per un 8 MARZO DI LOTTA!!

  • March 8, 2020 5:14 pm

Come collettivo impegnato nella critica al potere psichiatrico siamo solidali con tutte le donne e tutte le soggettività non conformi che scelgono di scendere in piazza con Non Una di Meno per dire basta al ricatto della violenza domestica, istituzionale, economica, mediatica e giuridica.

Oggi ci sentiamo particolarmente vicini a tutte le numerose soggettività femminili le cui storie hanno attraversato la nostra esperienza politica e umana con i loro racconti di dolore e umiliazione. Storie, come quelle di Antonia Bernardini e Elena Casetto. Antonia Bernardini è morta il 31 dicembre del 1974, dopo giorni di agonia, a causa di ustioni riportate da un incendio da lei stessa provocato. Era legata al letto da 43 giorni, nel manicomio giudiziario femminile di Pozzuoli. Elena Casetto è morta arsa viva nel letto al quale è tenuta legata il 13 agosto 2019 nel reparto psichiatrico dell’ospedale Papa Giovanni XIII di Bergamo, durante un incendio. La contenzione non le ha permesso di fuggire.

Storie capaci di mostrare il vero volto del potere psichiatrico come violenza istituzionalizzata. Storie, inoltre, capaci di mostrare l’alleanza tra potere medico e potere patriarcale. Come la storia di Charlotte Perkins Gilman, costretta nel 1887 a una cura di sei settimane legata a letto in una stanza buia, alimentata a forza, e privata di ogni socialità e stimoli intellettuali. La “malattia” veniva individuata nell’esaurimento e nell’apatia associata alla maternità, ai lavori domestici e al rapporto col proprio marito. Sintomi, a dire dello psichiatra, esacerbati dal desiderio di approcciarsi alla vita intellettuale al di fuori delle mansioni domestiche previste dal proprio ruolo.

Se dai manicomi vittoriani, in cui le donne venivano internate per non aver aspettato il proprio turno per prendere parola o per non incarnare il ruolo di una femminilità docile e casalinga, ci spostiamo agli spazi più asettici dei reparti psichiatrici odierni la situazione non cambia di molto. Secondo lo studio *Genere e salute mentale della donna* dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, non ci sono differenze legate al genere nell’incidenza di patologie psichiatriche gravi, ma ci sono evidenti differenze nell’incidenza dei “disturbi” più diffusi: depressione, ansia e disturbi somatoformi. Questi disturbi, in cui le donne predominano, colpiscono approssimativamente 1 persona su 3. Da sola la depressione unipolare costituisce una delle maggiori cause di disabilità nel mondo, ed è il doppio più frequente nelle donne che negli uomini.

Oggi come ieri le storie di queste soggettività femminili ci raccontano di una psichiatria impegnata a produrre discorsi, tecnologie e politiche atte a medicalizzare il dolore e a disciplinare il desiderio femminile. La ricerca di basi ormonali e genetiche dietro l’ondata di disturbi dell’umore femminili è solo l’ultima versione della teoria dell'”utero mobile” e delle molte che si sono succedute nell’individuare nel corpo femminile un corpo biologicamente inferiore e animato da umori ingovernabili, capaci di offuscare la ragione. Teorie a cui rispondono dati come l’alto tasso di incidenza della violenza sulle donne, che le rende il gruppo sociale col più alto rischio di sviluppo di disturbo post-traumatico e di tentativo di suicidio.

Crediamo infatti che la via d’uscita da una società della depressione diffusa non possa essere puramente farmacologica, ma debba passare attraverso la costruzione di una società più inclusiva. Dobbiamo criticare la psichiatra come meccanismo del potere che ci vuole assoggettati all’identità, che usa la diagnosi come strumento per definire l’altro rispetto alla società e impone, con la violenza dei trattamenti, un’ideale di conformità alla norma. La nostra risposta è la valorizzazione delle differenze  di genere, l’emancipazione delle donne nel mondo attraverso la formazione intellettuale, cognitiva ed emotiva, come quella professionale, sono per noi gli strumenti attraverso cui liberarsi del dolore che limita l’autonomia femminili.

“La maggior parte delle donne del ventesimo secolo etichettate psichiatricamente, curate privatamente e ospedalizzate pubblicamente non sono matte… Possono essere profondamente infelici, autodistruttive, economicamente e sessualmente impotenti ma essendo donne non potrebbe essere altrimenti”  Phyllis Chesler, Women and madness, 1972

 

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud

antipsichiatriapisa@inventati.org 335 7002669 via San Lorenzo 38 – Pisa