MODENA 20/04 presentazione di “SUMUD. Resistere all’oppressione” c/o Spazio Nuovo
MODENA MERCOLEDì 20 APRILE c/o Spazio Nuovo in via IV novembre 40/b
alle ore 18 presentazione del libro:
SUMUD. Resistere all’oppressione. Di Samah Jabr
Ne discuteremo con:
Maria Rita Prette – Sensibili Alle Foglie
Mirca Garuti – Comitato per non dimenticare Sabra e Chatila
Alberto Mari – Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
TRENTO: domenica 10/04 in ricordo di MATTEO TENNI dibattito: PSICHIATRIA ANTIPSICHIATRIA CHE FARE?
DOMENICA 10 APRILE CAMPO NO TAV Località ACQUAVIVA SS 12 KM 367 TRENTO
PSICHIATRIA ANTIPSICHIATRIA CHE FARE?
A cura del CIRCOLO CABANA
in ricordo di Matteo Tenni…
Matteo Tenni è stato ucciso un anno fa. “Sei pazzo”, “Schiantati”, “Dovevo sparargli prima”, le concitate urla del carabiniere durante il furioso inseguimento per una infrazione al codice della strada. Per lo Stato solo un malaugurato incidente, nessun responsabile, semmai colpevole la stessa vittima. Caso chiuso. Prima dello sparo omicida Matteo ha pagato il marchio impresso d’ufficio sulla sua vita: inferiore, asociale, pericoloso. Le persone cosiddette fragili incontrano solo discriminazione ed emarginazione quando non subiscono veri abusi psichiatrici e polizieschi sempre impuniti. Tutti assolti dalla magica frase: “Era solo un matto”. Non possiamo rimanere inermi, la sola maniera per ricordare veramente Matteo.
Ore 12.00 PRANZO
Ore 14.00 DIBATTITO APERTO con la presenza e la testimonianza di collettivi e associazioni che si battono contro la contenzione e gli abusi psichiatrici
“PERNICIOSA E COERCITIVA”: contributo del collettivo Artaud su L’ALMANACCO de La Terra Trema
Siamo un Collettivo Antipsichiatrico e ci proponiamo come gruppo sociale che, costruendo
occasioni di confronto e di dialogo, vuole sostenere le persone maggiormente colpite dal
pregiudizio psichiatrico. Il nostro impegno consiste nell’osservazione e nell’analisi del ruolo sempre
più ingombrante che la psichiatria si vede riconoscere all’interno della società, ponendo particolare
attenzione alle modalità e ai meccanismi attraverso i quali essa si espande sempre più capillarmente
e trasversalmente. L’attività del collettivo si articola in due diversi piani. Un piano è innanzitutto
quello politico, attraverso le forme che sono proprie del collettivo, mentre l’altro è quello della
relazione e del sostegno alle persone che richiedono il nostro aiuto. Il lavoro di analisi e di denuncia
è accompagnato da iniziative volte alla diffusione di cultura antipsichiatrica come, ad esempio, la
presentazione di libri, opere teatrali, film, video, incontri e dibattiti.
Inoltre siamo dotati di un telefono cellulare e riceviamo, allo sportello d’ascolto antipsichiatrico
presso la nostra sede, le persone che hanno la necessità di contattarci in caso di emergenza
psichiatrica o semplicemente per confrontarsi, avere dei consigli o essere ascoltate. Allo stesso
modo veniamo interpellati da diverse persone attraverso il nostro indirizzo email.
Negli ultimi decenni la psichiatria ha radicato il suo pensiero e le sue tecniche nell’intero corpo
sociale diventando un vero e proprio strumento di controllo trasversale a varie Istituzioni e fasce
d’età. Questa tendenza si è ingrandita e rafforzata durante la pandemia. Aver vissuto un periodo
senza contatti sociali dovuto alla paura del contagio, lo stress da confinamento e la crisi economica
che sta colpendo ampi strati sociali, ha causato un incremento dei disagi psichici.
L’epidemia da Covid-19, e come è stata affrontata, ha messo in difficoltà una parte della
popolazione, generando disagi, patologie e fragilità.
Le persone che hanno sviluppato maggiormente stress dovuto alla pandemia sono le donne e gli
adolescenti. Le donne hanno patito maggiormente le conseguenze della crisi economica generata
dall’interruzione di alcune attività economiche. Hanno dovuto far fronte all’aumento del lavoro di
cura innescato da chiusure delle scuole, dei servizi dedicati all’infanzia e all’assistenza delle persone
più fragili; sono aumentate le difficoltà di trovare un equilibrio tra il lavoro retribuito e quello non
retribuito. In tutto questo non sono state aiutate economicamente, socialmente o culturalmente ma si
è registrato un aumento di diagnosi psichiatriche come depressione, disturbi bipolare e disforia di
genere.
Guardiamo anche con preoccupazione a quello che sta succedendo ai bambini e adolescenti in
ambito scolastico. Le scuole sono invase da screening neurodiagnostici, alla ricerca di presunti
disturbi che altro non sono che la legittima risposta dei ragazzi alla difficoltà del momento. Non è
lecito trasformare quanto accaduto in diagnosi, cercando disturbi neurologici che sono
semplicemente la conseguenza di una momentanea difficoltà nella crescita e nello sviluppo di
ragazzi e ragazze. Si tratta di evitare che i più piccoli vengano raggiunti da questi tentativi, proposti
nelle scuole senza alcun quadro normativo, di realizzare screening per andare alla ricerca di questi
disturbi.
L’invasione delle diagnosi psichiatriche non risparmia migranti, profughi e vittime delle nostre
guerre. Molti di loro che faticano a lasciarsi alle spalle l’orrore e a rielaborare il proprio vissuto
anziché ricevere un aiuto materiale e solidarietà umana vengono indirizzati in percorsi psichiatrici
con diagnosi di Disturbo da Stress Post Traumatico (PTSD) con largo uso di antidepressivi e/o
neurolettici, a volte tali somministrazioni portano ad esiti infausti (episodi autolesionistici, suicidi
ecc..). Un orribile quanto reale paradosso che rivela l’inganno e la strategia che gli sta dietro: curare
il sintomo, cioè la persona “disturbata”, piuttosto che intervenire sulle reali cause del disturbo, cioè
la guerra, la mancanza di lavoro, la fame e le disuguaglianze sociali.”
Le condizioni delle carceri italiane continuano ad essere pessime: le strutture sono fatiscenti, il cibo
insalubre, le docce e acqua calda carenti e esiste un sovraffollamento perenne. A tutto questo è da
aggiungere annientamento, deprivazione, contenzione fisica, farmacologica, violenza fisica e
psicologica. La reclusione genera disagi, patologie e fragilità che spesso esordiscono in carcere e si
protraggono anche dopo la scarcerazione. Nel 2019 sono stati 53 in totale i suicidi negli istituti
penitenziari italiani (dato confermato sia dalla fonte del Dipartimento Amministrazione
Penitenziaria che da Ristretti Orizzonti) a fronte di una presenza media di 60.610 detenuti ovvero un
tasso di 8,7 su 10.000 detenuti mediamente presenti. La salute nei luoghi di reclusione è inesistente,
manca personale medico e infermieristico , non si trova un banale farmaco per il mal di stomaco ma
i detenuti possono avere accesso a svariati psicofarmaci.
L’Italia è l’unico paese al mondo dove dal 1978 con la legge 180 i Manicomi sono stati aboliti. Ma
la riforma del sistema psichiatrico si è rivelata più verbale che materiale: ai cambiamenti formali
non sono seguite differenze sostanziali delle condizioni di vita dei soggetti internati. Quello che è
certo è che la rivoluzione psichiatrica all’italiana ha riguardato solo i luoghi della psichiatria, ma
non i trattamenti e le logiche sottostanti. Con la legge che ordina la chiusura degli Ospedali
Psichiatrici, che nel 1978 erano 76, si è verificata una trasformazione che ha visto sorgere tutta una
serie di piccole strutture; all’interno delle quali continuano a perpetuarsi sia l’etichetta di “malato
mentale” sia i metodi coercitivi e violenti della psichiatria. Ad oggi abbiamo 320 reparti psichiatrici,
gli SPDC (Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura) e circa 3200 strutture psichiatriche residenziali e
centri diurni sul territorio dove in molti casi si sono conservati i dispositivi e gli strumenti propri dei
manicomi, quali il controllo del tempo, dei soldi, l’obbligo delle cure, il ricorso alla contenzione e
l’elettroshock. Ci teniamo a ribadire che nonostante le vesti moderne l’elettroshock rimane una
terapia invasiva, una violenza, un attacco all’integrità psicologica e culturale di chi lo subisce.
Insieme ad altre pratiche psichiatriche come il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio),
l’elettroshock è un esempio, se non l’icona, della coercizione e dell’arbitrio esercitato dalla
psichiatria. Il percorso di superamento dell’elettroshock e di tutte le pratiche non terapeutiche
(obbligo di cura, contenzione meccanica e farmacologica, internamento) deve essere portato avanti
e difeso in tutti i servizi psichiatrici, in tutti i luoghi e gli spazi di cultura e formazione dove il
soggetto principale è una persona, che insieme ai suoi cari, soffre una fragilità.
Nei reparti psichiatrici italiani si continua a morire di contenzione meccanica, sia in regime di
degenza che durante le procedure di TSO. La contenzione non è un atto medico e non ha alcuna
valenza terapeutica: è un evento violento e dannoso per la salute mentale e fisica di chi la subisce;
offende la dignità delle persone e compromette gravemente la relazione terapeutica. Ribadiamo la
necessità di proibire, senza alcuna eccezione, la contenzione meccanica nelle istituzioni sanitarie,
assistenziali e penitenziarie italiane.
Un altro inganno del sistema psichiatrico sta nel credere che un Trattamento Sanitario Obbligatorio
duri in fondo solo sette giorni, o quattordici nel caso peggiore. La verità è che il TSO implica una
coatta presa in carico della persona da parte dei Servizi di salute mentale del territorio che può
durare per decenni. Una volta entrato in questo meccanismo infernale, una volta bollato con
l’infamia della malattia mentale, il paziente vi rimane invischiato a vita, costretto a continue visite
psichiatriche e soprattutto, a trattamenti con farmaci obbligatori pena un nuovo ricovero. Per i
ricoverati in TSO e considerati “agitati” si ricorre ancora all’isolamento e alla contenzione fisica,
mentre i cocktails di farmaci somministrati mirano ad annullare la coscienza di sé della persona, a
renderla docile ai ritmi e alle regole ospedaliere. Il grado di spersonalizzazione ed alienazione che si
può raggiungere durante una settimana di TSO ha pochi eguali, anche per il bombardamento
chimico a cui si è sottoposti. Ecco come l’obbligo di cura oggi non significhi più necessariamente la
reclusione in una struttura, ma si trasformi nell’impossibilità di modificare o sospendere il
trattamento psichiatrico sotto costante minaccia di ricorso al ricovero coatto sfruttato come
strumento di ricatto e repressione.
I colloqui spesso sono troppo brevi, giusto il tempo per darti la terapia e senza la possibilità di
essere ascoltati o di esprimere i dubbi e le difficoltà. Chi è obbligato a frequentare i servizi
psichiatrici e costretto ad assumere psicofarmaci è probabile che debba continuare a prenderli per il
resto della vita, proprio come un “diabetico prende l’insulina”. Inoltre la possibilità di ricevere uno
piccolo stipendio induce le persone in carico ai centri d’igiene mentale ad accettare spesso lavori
umilianti, sottopagati, ripetitivi e poco stimolanti. L’unico interesse della psichiatria non sembra
essere quello dichiarato della “cura”, ma la progressiva cronicizzazione del malessere: tutte le altre
discipline mediche hanno come obiettivo la dimissione del malato, il sistema psichiatrico, invece, ti
prende in carico a vita.
Continueremo a lottare con forza contro ogni dispositivo manicomiale e coercitivo (obbligo di cura,
trattamento sanitario obbligatorio, uso dell’elettroshock, contenzione meccanica, farmacologica e
ambientale, ecc) e per il superamento e l’abolizione di ogni pratica lesiva della libertà personale.
Uno concreto percorso di superamento delle pratiche psichiatriche passa necessariamente da uno
sviluppo di una cultura non etichettante, senza pregiudizi e non segregazionista, largamente diffusa,
capace di praticare principi di libertà, di solidarietà e di valorizzazione delle differenze umane
contrapposti ai metodi repressivi e omologanti della psichiatria.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
per info:
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38, 56100 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org 3357002669
“STRAPPI. Riflessioni Antipsichiatriche”
è stato pubblicato “STRAPPI. Riflessioni Antipsichiatriche”. Un opuscolo collettivo con vari approfondimenti sul ruolo della psichiatria nell’adolescenza, nell’aumento delle diagnosi psichiatriche a scuola, nella digitalizzazione, nel carcere e nelle REMS. Sotto il link per scaricarlo e l’introduzione.
opuscolo-collettivo definitivo-web
INTRODUZIONE
Siamo dei collettivi antipsichiatrici e singole persone da anni impegnate, sul territorio, a contrastare le pratiche della psichiatria. Il nostro impegno consiste nell’osservazione, nell’analisi, nel monitoraggio attivo del ruolo sempre più
ingombrante che la psichiatria si vede riconoscere all’interno della società, ponendo particolare attenzione alle modalità e ai meccanismi attraverso i quali essa si espande sempre più capillarmente e trasversalmente. Tale tendenza si
è ingrandita e rafforzata durante la pandemia. Aver vissuto un periodo senza contatti sociali dovuto alla paura del contagio, lo stress da confinamento e la crisi economica, che sta colpendo ampi strati sociali, ha causato un incremento
dei disagi psichici. L’ epidemia da Covid-19 e la sua gestione politico-mediatica ha messo in difficoltà la maggior parte della popolazione, generando disagi, patologie e fragilità e ha portato ad un rafforzamento dei dispositivi psichiatrici.
Assistiamo infatti ad un frequente ricorso al TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio), ad un aumento del consumo di psicofarmaci e della contenzione fisica all’interno dei reparti psichiatrici di diagnosi e cura e non solo (RSA, ospedali,
centri di detenzione per immigrati). In questo opuscolo collettivo troverete approfondimenti sul ruolo della psichiatria nell’adolescenza, nell’aumento delle diagnosi psichiatriche a scuola, nella digitalizzazione, nel carcere e nelle REMS
(Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza). L’idea nasce dalla volontà di voler contrastare il dilagare della psichiatria, con l’obiettivo di informare e sensibilizzare sugli effetti nefasti di una disciplina che opprime e riduce gli individui a mere categorie diagnostiche e nega loro la possibilità di autodeterminarsi. Ci sembra necessario mettere in discussione le pratiche di esclusione e segregazione indirizzate a coloro che non rientrano negli imposti parametri dei così detti “comportamenti normali”. Negli ultimi decenni la psichiatria ha radicato il suo pensiero e potenziato le sue tecniche nell’intero corpo sociale diventando un vero e proprio strumento di controllo sociale trasversale a varie Istituzioni e fasce d’età. Un concreto percorso di superamento delle pratiche psichiatriche passa necessariamente da uno sviluppo di una cultura non etichettante, senza pregiudizi e non segregazionista, largamente diffusa, capace di praticare principi di libertà, di solidarietà e di valorizzazione delle differenze umane.
Assemblea Antipsichiatrica
DOSSIER STRAGE CARCERE SANT’ANNA vol.2 + CARCERE E PSICHIATRIA: STRUMENTI DI CONTROLLO
a questo link potete scaricare il dossier 2022 sulla strage al carcere Sant’Anna di Modena a cura del Comitato verità e giustizia per i morti del Sant’Anna.
Sotto il nostro intervento scritto per il dossier dal titolo “CARCERE E PSICHIATRIA: STRUMENTI DI CONTROLLO”
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud-Pisa
per info e contatti:
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
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CARCERE E PSICHIATRIA: STRUMENTI DI CONTROLLO
È sempre più evidente come la nostra società improntata su prestazione, competizione, produttività e consumo stia accrescendo diseguaglianze e disagi, tanto più nell’attuale situazione pandemica: cresce la povertà, la mancanza di reddito, la sicurezza di un futuro dignitoso. Crescono le difficoltà soprattutto nelle fasce più deboli e la drastica diminuzione delle relazioni sociali, di cui ogni essere umano necessita, non ha fatto altro che aumentare il malessere generando ulteriore marginalità, fragilità e isolamento. Nell’attuale assetto societario le Istituzioni totali che si “occupano” degli ultimi, degli esclusi, “di quelli che non ci stanno più dentro” vedono accrescere la loro importanza e potenza. Chi viene bollato come criminale o considerato pazzo viene escluso dalla società e rinchiuso. Alcuni soggetti sociali per il semplice fatto di rientrare in categorie (matto, criminale, tossico, delinquente ecc…) o per avere addosso un’etichetta, uno stigma, non sono più ritenuti esseri umani o lo sono di serie B, sono squalificati dalla categoria del “cittadino con diritti” e, cosa grave, questo non suscita indignazione.
Quando la persona non è più considerata tale, ma identificata con un’etichetta, inizia un vero e proprio processo di de-umanizzazione. Numerose sono le storie di coloro che con diagnosi psichiatriche vengono presi con la forza, obbligati a seguire percorsi che non vogliono, costretti e/o ricattati a prendere una terapia farmacologica che non desiderano e che sono sottoposti a lunghi giorni di degenza obbligatoria a volte legati ai letti di contenzione.
Nei luoghi di reclusione e nelle Istituzioni totali l’Istituzione può praticare su questi soggetti ogni tipo di violenza senza suscitare scandalo poiché praticata su persone de-umanizzate. È sempre un contesto culturale, sociale, politico, istituzionale a generare un clima, un ambiente all’interno del quale infierire sul corpo e sullo spirito di un altro essere umano diventa normale.
Le privazioni, le torture, le umiliazioni che le persone rinchiuse in carcere e nelle strutture psichiatriche devono subire quotidianamente sono indicibili, non se ne parla e non se ne deve parlare. Indicibile è il fatto che non sia garantita in alcun modo l’incolumità psicofisica delle persone sottoposte a privazione della libertà e che, quando gli esiti non sono letali, le violenze rimangono seppellite dall’omertà istituzionale, anche quando comportano lesioni invalidanti. Le morti spesso vengono archiviate come naturali.(1) Si possono subire torture e arrivare a morire senza che la vicenda affiori mai neanche su un trafiletto di un giornale, se non c’è una rete familiare o amicale abbastanza inserita nel contesto sociale da trovare il modo di farla emergere.
Attraverso l’isolamento, che sradica il detenuto e il paziente psichiatrico, dal suo ambiente di relazionale e di vita, l’Istituzione totale inizia a mettere in atto un processo di trasformazione dell’individuo tale nel produrre un’incapacità nella persona nel fronteggiare banali situazioni quotidiane. Il concetto di sé, viene mantenuto attraverso una serie di strumenti che consentono all’individuo di mantenere un’immagine coerente di se stesso. La deprivazione materiale e relazionale tipica delle Istituzioni totali toglie all’individuo entrambe queste possibilità. In questo modo si indebolisce il rapporto che il singolo ha con il proprio sé. L’ Istituzione totale attacca sistematicamente il sé dell’individuo attraverso una serie di processi standardizzati.(2) L’internato perde ogni ruolo che rivestiva nella società esterna e perde la possibilità di rivestirne di diversi, finendo così per essere ridotto e identificato con un unico ruolo: il detenuto, nel caso del carcere, il malato mentale, in psichiatria. La sua identità viene atrofizzata e l’unico rispecchiamento sociale possibile all’interno delle mura è quello fornito dall’istituzione stessa. Questo impoverimento viene rafforzato al momento dell’entrata in istituto carcerario o in reparto psichiatrico dove il detenuto o il paziente deve depositare i propri oggetti. In questo modo si toglie al singolo la possibilità di caratterizzarsi e di distinguersi dagli altri.
In carcere, già prima della nascita delle REMS (Residenze per l’Esecuzione della Misura di Sicurezza), sono stati aperti reparti dedicati alle persone psichiatrizzate, adesso si chiamano Articolazioni Tutela Salute Mentale (ATSM). Veri e propri manicomi all’interno delle carceri. Celle buie, materassi marci, gabinetti intasati, persone incapaci di muoversi e parlare perché sedate con dosi massicce di psicofarmaci. La gabbia chimica e quella di cemento si uniscono in questi nuovi reparti. La salute nei luoghi di reclusione è inesistente, manca personale medico e infermieristico, non si trova un banale farmaco per il mal di stomaco ma i detenuti possono avere accesso a svariati psicofarmaci. Oggi un detenuto su quattro è in terapia psichiatrica, con una media del 27,6%. In alcuni istituti addirittura quasi tutti i detenuti sono in terapia psichiatrica: nel carcere di Spoleto risulta psichiatrizzato il 97% dei reclusi, a Lucca il 90% mentre a Vercelli l’86%.(3) Sono molti anche i pazienti psichiatrici non imputabili detenuti in carcere in attesa di andare nelle REMS, attesa che può richiedere mesi o addirittura anni, con la conseguenza di tenere dietro le sbarre senza limiti di tempo soggetti che non dovrebbero starci. Nel 2020 c’erano 174 persone rinchiuse in carcere in attesa di venire imprigionate in una REMS. La soluzione non è certo costruirne di nuove né aumentarne la capienza.
Con le REMS viene ribadito il collegamento inaccettabile cura-reclusione riproponendo uno stigma manicomiale. Ci si collega a sistemi di sorveglianza e gestione esclusiva da parte degli psichiatri, ricostituendo in queste strutture tutte le caratteristiche dei manicomi. La proliferazione di residenze ad alta sorveglianza, dichiaratamente sanitarie, consegna agli psichiatri la responsabilità della custodia, ricostituendo in concreto il dispositivo cura-custodia, e quindi responsabilità penale del curante-custode. Tradotto significa l’inizio di un processo di reinserimento sociale infinito, promesso ma mai raggiunto, legato indissolubilmente a pratiche e percorsi coercitivi, obbligatori e contenitivi. Il manicomio non è una struttura è un criterio. Non è solo una questione di dove e come lo fai, se c’è l’idea della persona come soggetto pericoloso che va isolato, dovunque lo sistemi sarà sempre un manicomio. Il problema resta l’isolamento del soggetto dalla realtà sociale per la sua incapacità di adattamento nei confronti di un mondo su cui nessuno muove mai alcuna questione e che nessuno mette mai in discussione. Sarebbe essenziale superare il modello di internamento, non riproporre gli stessi meccanismi e gli stessi dispositivi manicomiali.
Noi crediamo nella necessità di costruire di reti sociali autogestite e di spazi sociali autonomi, in grado di garantire un sostegno materiale, una vita senza compromessi di invalidità o Amministratori di Sostegno che gestiscono le esistenze delle persone seguite dalla psichiatria, nonché un reddito e un lavoro non gestiti dai servizi socio-sanitari, bensì autonomamente dal soggetto. Uno concreto percorso di superamento delle Istituzioni totali passa necessariamente da uno sviluppo di una cultura non segregazionista, largamente diffusa, capace di praticare principi di libertà, di solidarietà e di valorizzazione delle differenze umane contrapposti ai metodi repressivi e omologanti della psichiatria.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud-Pisa
per info e contatti:
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(1) M. Prette, Tortura. Una pratica indicibile, Sensibili alle Foglie, Roma, 2017
(2) E. Mauri, Perché il carcere? Costruire un immaginario che sappia farne a meno, Sensibili alle Foglie, Roma, 2021
(3) https://www.antigone.it/quattordicesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/salute-rems/
MODENA 11 e 12 Marzo: NOI NON ARCHIVIAMO : 2° anniversario della strage del Sant’Anna
L’otto marzo del 2020 un’ondata di proteste e di rivolte ha attraversato le carceri italiane, provocata dalla paura dei contagi di Covid-19 e dalle misure che per decreto appesantivano insopportabilmente le condizioni di prigionia, come il blocco dei colloqui con i familiari, del lavoro esterno, delle attività scolastiche e formative.
Condizioni di prigionia già insopportabili da prima, per il sovraffollamento, la mancanza di assistenza sanitaria, la negazione di diritti basilari e la violenza insita nell’istituzione carceraria.
Le proteste e le rivolte hanno lasciato sul campo 13 detenuti morti, a Bologna, a Rieti e soprattutto al Sant’Anna di Modena. Sull’inchiesta che riguardava otto di queste morti è stato steso, dal Tribunale di Modena, il sudario dell’archiviazione, rendendo impossibile un dibattimento che potesse approfondirne le circostanze e le cause, collegandole anche alle denunce sulle violenze da “macelleria messicana” subite dai detenuti e sulle testimonianze in merito al mancato soccorso di persone in overdose.
Associazione Bianca Guidetti Serra – Comitato Verità e Giustizia per la strage del Sant’Anna
PROGRAMMA:
VENERDì 11 MARZO:
18.00 : assemblea pubblica/presentazione del secondo dossier
20.30: proiezione di “Anatomia di una rivolta”, servizio per RaiNews24 di
Maria Elena Scandaliato e Giulia Bondi
22.00: Banda Popolare dell’Emilia Rossa / Dandy Bestia / Giorgio Canali in
concerto
presso Vibra Club Viale IV Novembre, 40/a, 41123 Modena MO
SABATO 12 MARZO:
16.00 : piazzale San Giorgio – Performance di danza contemporanea a cura di
Rylab – Laboratorio Sperimentale di Danza Contemporanea diretto dalla
danzatrice professionista Eleonora Di Vita @enoire / mostra itinerante a
cura di Antigone
17.00 : largo Sant’Eufemia – Reading poetico cura del collettivo Modena
City Rimers
18.00 : piazzetta Pomposa – Microfono aperto e birra per i detenuti presso
Juta Stereobar
L’INCASSO DEL CONCERTO DELL’11 E DELL’APERITVO DEL 12 SARÁ IMPIEGATO PER RIPORTARE HAFED CHOUCHANE IN TUNISIA
LINK INTERVISTA a Radio OndaRossa: La CONTENZIONE FARMACOLOGICA NELLE CARCERI: La storia di I.
sotto il link per ascoltare l’intervista che abbiamo fatto a Radio OndaRossa sulla storia di
una giovane donna deceduta lo scorso febbraio 2021 mentre era detenuta nel reparto psichiatrico del carcere di Pozzuoli.
Contenzione farmacologica nelle carceri: la storia di I.
https://www.ondarossa.info/redazionali/2022/02/contenzione-farmacologica-nelle-carceri
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud-Pisa
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via San Lorenzo 38 Pisa
L’ARCHIVIAZIONE della MORTE di MATTEO TENNI…
Riceviamo e pubblichiamo il link al video con la testimonianza della madre di Matteo Tenni e il comunicato contro l’archiviazione dell’indagine sull’uccisione di Matteo.
https://youtu.be/faPIAC-WzD4
Non si può vivere così
Mi è stato chiesto di scrivere qualcosa sull’archiviazione dell’assassinio di Matteo. Non mi
sottraggo, e colgo l’occasione per salutarvi e abbracciarvi tutti.
Quante volte abbiamo portato in strada lo striscione che abbiamo fatto nel 2009 dopo la morte
di Stefano Frapporti? “Non si può morire così”, abbiamo detto e urlato in tutti questi anni. Lo
abbiamo fatto per Aldo Bianzino, per Federico Rasman, per Federico Aldrovandi, per Stefano
Cucchi e tanti, troppi altri ammazzati dalla polizia e dai carabinieri. Lo abbiamo fatto per
Minichino, bollito vivo mentre lavorava a cinquanta gradi di temperatura a una pressa della
Marangoni. Lo abbiamo fatto per Abdelsalem, travolto durante un picchetto operaio a
Piacenza. E da mesi lo si ripete per Matteo Tenni. Ma potremmo aggiungere il giovane
Lorenzo, ucciso da un’alternanza-lavoro che organizza lo sfruttamento dei ragazzi da parte delle
aziende. E potremmo aggiungere i morti per il crollo del ponte Morandi e i rivoltosi assassinati
in carcere nel marzo del 2020. Così come potremmo parlare della lunga strage nel
Mediterraneo, o nei lager libici generosamente finanziati dal governo italiano, o di quella
quotidiana carneficina che è la Ripresa voluta dal governo Draghi e da Confindustria: non è
forse per spremere di più i lavoratori e fare profitti più in fretta che si tolgono i freni alle
macchine tessili, si saltano le manutenzioni delle funivie o si costringe a lavorare 10-12 ore al
giorno nei cantieri edili al fine di aumentare gli appalti grazie al Super Bonus? O vogliamo
parlare degli anziani morti da soli nelle case di riposo? O dei tanti deceduti per Covid che una
medicina del territorio non disattivata dai tagli decennali e non ostacolata dalle circolari
ministeriali avrebbe potuto curare a casa?
Insomma, per noi e la nostra gente è sempre più facile morire così. E lasciamo ad altri l’ipocrisia
di scandalizzarsi se un giudice assolve preliminarmente un carabiniere assassino. Dirò solo che
se il secondo ha la falsa scusa dell’agitazione del momento, il primo, che con calma e nel suo
comodo ufficio decide di uccidere Matteo una seconda volta, mi fa ancora più schifo.
E non vi dirò parole di giustizia. Perché non ce ne sono. L’unico sentimento profondamente
umano, per me, è la vendetta per questa lista infinita dei nostri morti.
No, non si può morire così. Ma così, mi chiedo e vi chiedo, si può forse vivere?
Si può vivere in una società in cui vale solo il profitto, una società che ci sta portando dritti
verso la guerra? Si può accettare la tragica farsa di governanti e tecnocrati – distruttori seriali
dell’umano, del suo ambiente e del suo benessere – che impongono le più assurde restrizioni e
discriminazioni in nome della cosiddetta salute pubblica? Si può accettare di esibire un codice
digitale per poter esistere?
Non farò il favore di dire, a qualche distratto passante, che dovrebbe preoccuparsi delle vite degli
altri. Sono la mia, la vostra e la sua di vita ad essere già un’appendice delle macchine, il timbro
su una scheda, l’ingiunzione di un algoritmo. I carabinieri e i giudici hanno proprio lo scopo di
controllare il recinto in cui ci stanno chiudendo – dentro il quale ci è concesso un modo sempre
più uniforme di pensare, di parlare, di agire, di curarsi, di incontrarsi. Il “distanziamento
sociale” – ognuno nella sua bolla, impotente e concorrente degli altri – non è un mezzo: è
l’obiettivo. Il punto, allora, non è come moriremo. Ma come stiamo vivendo.
Rovereto, 18 febbraio 2022
dalla Trasmissione radio MEZZ’ORA D’ARIA: PER UN MONDO SENZA PSICHIATRIA, SENZA CARCERE E SENZA FRONTIERE
Pubblichiamo il link per sentire la puntata andata in onda sabato 22 gennaio su Mezz’ora d’aria, trasmissione radio anticarceraria bolognese sulle frequenze di Radio Città Fujiko, una puntata per parlare di carcere femminile, infanzia reclusa e psichiatria.
https://brughiere.noblogs.org/post/2022/01/19/per-un-mondo-senza-psichiatria-senza-carcere-e-senza-frontiere/Il podcast della puntata si trova anche sul sul sito della trasmissione https://www.autistici.org/mezzoradaria/
PER UN MONDO SENZA PSICHIATRIA, SENZA CARCERE E SENZA FRONTIERE
A luglio del 2021 è stata aperta una sezione ‘nido’ al femminile della Dozza proprio accanto alla sezione psichiatrica – la cosi detta ‘sezione articolazione salute mentale’, l’unica femminile in Emilia Romagna. Il carcere che annienta gli adulti si è organizzato per l’infanzia: un nido dietro le sbarre accanto al repartino psichiatrico, due dispositivi che insieme esprimono tutta la ferocia del sistema carcerario.
articolo per agenda Scarceranda 2022: Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza: I NUOVI MANICOMI
è uscita l’Agenda SCARCERANDA 2022 “Contro il carcere giorno dopo giorno” con un nostro contributo su carcere, psichiatria e REMS che mettiamo sotto.
Il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud-Pisa
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Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza: I NUOVI MANICOMI
La Legge n°81 del 2014 ha disposto la chiusura degli OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari) e ha previsto l’ entrata in funzione delle REMS (Residenze per l’Esecuzione Misure Sicurezza) su tutto il territorio nazionale. La misura di affidamento ai servizi sociali e sanitari, anziché a quelli giudiziari, costituisce un passo in avanti nella riduzione delle misure reclusive totalizzanti, ma, mantenendo inalterato il concetto di pericolosità sociale, non cambia l’essenza della questione.
Come si finisce in una REMS ? In Italia, in caso di reato, se vi sia sospetto di malattia mentale, il giudice ordina una perizia psichiatrica; se questa si conclude con un giudizio di incapacità di intendere e di volere dell’imputato, lo si proscioglie senza giudizio e se riconosciuto pericoloso socialmente, lo si avvia ad un percorso in una REMS o in una struttura residenziale psichiatrica per periodi di tempo definiti o meno, in relazione alla pericolosità sociale.
La legge 81/2014 non ha intaccato il sistema del “doppio binario”: quello che riserva agli autori di reato – se dichiarati incapaci di intendere e di volere per infermità mentale – un percorso giudiziario speciale, diverso da quello destinato agli altri cittadini. Chiudere i manicomi criminali senza cambiare la legge che li sostiene vuol dire creare nuove strutture, forse più pulite, ma all’interno delle quali finiscono sempre rinchiuse persone giudicate incapaci d’ intendere e volere. Una carenza che non ha reciso la logica sottesa al trattamento dei “folli rei”, quella del mancato riconoscimento di una piena dignità alle persone, anche attraverso l’attribuzione della responsabilità per i propri atti.
Per superare realmente il modello manicomiale occorre non riproporre i criteri e i modelli di custodia e metter mano a una riforma degli articoli del codice di procedura penale che si riferiscono ai concetti di pericolosità sociale del “folle reo, di incapacità e di non imputabilità”, che determinano il percorso di invio alle REMS.
Al contrario con le REMS viene ribadito il collegamento inaccettabile cura-custodia riproponendo uno stigma manicomiale. Ci si collega a sistemi di sorveglianza e gestione esclusiva da parte degli psichiatri, ricostituendo in queste strutture tutte le caratteristiche dei manicomi. La proliferazione di residenze ad alta sorveglianza, dichiaratamente sanitarie, consegna agli psichiatri la responsabilità della custodia, ricostruendo in concreto il dispositivo cura-custodia, e quindi responsabilità penale del curante-custode. Tradotto significa l’inizio di un processo di reinserimento sociale infinito, promesso ma mai raggiunto, legato indissolubilmente a pratiche e percorsi coercitivi, obbligatori, e contenitivi.
Il manicomio non è una struttura, bensì un criterio; la continua ridenominazione di tali strutture, infatti, non può nascondere la medesima contraddizione di fondo: l’isolamento del soggetto dalla realtà sociale per la sua incapacità di adattamento nei confronti di un mondo su cui nessuno muove mai alcuna questione e che nessuno mette mai in discussione. Sarebbe essenziale superare il modello di internamento, non riproporre gli stessi meccanismi e gli stessi dispositivi manicomiali. Il manicomio non è solo una questione di dove e come lo fai, se c’è l’idea della persona come soggetto pericoloso che va isolato, dovunque lo sistemi sarà sempre un manicomio.
Non ci aspettiamo che lo Stato cancelli l’articolo che istituisce la pericolosità sociale, visto che negli ultimi anni è stato utilizzato molto dalla magistratura per colpire e reprimere le lotte.
Nelle REMS la durata della misura di sicurezza non può essere superiore a quella della pena carceraria corrispondente al medesimo reato compiuto. Spesso invece accade che le persone che hanno già scontato in carcere tale pena finiscano nelle REMS e non vengano liberati subito e senza condizioni. Infatti la normativa in vigore effettua questa equiparazione solo per la misura di sicurezza definitiva ma questo non vale per le persone che hanno la libertà vigilata con affidamento ai servizi di salute mentale che può estendersi all’infinito. Sono molti anche i pazienti psichiatrici non imputabili detenuti in carcere in attesa di andare nelle REMS, attesa che può richiedere mesi o addirittura anni, con la conseguenza di tenere dietro le sbarre senza limiti di tempo soggetti che non dovrebbero starci. La soluzione non è certo costruire nuove REMS né aumentarne la capienza.
Le condizioni delle carceri italiane continuano ad essere pessime: le strutture sono fatiscenti, il cibo insalubre, le docce e acqua calda carenti e esiste un sovraffollamento perenne. A tutto questo è da aggiungere annientamento, deprivazione, contenzione fisica, farmacologica, violenza fisica e psicologica. La reclusione genera disagi, patologie e fragilità che spesso esordiscono in carcere e si protraggono anche dopo la scarcerazione. Nel 2019 sono stati 53 in totale i suicidi negli istituti penitenziari italiani (dato confermato sia dalla fonte del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria che da Ristretti Orizzonti) a fronte di una presenza media di 60.610 detenuti ovvero un tasso di 8,7 su 10.000 detenuti mediamente presenti. Per quanto riguarda gli atti di autolesionismo, nel 2019 svetta il carcere di Poggioreale a Napoli con 426 atti (18,79 su 100 detenuti); mentre il valore più alto ogni 100 detenuti lo detiene l’istituto penitenziario di Campobasso con 110,43 atti ogni 100 detenuti, seguito da quello di Belluno che sfiora quota 100 (98,72).
La salute nei luoghi di reclusione è inesistente, manca personale medico e infermieristico , non si trova un banale farmaco per il mal di stomaco ma i detenuti possono avere accesso a svariati psicofarmaci.
Più di un detenuto su 4 è in terapia psichiatrica, con una media del 27,6%. In alcuni istituti addirittura quasi tutti i detenuti sono in terapia psichiatrica: nel carcere di Spoleto risulta psichiatrizzato il 97% dei reclusi, a Lucca il 90% mentre a Vercelli l’86%.
Noi crediamo nel bisogno e nella costruzione di reti sociali autogestite e di spazi sociali autonomi, in grado di garantire un sostegno materiale, una vita senza compromessi di invalidità o Amministratori di Sostegno che gestiscono le esistenze delle persone seguite dalla psichiatria, nonché un reddito e un lavoro non gestiti dai servizi socio-sanitari, bensì autonomamente dal soggetto.
Uno concreto percorso di superamento delle istituzioni totali passa necessariamente da uno sviluppo di una cultura non segregazionista, largamente diffusa, capace di praticare principi di libertà, di solidarietà e di valorizzazione delle differenze umane contrapposti ai metodi repressivi e omologanti della psichiatria.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud-Pisa
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