’è un indagine della magistratura in corso. Non sappiamo quante contenzioni vengono fatte nel reparto di Livorno.
Di sicuro nei reparti psichiatrici italiani si continua a morire di contenzione meccanica, sia in regime di degenza che durante le procedure di TSO.
Il 13 agosto del 2019, nel reparto psichiatrico dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo è morta durante un incendio Elena Casetto, 19 anni, bruciata viva nel letto al quale era legata: la contenzione non le ha permesso di fuggire. A oggi per quel terribile evento sono indagati solo i due addetti della ditta che aveva in appalto il servizio antincendio dell’ospedale.
Un episodio simile era accaduto nel Manicomio Giudiziario di Pozzuoli nel 1974, quando Antonia Bernardini morì per le ustioni riportate dopo l’incendio che l’aveva avvolta nel letto di contenzione al quale era stata legata ininterrottamente per 43 giorni.
Il 4 agosto del 2009 Francesco Mastrogiovanni è morto per edema polmonare dopo 87 ore consecutive di contenzione nel reparto di psichiatria dell’Ospedale di Vallo della Lucania, provincia di Salerno. Era stato ricoverato in TSO, trattamento sanitario obbligatorio, senza rispettare le procedure previste dalla legge; sedato e legato con fascette ai polsi e alle caviglie, è rimasto senza mangiare, senza bere e senza nessuno che si preoccupasse di lui fino alla morte.
Nel caso Mastrogiovanni la Corte di Cassazione ha definito l’uso della contenzione meccanica un presidio restrittivo della libertà personale che non ha né una finalità curativa né produce l’effetto di migliorare le condizioni di salute del paziente. La contenzione non è un atto medico e non ha alcuna valenza terapeutica: è un evento violento e dannoso per la salute mentale e fisica di chi la subisce; offende la dignità delle persone e compromette gravemente la relazione terapeutica.
Purtroppo contenzione meccanica e farmacologica sono praticate diffusamente anche nelle strutture che ospitano persone anziane e/o non autosufficienti. In nessun caso la carenza di personale e di strutture può giustificare il ricorso a pratiche coercitive. Anche la logica dei “motivi di sicurezza”, dello “stato di necessità” o delle “persone aggressive” a cui sovente si fa appello nei reparti, deve essere respinta poiché fondata sul pregiudizio ancora diffuso della potenziale pericolosità della “pazzia”. Molti ritengono, per atteggiamento culturale o per formazione, che sia giustificabile sottoporre persone diagnosticate come “malate mentali” a mezzi coercitivi, che sia nell’ordine delle cose e corrisponda al loro stesso interesse. Chi condivide questa opinione non considera adeguatamente, sia in termini esistenziali che giuridici, il valore imprescindibile della libertà della persona, tanto più rilevante quanto più attinente a libertà minime, elementari e naturali, come la libertà di movimento.
Oltre al ricorso alla contenzione meccanica e farmacologica, continua ancora oggi a prevalere nei servizi psichiatrici un atteggiamento custodialistico e l’impiego sistematico di pratiche e dispositivi manicomiali: obbligo di cura, porte chiuse, grate alle finestre, sequestro dei beni personali, limitazione e controllo delle telefonate e di altre relazioni e abitudini.
Sappiamo inoltre, di numerose esperienze in Italia e all’estero dove viene evitata la contenzione. In solo 15 reparti italiani su 320 viene praticata la terapia no restraint, la contenzione è stata abolita e le porte sono aperte.
Sappiamo che questi dispositivi sono strutturali ai luoghi di reclusione e abbandono, ma ribadiamo la necessità di proibire, senza alcuna eccezione, la contenzione meccanica nelle istituzioni sanitarie, assistenziali, penitenziarie italiane e in tutti i luoghi di reclusione.
Continueremo a lottare con forza contro ogni dispositivo manicomiale e coercitivo (obbligo di cura, trattamento sanitario obbligatorio, uso dell’elettroshock, contenzione meccanica, farmacologica e ambientale, ecc) e per il superamento e l’abolizione di ogni pratica lesiva della libertà personale.
BASTA MORIRE DI CONTENZIONE !! STOP ALLA CONTENZIONE!!
a LIVORNO:
Sabato 6 Novembre:
– PRESIDIO CONTRO LA CONTENZIONE piazza Damiano Chiesa davanti l’Ospedale nel pomeriggio dalle ore 16
– alle ore 20 PANINI VEGAN + MUSICA all’ Ex Caserma Occupata in via Adriana 16
Domenica 7 novembre:
– ore 10 all’ Ex Caserma Occupata inizio assemblea antipsichiatrica
– ore 13 Pranzo a cura di Cucina IppoOasi
nel pom proseguimento assemblea
Il PROSSIMO SPORTELLO D’ASCOLTO SI TERRA’ MARTEDì 9 NOVEMBRE
Vi informiamo che lo SPORTELLO D’ASCOLTO ANTIPSICHIATRICO previsto per martedì 2 novembre non sarà effettuato. Lo SPORTELLO si terrà regolarmente martedì 9 novembre allo stesso orario , dalle ore 15:30 alle 18:30 presso la nostra sede in via San Lorenzo 38 a Pisa.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38, 56100 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org 3357002669
Firenze: giov 4/11 presentazione del libro “CONVERSAZIONI CON UN RIVOLUZIONARIO” c/o Associazione Mariano Ferreyra
MAURO DAMIANI-Recuperato.jpg
FIRENZE GIOVEDì 4 NOVEMBRE 2021 alle ore 19 in via degli Alfani 13 Rosso
l’ Associazione Mariano Ferreyra Collettivo Politico 13 Rosso
e il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
presentano il libro”
CONVERSAZIONI CON UN RIVOLUZIONARIO di Mauro Damiani e Giulia Spalla
Edizioni Sensibili Alle Foglie
ne parliamo con l’autore Mauro Damiani, Sandro Targetti, il Ccollettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud e la psicologa Giulia Spalla
Ore 21 Cena a Buffet di Finanziamento
sab 6 e dom 7 Novembre a Livorno: BASTA MORIRE DI CONTENZIONE !! STOP ALLA CONTENZIONE!!
BASTA MORIRE DI CONTENZIONE !! STOP ALLA CONTENZIONE!!
a LIVORNO, Sabato 6 Novembre:
– PRESIDIO CONTRO LA CONTENZIONE piazza Damiano Chiesa davanti l’Ospedale nel pomeriggio dalle ore 16
– alle ore 20 PIZZATA + MUSICA all’ Ex Caserma Occupata in via Adriana 16
Domenica 7 novembre: – ore 10 all’ Ex Caserma Occupata inizio assemblea antipsichiatrica – ore 13 Pranzo a cura di Cucina IppoOasi nel pom proseguimento assemblea
LIVORNO sab 6 e dom 7 Novembre: BASTA MORIRE DI CONTENZIONE !!
Programma e Appello 2 gg CONTRO LA CONTENZIONE A LIVORNO!
BASTA MORIRE DI CONTENZIONE !! STOP ALLA CONTENZIONE!!
a LIVORNO:
Sabato 6 Novembre:
– PRESIDIO CONTRO LA CONTENZIONE piazza Damiano Chiesa davanti l’Ospedale nel pomeriggio dalle ore 16
– alle ore 20 PIZZATA + MUSICA all’ Ex Caserma Occupata in via Adriana 16
Domenica 7 novembre:
– ore 10 all’ Ex Caserma Occupata inizio assemblea antipsichiatrica
– ore 13 Pranzo a cura di Cucina IppoOasi nel pom proseguimento assemblea
BASTA MORIRE DI CONTENZIONE!! ABOLIAMO LA CONTENZIONE!!
Sono ancora scarse le informazioni riguardanti la morte della persona, originaria della Val di Cornia, ricoverata nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Livorno deceduta a inizio aprile di quest’anno dopo essere stato legata al letto per oltre una settimana. Le generalità non sono ancora state rese pubbliche. Non sappiamo se è stata fatta un’autopsia e se c’è un indagine della magistratura in corso. Non sappiamo quante contenzioni vengono fatte nel reparto di Livorno.
Di sicuro nei reparti psichiatrici italiani si continua a morire di contenzione meccanica, sia in regime di degenza che durante le procedure di TSO.
Il 13 agosto del 2019, nel reparto psichiatrico dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo è morta durante un incendio Elena Casetto, 19 anni, bruciata viva nel letto al quale era legata: la contenzione non le ha permesso di fuggire. A oggi per quel terribile evento sono indagati solo i due addetti della ditta che aveva in appalto il servizio antincendio dell’ospedale.
Un episodio simile era accaduto nel Manicomio Giudiziario di Pozzuoli nel 1974, quando Antonia Bernardini morì per le ustioni riportate dopo l’incendio che l’aveva avvolta nel letto di contenzione al quale era stata legata ininterrottamente per 43 giorni.
Il 4 agosto del 2009 Francesco Mastrogiovanni è morto per edema polmonare dopo 87 ore consecutive di contenzione nel reparto di psichiatria dell’Ospedale di Vallo della Lucania, provincia di Salerno. Era stato ricoverato in TSO, trattamento sanitario obbligatorio, senza rispettare le procedure previste dalla legge; sedato e legato con fascette ai polsi e alle caviglie, è rimasto senza mangiare, senza bere e senza nessuno che si preoccupasse di lui fino alla morte.
Nel caso Mastrogiovanni la Corte di Cassazione ha definito l’uso della contenzione meccanica un presidio restrittivo della libertà personale che non ha né una finalità curativa né produce l’effetto di migliorare le condizioni di salute del paziente. La contenzione non è un atto medico e non ha alcuna valenza terapeutica: è un evento violento e dannoso per la salute mentale e fisica di chi la subisce; offende la dignità delle persone e compromette gravemente la relazione terapeutica.
Purtroppo contenzione meccanica e farmacologica sono praticate diffusamente anche nelle strutture che ospitano persone anziane e/o non autosufficienti. In nessun caso la carenza di personale e di strutture può giustificare il ricorso a pratiche coercitive. Anche la logica dei “motivi di sicurezza”, dello “stato di necessità” o delle “persone aggressive” a cui sovente si fa appello nei reparti, deve essere respinta poiché fondata sul pregiudizio ancora diffuso della potenziale pericolosità della “pazzia”. Molti ritengono, per atteggiamento culturale o per formazione, che sia giustificabile sottoporre persone diagnosticate come “malate mentali” a mezzi coercitivi, che sia nell’ordine delle cose e corrisponda al loro stesso interesse. Chi condivide questa opinione non considera adeguatamente, sia in termini esistenziali che giuridici, il valore imprescindibile della libertà della persona, tanto più rilevante quanto più attinente a libertà minime, elementari e naturali, come la libertà di movimento.
Oltre al ricorso alla contenzione meccanica e farmacologica, continua ancora oggi a prevalere nei servizi psichiatrici un atteggiamento custodialistico e l’impiego sistematico di pratiche e dispositivi manicomiali: obbligo di cura, porte chiuse, grate alle finestre, sequestro dei beni personali, limitazione e controllo delle telefonate e di altre relazioni e abitudini.
Sappiamo inoltre, di numerose esperienze in Italia e all’estero dove viene evitata la contenzione. In solo 15 reparti italiani su 320 viene praticata la terapia no restraint, la contenzione è stata abolita e le porte sono aperte.
Sappiamo che questi dispositivi sono strutturali ai luoghi di reclusione e abbandono, ma ribadiamo la necessità di proibire, senza alcuna eccezione, la contenzione meccanica nelle istituzioni sanitarie, assistenziali, penitenziarie italiane e in tutti i luoghi di reclusione.
Continueremo a lottare con forza contro ogni dispositivo manicomiale e coercitivo (obbligo di cura, trattamento sanitario obbligatorio, uso dell’elettroshock, contenzione meccanica, farmacologica e ambientale, ecc) e per il superamento e l’abolizione di ogni pratica lesiva della libertà personale.
PISA Ven 1/10 presentazione di “IL POTERE DELLA PAROLA” di Sara Manzoli c/o S.A. Newroz
PISA VENERDI’ 1 OTTOBRE c/ lo Spazio Antagonista NEWROZ in via Garibaldi 72 alle ore 18 il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud presenta:
Il libro “IL POTERE DELLA PAROLA. La carenza dialogica nelle relazioni tra utenti e operatori nell’istituzione psichiatrica” di Sara Manzoli edizioni Sensibili Alle Foglie
Questo libro nasce dall’esperienza di un cantiere di socioanalisi narrativa svolto con persone che fanno riferimento al servizio di salute mentale di Modena e provincia; un territorio che viene portato come esempio positivo a livello nazionale rispetto al proprio approccio alla cura del disagio psichico. Dalle narrazioni raccolte appare però evidente che non tutto scorra liscio come lo si racconta. La restituzione sociale del cantiere qui proposta si pone come obiettivo il mettere in luce quanto a livello di ascolto e scambio dialogico sia ancora necessario fare per poter arrivare a un reale processo di condivisione del percorso terapeutico. Spostarsi dalla centralità del farmaco alla centralità della parola sembra un passaggio imprescindibile da qualsiasi altra pratica proposta. Gli ambiti presi in considerazione sono i ricoveri psichiatrici, i dispositivi di controllo che vengono applicati nei contesti residenziali, la terapia farmacologica, lo stigma.
sarà presente l’autrice
a seguire APERICENA
l’evento si svolgerà seguendo le misure di prevenzione anti Covid
per info:
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38, 56100 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org 3357002669
ALCUNE CONSIDERAZIONI SU ATTUALITÀ E PANDEMIA
Pubblichiamo uno scritto sull’attualità e la pandemia di alcune/i compagne/i di Bologna
ALCUNE CONSIDERAZIONI SU ATTUALITÀ E PANDEMIA
Questo scritto prova a raccogliere alcune riflessioni emerse nel contesto pandemico
attuale. Non ha la pretesa di essere esaustivo ma solo di tracciare qualche
considerazione che tenga conto di alcune complessità.
UNA PREMESSA NECESSARIA
Il consumo di immagini, emozioni forzate, informazioni e disinformazioni alimentato dai
media mainstream è ormai talmente accelerato, quasi parossistico, che ogni notizia che
può fare scalpore diventa pervasiva, spingendo la gente a prendere partito (quale che
sia), ad esprimere opinioni (quali che siano), consensi, applausi o dissensi ed
indignazioni. In un brevissimo lasso di tempo la “notizia” scivola via, slegata dalla vita
reale, facendosi sfondo, rappresentazione, teatro a cui si può assistere, vetrina per l’ego
atomizzato di ognunx, aliena ad elaborazioni complesse, come da social network.
E’ stato relativamente difficile non rincorrere l’instant-book del momento, ma non
abbiamo mai smesso di dire in modo fermo e determinato quanto l’attualità sia solo
quella dei soggetti e non quella del tempo preconfezionato, cello-phanato e distribuito
dallo Stato. Per questo abbiamo rifuggito dal farci anche noi attrici e attorx di un triste
teatrino sulla pelle deglx ultimx, che è la nostra, e piuttosto che alimentare un dibattito
infruttoso, ci siamo preoccupate di non abbandonare le strade e di lottare accanto a chi
scelta e voce non è ha, contro chi sfrutta e opprime, come abbiamo sempre fatto.
Come prima cosa ci siamo postx delle domande su come autogestirci e autotutelarci
dal virus oltre la burocrazia statale, da un punto di vista pratico e antiautoritario,
individuando aspetti da considerare e alcunx possibili criteri basati sul consenso.
Dall’inizio della pandemia in troppx hanno rinunciato ad una riflessione critica che
tenesse conto delle complessità legate al contesto emergenziale che si è venuto a
creare. Questo ha lasciato campo libero a fratture che si sono insidiate nei gruppi,
spianando la strada a sterili dicotomie (salute, cura – sorveglianza, sicurezza / si vax – no
vax…) che ricalcano la propaganda di Stato e fanno solo il gioco delle destre e dei
padroni.
Se da una parte è emersa una tendenza diffusa ad esasperare gli aspetti allarmisitico distopici legati alla pandemia senza il minimo discernimento, dall’altra si è evidenziata
invece una generalizzata minimizzazione degli effetti drammatici dei cambiamenti che
stiamo vivendo che riflette un attendismo che non rassicura.
Questo processo di polarizzazione è legato a doppio filo con la pervasività di una
comunicazione interpersonale sempre più tecnologicamente mediata: le relazioni faccia
a faccia diminuiscono sempre più, la conoscenza e le relazioni diventano sempre più
filtrate da piattaforme digitali commerciali che influenzano la percezione delle
informazioni e dei messaggi, ostacolando rielaborazioni critiche.
In molti contesti ‘compagni’ la componente dei vissuti, delle esperienze, la componente
affettiva ed emotiva della vita e delle relazioni che ci animano è stata trascurata
generando conflitto e ulteriore sofferenza, facendo sentire le persone ancora più isolate.
E’ emersa una certa indifferenza diffusa per quanto riguarda il prendersi cura di sè e
dell’altrx anche nei contesti antiautoritari e di lotta, colonizzati ancora da dinamiche di
esclusione, produttività o consumo, e sono sempre meno gli spazi in cui ricercare
reciproca soggettivazione nella ricerca comune di liberazioni che siano anche ‘pratiche’.
È UNA GUERRA TRA POVERX QUELLA CHE CI ASPETTA?
Stato, destre e padroni stanno cavalcando la pandemia riducendo le complessità e le
relazioni tra le diverse oppressioni per separarle, renderle inoffensive, manipolabili e
sfruttabili ai fini produttivo-capitalistici.
Mentre sinistra e Confindustria speculano sulle nostre vite, da oltre un anno assistiamo
all’estendersi di derive razziste, abiliste, xenofobe e sessiste, che dal regno del
pregiudizio tornano ad affermarsi attraverso un principio di determinazione aspecifico
che strizza l’occhio ad uno spietato darwinismo sociale travestito da libertà, volto a
naturalizzare le ingiustizie sociali.
Intimamente convintx che in un sistema che genera morte, malattia, disuguaglianza e
alienazione come il capitalismo, una malattia non sia solo un’etichetta diagnostica ma
sia frutto di interazioni e connessioni tra cultura, società, umanità e ambiente, crediamo
sia necessario non smettere di interrogarci sulle contraddizioni, sui dubbi, sugli
interessi, sulle oppressioni in campo legate al nuovo contesto che stiamo vivendo.
SU CURA E SALUTE NEL CONTESTO CAPITALISTA
La pandemia ha messo in luce quanto siamo disabituatx a considerare i concetti di
‘salute’, ‘malattia’, ‘cura’, in modo critico, quindi in relazione all’attuale organizzazione
socio-economica.
Mentre gli ambienti di vita e di lavoro diventano sempre più piccoli, ristretti e atomizzati,
aumenta e si amplifica a dismisura la varietà della divisione del lavoro e dello
sfruttamento. La drastica riduzione degli spazi fisici di soggettivazione ha spostato
l’alienazione dei Tempi moderni di Chaplin, dalle fabbriche all’individuo.
Si tratta di nuovi paradigmi produttivi meno fondati sulla fabbrica e più sui servizi: la
merce sei tu.
Anche la salute è sempre più individualizzata. Divenuta di pertinenza esclusiva di una
medicina organizzata definitivamente come corpo separato, la dimensione della ‘cura’
riflette l’organizzazione del corpo sociale a partire dalla divisione del lavoro e dalla
divisione in sfere sempre più isolate e mercificate di tutti i fenomeni umani.
Di quel ‘sistema sanitario’ tanto celebrato eredità delle lotte e delle agitazioni dei
movimenti degli anni ’70, rimane poco e niente, un’azienda tra le aziende annientata
dalle violente privatizzazioni.
Mentre aumenta il potere delle industrie farmaceutiche, la maggior parte dell’insieme di
attenzioni e cure necessarie per il sostentamento della vita è lavoro salariato al ribasso,
ultra-proletarizzato e fortemente connotato in termini di genere e razza.
Quanto non è compreso dai ‘servizi’ rimane tombato nelle case, schiacciato in quel
privato alienato che esprime gli stessi meccanismi patriarcali di Stato.
Da controaltare a questo isolamento dei corpi sempre più stringente, un sistema di
sfruttamento capillarizzato e in costante crescita.
L’assenza di culture dal basso in merito ai temi della ‘salute’, della ‘malattia’ e della ‘cura’
ha determinato la delega ai tecnici, totale e assoluta, e lasciato campo libero agli
interessi del Capitale di espropriare le fasce oppresse della popolazione da scelte e da
possibili processi di autodeterminazione in merito.
L’infantilizzazione che lo Stato sta attuando sul corpo sociale è lo specchio del livello di
delega che il corpo sociale ha concesso allo Stato e al Capitale.
Irrompono nel dibattito collettivo le problematicità legate alle tecnologie della
comunicazione e dell’informazione, al capitalismo della sorveglienza, al mercato delle
tecnologie legate alla salute, al corpo e alle relazioni in mano a grandi multinazionali,
nonchè l’ambiguità di una scienza mercificata e subordinata al profitto. Emerge come la
tecnologia industriale si sia servita del lavoro di milioni di lavoratrici e lavoratorx per
creare la ricchezza della ‘classe dirigente’ che aliena, sfrutta e tortura, mentre i corpi
oppressi sono ridotti ad oggetti e funzioni in relazione a chi detiene i maggiori privilegi
sociali ed economici.
Ma una riflessione critica alla scienza e alla cura nel contesto capitalista che sia
realmente antiautoritaria non può sedersi sul proprio privilegio e ridursi ad
un’amputazione ideologica della realtà, la trama complessa dei contesti di sfruttamento
è infatti composta da molteplici oppressioni che altrimenti rischiano di essere
invisibilizzate.
Si tratta quindi di impegnarsi nello svelare le interellazioni tra le diverse oppressioni che
stanno attraversando la vita di milioni di persone in un contesto di sfruttamento
sistemico, globalizzato e interconnesso.
QUALCHE RIFLESSIONE SU OBBLIGO VACCINALE E TUTELA DAL VIRUS
E’ la prima volta che vaccini basati sulla tecnologia a mRNA vengono sperimentati e non
ci sono garanzie sul comportamento a lungo termine: già solo questo dovrebbe bastare
nel considerare qualsiasi obbligo, ricatto o pressione, moralmente sbagliato.
Per questa campagna vaccinale il dubbio, che pure costituisce il motore dello stesso
metodo scientifico, non è ammesso. La medicina, intesa nella sua applicazione tecnico farmacologica, si erge a scienza esatta rinnegando le stesse basi filosofiche che la
animano.
Lo stesso Stato che ha compiuto impunemente stragi, cerca di costruire un nemico
unico e perfetto, scaricando l’emergenza su chi non risponde prontamente ad una
scelta che ha tutto il diritto di essere ponderata.
Oscillare tra carità e punizione, polarizzare le posizioni, serve a scaricare le
responsabilità, ad individualizzare le colpe, a livellare le contraddizioni e ad abbattere
tutto ciò che non si conforma al ritmo stabilito dal Capitale.
Se da una parte è necessario lottare per l’accesso a possibilità di cura per tutti e tutte,
contro i brevetti e i profitti delle multinazionali sulla pelle di chi soffre, dall’altra
legittimare l’imposizione di una vaccinazione sperimentale con coercizione e ricatto
rappresenta un pericoloso precedente che non riguarda esclusivamente la minoranza
relativa di coloro che non vogliono/non possono vaccinarsi.
E’ importante considerare che il rifiuto dei farmaci o dei vaccini non si configura solo
come privilegio, rimane aperto il tema del rapporto tra medicina e culture, tra medicina
occidentale e colonialismo medico, fermo restando le disparità di accesso alla salute in
un sistema globalizzato di sfruttamento dove le diseguaglianze hanno stretti legami di
interdipendenza.
Quindi se un discorso pro o contro la vaccinazione in astratto è un cortocircuito
costruito e fasullo buono solo a coprire le falle di un sistema che inizia a fare acqua da
tutte le parti e in modo evidente, è chiaro come il nemico rimanga uno Stato
paternalista che ha bisogno di infantilizzare il corpo sociale per tutelare esclusivamente
i propri interessi economici.
Essere contro la coercizione e l’obbligo vaccinale non ci ha impedisce di interrogarci
sulla necessità di tutela di contagio dal virus, soprattutto per quanto riguarda chi è piu
esposto e vulnerabile nei luoghi di reclusione e dello sfruttamento di massa, dove le
relazioni sono imposte e non volute. E’ evidente che dove non c’è spazio per la
soggettivazione e la cura reciproca, per la relazione e il consenso, si fa strada la
burocrazia e la coercizione, e che a pagarne il prezzo, oggi come ieri, saranno sempre e
comunque tutte quelle vite già discriminate, considerate di scarso valore o ritenute
‘improduttive’.
Se è vero che la vaccinazione stia risultando efficace nell’abbassare i ricoveri, le morti e
la pressione sul sistema sanitario, è vero anche che la campagna vaccinale portata
avanti dal governo a reti unificate ha spinto moltx a non tenere nessuna precauzione
circa reazioni avverse anche gravi che potevano essere evitate.
É importante considerare che la ‘protezione’ al momento si riferisce ad un minore
rischio di infettarsi, quindi di contrarre la malattia in modo grave e di trasmettere il virus.
Non tutela davvero dalla possibilità di contagiarsi e contagiare, ma diminuisce la
probabilità che soggetti fragili contraggano la malattia, o la contraggano in modo
grave.
Mentre tuttx fuori, rassicurati dai proclami di Stato, si sono completamente disinibitx
per quanto riguarda qualsiasi misura di prevenzione di base – perchè è arrivato il
vaccino e basta il green pass – è evidente invece che il dispositivo tecnico della
vaccinazione non basterà.
Appellarsi ad un senso di ‘comunità’ nella società neoliberista assume caratteri farseschi
quando tre quarti del mondo non ha accesso a livelli di salute minimi.
Prevenzione, riduzione del danno, redistribuzione delle risorse non se ne vedono,
rapporti di forza per mettere in discussione un sistema al collasso che si ostina a tirare
dritto nonostante tutto e tutti, nemmeno.
Intanto le case farmaceutiche produttrici di vaccini a mRNA – quelli che si stanno
rivelando statisticamente più efficaci – alzano il prezzo dei farmaci.
Si procede per ricatti, e saranno sempre di più.
SU GREEN PASS
Ed è così che si arriva al green pass, un’escamotage che lo Stato sta trovando per
scaricare di nuovo su gli individux le proprie responsabilità: si ricattano le persone con
un documento che le metterà all’angolo per poter accedere a molte attività al chiuso,
esasperando ulteriormente differenze e certificando nuove discriminazioni.
Una misura che non ha niente a che vedere con la tutela della salute e con qualsiasi
concetto di prevenzione. Chi diventerà lo sbirro di chi? Potrebbe diventare obbligatorio
per trasporti a lunga percorrenza, per la scuola e per il lavoro.
Opporsi a questo ricatto non solo è giusto, ma necessario.
Scegliendo deliberatamente di lavarsi la coscienza, lo Stato sta sancendo un’ulteriore
frattura tra un’umanità di serie A e un’umanità di serie B per tutelare gli interessi dei
soliti noti, liberi si, ma di tornare a sfruttare, mentre le disuguaglianze che hanno
segnato la pandemia sin dall’inizio continueranno a farlo.
CHI HA PAGATO FIN’ORA E CHI PAGHERÀ?
A ogni latitudine sono state le fasce della popolazione più svantaggiate – all’interno delle
quali si trovano la maggior parte dei migrantx e dei non bianchx – a essere colpite dalla
pandemia.
Le frontiere hanno mostrato tutta la loro violenza evidenziando come a questo mondo
muri e confini esistano sempre e soltanto contro i poveri, mentre merci ed economie
assassine possono girare indisturbate.
La diffusione globale del virus ha viaggiato infatti in business class alla stessa velocità
dei numeri in borsa, non annegando sui barconi nel mediterraneo. Ma le morti contano
solo se hanno effetto sui mercati, le vite valgono soltanto se è possibile metterle a
profitto.
L’ultimo anno ha messo in luce tutta la ferocia che sottende al mantenimento di questo
sistema di sfruttamento:
La strage nelle carceri ha svelato la violenza strutturale su cui si fondano tutti i luoghi di
reclusione, oltre che l’omertà dell’intervento sanitario nelle galere italiane, dove
l’eccezione non è la ‘malasanità’, ma trovare un medico non connivente con le guardie. Il
silenzio di medici e infermieri è stato assordante rispetto gli abusi compiuti in quei
giorni e rispetto agli abusi che si perpetuano ogni giorno in tutte le carceri: la salute nei
luoghi di reclusione è isolamento, annientamento, deprivazione, contenzione fisica,
farmacologica, psicologica, violenza e repressione sistemica. La reclusione genera
disturbi e menomazione, patologie e fragilità che spesso esordiscono in carcere e si
protraggono anche dopo la scarcerazione. A questo si aggiungono la fatiscenza
strutturale degli ambienti, l’insalubrità del cibo, l’assenza di docce, e il trito e ritrito
affollamento, buono soltanto come scusa per mantenere intatto il meccanismo.
Negli ospedali, nelle residenze per anziani, nelle strutture sociosanitarie si é consumata
una strage silenziosa e taciuta: operatrici e operatori sbattuti in reparti covid senza
formazione e protezioni adeguate, lavoratorx ‘usa e getta’ obbligatx a lavorare pure se
positivx fino alla comparsa dei sintomi, protocolli fatti di tachipirina e vigile attesa e
persone murate in casa senza alcuna cura o visita medica e condannata alla morte.
Mentre il numero dei morti saliva il ricatto salute/lavoro ha visto tutelati i profitti dei
padroni prima ancora della salute delle persone, come osservato drammaticamente in
Lombardia, dove ospedali e luoghi di lavoro hanno continuato ad alimentare inesauribili
il serbatoio dei positivi.
Deroga su deroga si sono continuate a tenere aperte le grandi fabbriche per volere di
Confindustria costringendo le persone ad andare a lavoro sui mezzi pubblici, mentre si
chiedeva in parlamento uno scudo penale bipartisan per proteggere imprenditori e
manager delle aziende pubbliche.
Anche l’istituzione scolastica ha mostrato tutta la sua ipocrisia: milioni di euro per
l’acquisto di banchi a rotelle per la didattica digitale ‘a seduta innovativa’ spacciati come
misura anticovid, mentre la sofferenza di bambini e bambine è scomparsa per decreto.
La morte è stata rimossa, strumentalizzata, spettacolarizzata, per essere piegata ad una
propaganda del terrore che ha impedito qualsiasi processo collettivo di socializzazione
del lutto e di condivisione del dolore.
Lo stesso Stato che ha sempre tutelato solo e soltanto gli interessi dei padroni, tenta
oggi d’un sol colpo di pulirsi la coscienza sbandierando un’ipocrita volontà di
proteggere i più fragili, quando l’eccezionalità della pandemia nel contesto capitalista
ha reso evidente quanto i profitti legati alle merci siano sempre venutx prima delle
persone.
Tutto questo è sempre stato vero, non è arrivato oggi col covid e non andrà via con un
vaccino.
CONCLUSIONI
L’isolamento imposto durante il lockdown si è insediato su una condizione di profonda
miseria umana e materiale che ha sterilizzato rapporti e legami e impedito elaborazioni
critiche dei vissuti e della realtà, mostrando come questo sistema capitalista sia il vero
responsabile dell’alineazione e della povertà che solca a tutti i livelli le nostre relazioni e
le nostre possibilità di autodeterminazione e riappropriazione, oltre che il principale
attore della frammentazione/atomizzazione che ci attraversa.
CHE FARE?
Intanto ricostruire un tessuto umano in grado di rimettere in campo rapporti di forza,
riappropriarsi dei quartieri, di bisogni e desideri, tessere alleanze e intersezioni,
costruire solidarietà, riprendersi zone autonome e indipendenti dal potere statale, farla
pagare a chi sfrutta e opprime.
Non sappiamo bene “che fare”, domanda antica, forse ci sono tante cose da fare,
vediamo bene però, un passo alla volta, dove tutto sta andando.
Agosto 2021, Bologna