da Sondra Cerrai: resoconto ultima udienza del processo Stella Maris del 24/06/25

  • June 26, 2025 11:47 am

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Sondra Cerrai il resoconto dell’ultima udienza del processo sui maltrattamenti alla Stella Maris, quella del 24 giugno scorso, dove ci sono state le richieste di condanne da parte del pubblico ministero.

E infine dopo 42 udienze del processo Stella Maris siamo arrivati al giorno della richiesta delle condanne da parte del PM Fabio Pelosi che ha condotto la sua requisitoria finale in tandem con il Viceprocuratore  Massimiliano Costabile.
Le condanne chieste vanno da un massimo di 5 anni, per le dottoresse Paola Salvadori e Patrizia Masoni, fino ad un minimo di un anno e mezzo per l’operatore Lucchesi e, in quantità variabile, per gli altri operatori.  E’ stata chiesta l’assoluzione per il dr. Giuseppe De Vito, Direttore sanitario della struttura.
Ma il di là delle condanne chieste, in  una vicenda drammatica e penosa che ogni volta ha mostrato sul palcoscenico  delle udienze particolari sempre più raccapriccianti e improbabili linee di difesa, il discorso del dr. Pelosi meriterebbe di essere letto in ogni scuola superiore.
Quello che ha voluto far emergere, nella prima parte del suo intervento, è stato l’oggetto valoriale del processo, questa è la definizione testuale del suo incipit.
E’ partito descrivendo “La nave dei folli” di Bosch che, sul finire del 1400, dipinse questo quadro raccontando il pellegrinaggio di un gruppo di folli che viaggiano per mare senza alcuna meta. Su quella nave si trovavano i “matti”, i diseredati di cui la società si doveva liberare. Coloro che non rientravano negli schemi della ragione collettiva e dovevano restare fuori dalla socialità, in balia del mare. Erano destinati a una vita errante, senza patria, senza terra ferma. Una vita fatta di niente se non di un interminabile vagare. Chi sono quei folli? si è chiesto Pelosi. Questi folli sono ritratti mentre mangiano proprio come i ragazzi di Montalto ripresi dalle telecamere mentre stavano mangiando e contestualmente venivano offesi, picchiati, strattonati, presi a “nocchini” dai propri operatori-aguzzini.
Era l’estate del 2016 e le telecamere (installate a seguito della denuncia di due genitori) testimoniarono oltre 280 episodi di violenza in meno di 4 mesi. Le intercettazioni telefoniche, disposte dalla procura, rivelarono una realtà, se possibile, ancora peggiore
Quei “matti” della nave di Bosch non sono,  tuttavia, solo gli ospiti di Montalto di Fauglia con le loro problematiche e i loro fantasmi ma anche gli operatori abbandonati a gestire le difficoltà da una perenne mancanza di formazione e di guida, forse preda (a loro volta) di disagi esistenziali.
La nave senza meta (si è chiesto ancora il PM) forse rappresenta tutti noi che da anni veleggiamo in questo lungo processo.
Questo processo, ha detto, ci induce a riflettere sulla malattia mentale, su che cosa significhi gestirla. In questo processo è stata descritta una follia che fa ancora paura, una follia incurabile (così l’ha definita anche un noto psichiatra consulente di parte).  Eppure i genitori avevano affidato i propri figli ad una struttura definita d’eccellenza e che, in quanto tale, riceve cospicui finanziamenti non solo dalle famiglie ma anche dalla Regione Toscana. I genitori si aspettavano cure e accudimento, non percosse e rassegnazione.
Pelosi ha citato Platone, Marx  ma  soprattutto, Foucault con la sua teoria della microfisica del potere. Sì perché durante il processo è andato in scena una vera e propria spaccatura tra medici (le due dottoresse sotto accusa) e i tredici operatori ripresi dalle telecamere nell’atto di compiere atti efferati (ricordiamo che un operatore era già uscito di scena patteggiando la pena).
I medici hanno sostenuto di “non sapere” rigettando ogni colpa sugli operatori  e gli operatori hanno sostenuto di non essere stati formati, di essere stati assunti in modo improvvisato e (a volte) amicale, di essere stati costretti ad operare in ambienti fatiscenti e senza alcuna garanzia di sicurezza sul lavoro.
Possiamo leggere questo conflitto così come lo avrebbe letto Marx (si è chiesto Pelosi) in chiave di lotta di classe? Di dirigenti contro lavoratori?
No, secondo Pelosi, la lettura più appropriata per spiegare questa vicenda è quella di Foucault: della “microfisica del potere”, di un  potere non come entità statica o centralizzata, ma come una forza diffusa e capillare che opera a livello delle relazioni sociali quotidiane e nelle istituzioni. Foucault sosteneva  che il potere non è qualcosa che si possiede, ma qualcosa che si esercita, e che si manifesta nelle dinamiche di controllo e disciplinamento che attraversano ogni aspetto della vita sociale: dal corpo alla sessualità, alla famiglia e alle istituzioni. Tutto, in questa vicenda. è potere, ha aggiunto Pelosi.
La Stella Maris è indubbiamente una struttura di potere che ha rapporti con poteri istituzionali ed economici. Ma il potere lo esercitavano anche i medici sugli operatori e gli operatori sugli ospiti della struttura, gli ultimi della catena, i derelitti, gli indifesi.  Ognuno di questi soggetti ha (secondo il PM) usato male il proprio potere.
Ciascuno dovrà quindi essere condannato in base alle proprie responsabilità perché tutti avevano potere di scelta e nessuno l’ha saputo (o voluto) esercitare per aiutare i ragazzi.
Pelosi ha posto l’accento sull’atteggiamento indecoroso e poco professionale degli operatori Stella Maris, sul clima di paura che dominava la struttura, sull’omertà che regnava in quelle stanze. Tutto ciò ha reso possibile il fatto che la Stella Maris abbia potuto assumere l’aspetto di una struttura concentrazionaria dove la brutalità aveva preso il sopravvento, dove le condotte violente erano sistematiche e non episodiche, reiterate anche di fronte ad un pubblico inerte.  Cosa poteva accadere (si è chiesto) oltre il refettorio, unico luogo dove erano state posizionate le telecamere dei carabinieri? Cosa succedeva nei bagni, nelle camerate, nei corridoi? Possiamo facilmente intuirlo.
Queste condotte plurime rivolte a soggetti indifesi e appartenenti alla stessa comunità (queste le parole di Pelosi) meritano, dunque, la condanna non solo degli operatori ripresi dalle telecamere ma anche delle due dottoresse ree:
1) di aver operato una selezione di personale dequalificato;
2) di non aver assicurato agli operatori una formazione adeguata;
3) di mancata sorveglianza (nei tre mesi di riprese video non si vedono mai le dottoresse in refettorio);
4) di mancata denuncia alle autorità di varie segnalazioni di condotte violente da parte di operatori,  ricevute  nel corso degli anni;
4) di mancata messa in pratica di strumenti per il benessere dei propri lavoratori, alcuni dei quali hanno asserito di aver avuto sintomi da burnout.
Noi genitori aspettiamo adesso giustizia vera per i nostri figli indifesi.

Sondra Cerrai

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